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La storia. Dalla fine dell'Ottocento a oggi. Capitoli I-O

Riassunti dal capitolo I al capitolo O de La storia. Dalla fine dell'O...
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Storia (Scientifico) - Tradizionale

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Corso di laureaAnno

Liceo

5
Anno accademico: 2018/2019
AutoreAurelio Lepre, Claudia Petraccone
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CAPITOLO I1: LA SITUAZIONE INTERNAZIONALE

L'imperialismo

  • Caratteri generali del XX secolo Il XX secolo è stato il più denso di avvenimenti nella storia dell'umanità e perciò uno dei più importanti. Durante il suo corso quasi tutti i popoli della Terra hanno avuto un ruolo attivo, sia pure con diverso grado di partecipazione. Basti pensare che all'inizio del Novecento in Asia c'erano molte colonie e in Africa nemmeno un paese che avesse piena indipendenza a causa delle forti influenze delle potenze europee, mentre alla fine del secolo tutti i paesi asiatici e africani avevano conquistato la sovranità. I confini della democrazia si sono allargati e il secolo si è chiuso con un bilancio positivo, ma per conseguire ciò sono stati necessari immensi sacrifici; nessun altro secolo ha infatti conosciuto guerre così numerose e devastatrici. I due conflitti mondiali combattuti dal 1914 al 1918 e dal 1939 al 1945 non sono paragonabili alle guerre precedenti per il numero di morti e per la vastità delle distruzioni provocate. Questi due conflitti sono avvenuti nella prima metà del secolo, mentre nella seconda parte c'è stata la cosiddetta "guerra fredda", un periodo di pace segnato però dalla paura causata dalla previsione di un possibile conflitto nucleare che avrebbe portato all'autodistruzione del mondo. La scienza e la tecnica assieme all'industrializzazione hanno fatto immensi progressi a discapito talvolta delle risorse disponibili, mettendo in pericolo l'equilibrio ecologico.
  • Dal colonialismo all'imperialismo Nel corso dell'Ottocento i maggiori paesi europei, Gran Bretagna, Francia e Germania, avevano esteso il proprio dominio in Africa e Asia grazie al colonialismo, colonialismo che ben presto divenne imperialismo. Nella conferenza di Berlino del 1884 le potenze si spartirono infatti le rispettive colonie e sfere di influenza. Facendo così ci fu l'avvio del processo imperialistico; infatti l'obiettivo non era più sfruttare economicamente le colonie, ma rendere più forti le proprie posizioni militari in tutto il mondo. Questa era la differenza sostanziale tra colonialismo ed imperialismo. Sul piano economico si cercò di esportare i capitali che non trovavano impiego in madrepatria oltre allo sfruttamento delle materie prime tipico del colonialismo. Lenin sottolineò l'aspetto economico dell'imperialismo, quando in realtà questo fu più importante sotto il punto di vista politico-militare, in quanto gli stati rafforzarono il proprio dominio attraverso una politica di potenza.
  • L'imperialismo britannico Il primo ministro inglese Disraeli fece proclamare la regina Vittoria "imperatrice delle Indie". Egli aveva un'idea di imperialismo "romantico", che però non affascinava ancora l'opinione pubblica. Ciò avvenne nei decenni seguenti: l'imperialismo conquistò la classe dirigente e la popolazione. Venne quindi eletto nel 1900 Chamberlain, sostenitore di un "imperialismo aggressivo", con forte caratterizzazione sociale, improntato sull'orgoglio nazionale; questa forma di imperialismo venne definita jingoismo. L'ideologia jingo era fondata sulla celebrazione della superiorità del popolo inglese, cosa che fece molto presa sui piccoli borghesi e sui disoccupati che così si sentivano orgogliosi di appartenere ad un forte Impero.
  • L'imperialismo tedesco Il nazionalismo di Otto von Bismarck, artefice dell'unificazione della Germania, si trasformò nell'imperialismo dell'imperatore Guglielmo II e del cancelliere Bernhard von Buelow. Essi, assieme alla classe dirigente tedesca, volevano rivendicare "un posto al sole" per la Germania, ovvero rendere il prorpio paese una grande potenza mondiale. Il primo ministro inglese Chamberlain tentò di stabilire buone relazioni con la Germania, ma la rivalità tra i due paesi era ormai nei fatti, basti pensare alla politica di armamenti e di rafforzamento delle flotte.
  • Le alleanze internazionali e i timori di guerra Lo scontro tra Inghilterra e Germania avvenne nell'ambito dello schieramento delle due grandi alleanze: la Triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria, Italia) e la Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia). L'equilibrio tra i due schieramenti sembrava dover essere un fattore di pace; come il Times scrisse poco prima dello scoppio della Grande Guerra, lo scontro sarebbe stato una immane calamità, ma perché ciò

avvenisse ogni stato avrebbe dovuto giustificare ogni possibile conflitto agli alleati; in ciò stava la questione del fattore di pace, nonostante tutto.

Militarismo e pacifismo

  • Il militarismo in Francia Verso la fine dell'800 il militarismo si era molto indebolito in Francia. Boulanger aveva tentato senza successo di creare un forte movimento di estrema destra con base popolare. Le tendenze antimilitariste furono accresciute dal movimento di opinione a favore del capitano Dreyfus, accusato ingiustamente di essere una spia tedesca, condannato e successivamente riabilitato. Questo demarcò un iniziale spostamento a Sinistra dell'asse politico francese. Solo nel 1912 ci fu una ripresa del militarismo con Poincaré presidente della repubblica. Molti in Francia infatti volevano la rivincita della sconfitta subita nel 1870 (Prussiani contro Napoleone III) perciò si svolse una politica di armamenti. Alla fine dell'Ottocento si pensava che la Francia avesse l'esercito più forte del mondo. Il capitano Joffre basò la strategia francese sull'offensiva, non più sulla difensiva. Egli credeva infatti che la Guerra ci sarebbe stata e che l'avrebbe vinta nel caso.
  • I pacifisti, i socialisti e il problema della guerra Nel 1910 l'economista inglese Angell pubblicò "La grande illusione" in cui sosteneva che le guerre non potessero portare alcun sviluppo economico, perché il capitalismo operava ormai su scala internazionale. Inoltre gli armamenti ormai avevano una grandissima potenza distruttiva. Con ciò respingeva ogni giustificazione della guerra. Il pacifismo era forte soprattutto tra i socialisti, che si illudevano che le classi dirigenti non avrebbero mai voluto una guerra. Durante la Seconda Internazionale di Stoccarda del 1907 fu approvata una mozione nella quale si ribadiva il fatto che le guerre rientrassero nell'essenza del capitalismo. I socialisti dovevano fare ogni sforzo per impedire una guerra; se questa fosse ugualmente scoppiata avrebbero dovuto approfittare della crisi per far cadere il dominio capitalista.

La guerra ispano-americana

  • La rivolta di Cuba contro la Spagna Il forte sviluppo economico degli Stati Uniti si accompagnava all'isolazionismo, ovvero alla convinzione di dover rinunciare ad una politica estera espansionistica per badare solo allo sviluppo interno. Nel 1823 il Presidente Monroe rivendicò agli USA il compito di tenere le grandi potenze europee lontane dall'America Latina. La presenza spagnola a Cuba rimaneva l'ultimo ostacolo alla piena attuazione della dottrina Monroe. Nel 1895 Martì proclamò la Repubblica a Cuba assieme ad un gruppo di rivoluzionari, iniziando la lotta contro gli Spagnoli. Il governo statunitense che aveva forti interessi a Cuba, inviò nel 1898 la nave da guerra Maine, con il compito di proteggere i cubani. Ma essa saltò in aria e nell'esplosione morirono 266 marinai.
  • L'intervento degli Stati Uniti La Spagna fu accusata di aver provocato l'affondamento della Maine. Perciò il presidente McKinley dichiarò guerra. Una flotta statunitense bloccò le navi spagnole nel porto di Santiago mentre un'altra flotta distruggeva quelle che si trovavano nella baia di Manila, nelle Filippine. La Spagna chiese la pace e gli Stati Uniti ottennero le Isole di Guam e di Portorico e acquistarono le Filippine per venti milioni di dollari;in questo modo essi cominciarono a guardare all'Asia. Cuba nonostante diventò una repubblica indipendente divenne un paese dipendente economicamente e politicamente dagli Stati Uniti.
  • Il corollario di Theodore Roosevelt alla dottrina Monroe Nel 1901 un anarchico assassinò McKinley; gli succedette Theodore Roosevelt che fin da subito mirò a dare agli Stati Uniti una forte presenza sulla scena internazionale. Continuò così la dottrina di Monroe, principio cardinale della politica estera statunitense. nel 1903 il Governo americano ottenne dalla Colombia una striscia di terra che fece diventare la Repubblica di Panama: su questo territorio sarebbe nato il canale. Roosevelt infine aggiunse alla dottrina di Monroe un corollario che prevedeva il diritto ad intervenire in tutto il continente americano, opponendosi ad eventuali pretese espansionistiche europee.

insurrezioni erano spontanee. Lo zar Nicola II concesse la formazione di un parlamento, la Duma, mentre i Soviet venivano sciolti. Il partito costituzionale democratico (Partito dei cadetti) ottenne la maggioranza assieme ad un buon numero di deputati socialisti. la Duma però non svolse un'azione efficace. Stolypin però realizzò una importante riforma agraria che permise la trasformazione delle campagne russe in senso capitalistico.

La nascita dei nazionalismi in Asia

  • Il nazionalismo cinese L'Ottocento era stato il secolo dell'affermazione dei nazionalismi in Europa e all'inizio del Novecento le ideologie nazionalistiche avevano generato l'imperialismo delle grandi potenze europee. In altre parti del mondo, invece, il nazionalismo nasceva allora. In Cina c'era stata l'insurrezione dei Boxers che però in realtà non erano nazionalisti ma xenofobi nei confronti degli stranieri. Il nazionalismo cinese nacque più tardi grazie a Sun Yat-sen. Egli voleva innestare nella società cinese alcuni elementi politici europei ma evitare che nascesse un'economia capitalistica come quella europea e statunitense. era convinto che la proprietà privata dovesse appartenere allo Stato. In Europa nacque lo spettro del "pericolo giallo": dato il loro numero i cinesi sembravano in grado di minacciare la superemazia europea.
  • Il nazionalismo giapponese La vittoria nella guerra conto la Russia rafforzò il nazionalismo giapponese basato sulle tradizioni. La celebrazione dei tradizionali valori della nazione non spinse i giapponesi a chiudersi nel passato. Sotto il regno dell'imperatore Mutsuhito si verificò la modernizzazione del paese. Questo periodo fu definito l'era Meiji, ovvero governo illuminato; ci fu infatti un notevole sviluppo dell'economia giapponese. Il nazionalismo in Giappone assunse subito un carattere imperialistico. In Europa si temeva una coalizione tra cinesi e giapponesi, con un possibile spostamento del centro del mondo dall'Europa all'Asia.

Le crisi marocchine e le guerre balcaniche

  • Tensioni tra Francia e Germania in Marocco In Africa ci fu un terreno di confronto tra gli imperialismi francesi, tedesco e britannico. Il Marocco era diventato un protettorato francese. Nel 1901 il sultano del Marocco chiese l'intervento delle truppe francesi per reprimere la rivolta; i tedeschi, allora, per controbilanciare la presenza francese, inviarono una loro cannoniera, la Panther. La reazione diplomatica francese e il sostegno britannico costrinsero Guglielmo II a fare marcia indietro. Il Marocco venne diviso tra Francia e Spagna. con questa seconda crisi tra i governi tedesco e francese, erano aumentati i motivi di tensione.
  • Il nazionalismo balcanico La causa delle crescenti tensioni internazionali deve essere cercata nella politica imperialistica delle grandi potenze. Nei Balcani, però, i più importanti fattori di crisi scaturirono dalle rivalità etniche e nazionali. La crisi dell'impero ottomano, le rivalità tra serbi e croati, le aspirazioni di Austria e Russia di espansione delle loro zone di influenza erano motivo di instabilità. I serbi volevano assumere la guida degli Iugoslavi, formando una grande Serbia secondo l'ideologia definita "Panserbismo". I croati sognavano una grande Croazia, comprendente la Dalmazia, la Bosnia-Erzegovina e Montenegro.
  • Le due guerre balcaniche Nel 1908 l'Austria decise l'annessione della Bosnia-Erzegovina. La Russia nel 1912 appoggiò la Lega Balcanica formata da Grecia, Serbia, Montenegro e Bulgaria, che durante la prima guerra balcanica costrinse la Turchia a cedere gli ultimi territori con popolazione slava. Tra gli alleati però non ci fu una spartizione dei territori e perciò scoppio una seconda guerra balcanica tra Grecia e Serbia da un lato e Bulgaria dall'altro. La Bulgaria fu sconfitta e la Macedonia fu divisa tra Serbia e Grecia, sicché il mosaico di etnie presenti nei Balcani si complicò ulteriormente.

CAPITOLO I2: L'ETÀ GIOLITTIANA

Giolitti e l'inserimento delle masse nella vita politica

  • Una svolta: l'età giolittiana L'uccisione a Monza di Umberto I da parte dell'anarchico Gaetano Bresci fece comprendere alla classe dirigente italiana la necessità di un cambiamento. Il nuovo sovrano , Vittorio Emanuele III, decise di affidare il governo a uomini contrari ai vecchi metodi repressivi e in grado di inserire le masse nell'attività politica. Il Giolitti la concretezza prevaleva nettamente sugli elementi ideologici. Giolitti fu presidente del consiglio nel 1903 e con alcuni intervalli, fino al 1914. In quel periodo fu l'uomo più influente d'Italia e questi anni furono definiti età giolittiana.
  • Il programma politico di Giolitti Giolitti era già stato al governo nel 1892 e si era mostrato contrario alla repressione, convinto che occorresse punire soltanto i reati e non la diversità di opinioni e di programmi politici. Giolitti si schierò decisamente a favore delle libertà delle organizzazioni sindacali che lottavano per accrescere i salari dei lavoratori. Il governo, a suo parere non doveva intervenire per impedire gli scioperi in quanto lo stato non aveva un reale interesse nel difendere gli industriali. Infatti il sostegno agli industriali sarebbe stato un'ingiustizia in quanto contrario al dovere di assoluta imparzialità tra cittadini. A livello economico ciò avrebbe turbato il funzionamento della legge economica dell'offerta e della domanda oltre che rendere nemiche dello stato le classi lavoratrici. Perciò Giolitti cercò di trovare un accordo con le forze socialiste e adottò una linea di non intervento nelle vertenze tra imprenditori e lavoratori.

L'economia e la società durante l'età giolittiana

  • Lo sviluppo economico a nord e a sud Durante il periodo giolittiano l'economia italiana conobbe uno sviluppo così rilevante da essere definito "decollo". Lo sviluppo iniziò con ritardo rispetto ad altri paesi, ma dal 1902 al 1913 il prodotto interno lordo aumentò di circa il 70%. L'industria, presente soprattutto in Liguria, Piemonte e Lombardia acquistò un peso crescente. Lo sviluppo industriale però interessava soprattutto il Nord. Giolitti si rendeva conto della gravità della questione meridionale, cioè del ritardo dello sviluppo economico delle regioni meridionali di fronte al "triangolo industriale". Adottò perciò verso il Mezzogiorno una nuova politica fondata sulla legislazione speciale; nel 1904 furono approvate una legge speciale per la Basilicata e un'altra per Napoli

per dare inizio all'industrializzazione del Mezzogiorno.

  • L'industria automobilistica I tentativi dei privati di impiantare la grande industria anche a sud fallirono, infatti quando un uomo d'affari inglese cercò di far nascere a Napoli un nuovo stabilimento a Napoli fallì; a Napoli, infatti, c'era carenza di mano d'opera qualificata e si decise perciò di impiantare la fabbrica a Milano. Nacque così, L'Alfa. Intanto la divisione del lavoro portò alcune regioni a specializzarsi in alcune attività industriali precise. Un esempio è quello dell'industria meccanica in Piemonte, dove nel 1899 nacque la Fiat. Nonostante ciò l'Italia, alla vigilia della Grande Guerra , era ancora molto indietro rispetto ad altri parsi come Germania e stati Uniti.
  • La politica di Giolitti nel Mezzogiorno L'Italia meridionale rappresentava per Giolitti una delle basi del suo potere: Giolitti favoriva infatti l'elezione dei candidati meridionali appartenenti alla sua maggioranza attraverso un sistema di clientelismo. Proprio per questo Gaetano Salvemini definì Giolitti "il ministro della malavita", un giudizio sostanzialmente ingiusto. L'uso della violenza da parte del Governo contro le dimostrazioni contadine diminuì in questi anni.
  • L'emigrazione Nel corso dell'età giolittiana il numero degli emigranti arrivò ad una media di circa 600 l'anno, quasi la metà proveniva dall'Italia meridionale e si dirigeva in prevalenza verso gli Stati Uniti, Argentina e Brasile. L'emigrazione trasformò il volto di regioni come la Calabria e la Sicilia, con effetti culturali ed economici. Gli emigranti cercavano di mantenere i legami con le famiglie, imparando a leggere e a scrivere per poter

egli ritenendo che la sua maggioranza non fosse più solida come un tempo, diede le dimissioni. L'età giolittiana era finita. - Giolitti e le guerre coloniali L'allargamento del diritto di voto fu una concessione alle sinistre necessaria per superare la loro opposizione alla guerra contro la Turchia per conquistare la Libia. Nonostante Giolitti si fosse in un primo tempo dichiarato contrario alle imprese coloniali tentate da Crispi e successivamente si fosse schierato per la neutralità nel 1914, in realtà non era un pacifista. Era contrario ad eventuali guerre tra paesi europei, ma non a quelle coloniali. Egli riteneva che le guerre coloniali fossero un utile strumento per allargare l'influenza del liberalismo. - Le cause della guerra La politica coloniale italiana di Crispi non aveva dato grandi risultati (sconfitta ad Adua da parte di Menelik II). L'instaurazione del protettorato francese sul Marocco spinse il governo italiano a contrastarla occupando la Libia. Approvarono la conquista della Libia i nazionalisti, il Banco di Roma che aveva effettuato investimenti in Libia, alcuni socialisti e il premio Nobel per la pace Ernesto Teodoro Moneta. La guerra di Libia incontrò, invece la dura opposizione dei socialisti rivoluzionari, tra i quali Benito Mussolini, che rimproverava ai governi di sperperare risorse nell'Africa invece di occuparsi dei più gravi problemi italiani come quelli del Mezzogiorno. - Lo svolgimento della guerra I primi sbarchi in Libia furono effettuati nel settembre dal 1911. Le truppe turche opposero una forte resistenza, che il corpo di spedizione italiano, composto da 100 uomini riuscì a superare soltanto sulle coste. Il governo allora decise di allargare le operazioni anche nel mare Egeo con la conquista di Rodi e del Dodecaneso. L'impero ottomano fu costretto a firmare il trattato di Losanna, con cui riconobbe la sovranità dell'Italia sulla Libia. Nonostante ciò la guerriglia continuò e le truppe italiane dovettero limitare l'occupazione soltanto alle zone costiere. Mentre i socialisti rivoluzionari continuarono ad essere contro all'occupazione della Libia, i nazionalisti ne trassero occasione per elaborare i loro miti politici: tra questi la celebrazione del sangue e del contadino-soldato. Anche alcuni grandi intellettuali come Giovanni Pascoli e Gabriele D'Annunzio si posero a favore.

Gli intellettuali nella lotta politica

  • Il nazionalismo L'opposizione a Giolitti da destra era guidata dai nazionalisti. Essi rifiutavano la linea politica giolittiana considerandola priva di ideali, celebravano la nazione e si battevano contro la democrazia e il socialismo. Volevano che l'Italia fosse uno stato forte, impossibile con il regime parlamentare.
  • Enrico Corradini Il maggiore rappresentante del Nazionalismo era Enrico Corradini. Egli disse che il termine Patria serviva ad esprimere l'amore per l'Italia, mentre Nazione serviva ad affermare la potenza dell'Italia. Fece perciò una distinzione tra patriottismo e nazionalismo. Il patriottismo aveva portato all'unità italiana, il nazionalismo doveva portare ad una politica estera aggressiva. Infine, secondo lui, l'antagonismo tra borghesia e proletariato doveva trasformarsi in antagonismo tra nazioni ricche e nazioni povere, dove queste dovevano conquistare ricchezza e potenza con la violenza. Corradini inoltre era convinto che soltanto la guerra avrebbe potuto rendere grande l'Italia.
  • Le polemiche degli intellettuali I nazionalisti furono l'espressione di un interventismo nettamente antidemocratico degli intellettuali. Le prime espressioni di ciò furono in due riviste," Il Leonardo" che svolse una dura polemica contro la democrazia, e "Il Regno", diretto da Corradini che sviluppò gli argomenti propri del nazionalismo. Prezzolini e Papini, fondatori de "Il Leonardo" erano contrari alla democrazia, al pacifismo ed all'antimilitarismo. Erano perciò a favore della conquista della Libia. Gli attacchi a Giolitti continuarono e questo era un segno dell'indebolimento del sistema giolittiano. Tra gli scrittori che più contribuirono a diffondere il nazionalismo vanno ricordati D'Annunzio e Marinetti.

CAPITOLO I3: ECONOMIA E SOCIETÀ TRA 1800 E 1 900

La seconda rivoluzione industriale

• L'ETÀ DELL'ACCIAIO, DELL'ELETTRICITÀ E DELLA CHIMICA

Tra fine Ottocento e inizio Novecento si verificò uno sviluppo dell’industria così imponente da essere definito "seconda rivoluzione industriale", (la prima rivoluzione industriale di fine '700 trasformò l’economia europea, mentre la seconda gettò le basi del mondo attuale). Essa permise grandi progressi scientifici e tecnologici che migliorarono l’economia generale, ma anche la vita quotidiana, incrementando

la produzione di beni di consumo. I principali fattori che resero possibili le 2 rivoluzioni industriali furono:

  • Il massiccio utilizzo dell’acciaio, più resistente del ferro;
  • L’uso dell’elettricità che rivoluzionò il settore dell’energia, che ora poteva essere trasmessa a distanza: si industrializzarono così anche regioni che non possedevano giacimenti di carbone, ma ricche di corsi d’acqua;
  • Il sostegno dei governi e delle banche (dette “miste” perché davano crediti per le nuove aziende).
  • LO SVILUPPO INDUSTRIALE DELLA GERMANIA

In Europa fu soprattutto la Germania a trarre profitto dalla rivoluzione industriale, grazie alla rapida crescita della produzione dell’acciaio (incrementata dalla costruzione delle ferrovie e dall’aumento degli

armamenti) e dell’industria chimica. La crescita economica della Germania ebbe importanti conseguenze politiche internazionali: si aprì una sfida sia nel settore industriale che commerciale con la Gran Bretagna:

gli inglesi si resero conto che il loro primato mondiale era gravemente minacciato quando la Germania nei primi decenni del XX secolo li superò non solo nella produzione dell’acciaio, ma anche nelle esportazioni.

Un nuovo protagonista della storia dell'economia mondiale: gli Stati Uniti

• IL CAPITALISMO

Tra fine Ottocento e inizio Novecento gli Stati Uniti diventarono il nuovo modello dell’economia capitalistica: aumentarono produzione industriale e il PIL (anche quello procapite). Nacque il capitalismo dei manager, dei cartelli e dei trust. Sorsero colossi industriali tra cui la “Standard Oil Company” del multimiliardario Rockfeller, che estraeva e lavorava petrolio e la "United States Steel Corporation” dell’industriale Carnagie che produceva ferro e acciaio. Egli sosteneva che gli USA non dovessero "conquistare popoli barbari, ma ottenere il dominio industriale del mondo”. - IL CAPITALISMO MONOPOLISTICO: I TRUST E I CARTELLI La struttura del capitalismo americano divenne monopolistica, cioè si trasformò con la nascita dei cartelli e dei trust. I primi erano costituiti da aziende che controllavano i prezzi dei prodotti, in modo da annullare la concorrenza. I trust erano associazioni di aziende, guidate da un unico centro direttivo. Le due industrie prima citate sono esempi di trust perché detenevano rispettivamente il monopolio del petrolio e dell’acciaio. Questi strumenti furono concepiti per monopolizzare il mercato e annullare la libera concorrenza, ma la legislazione statunitense riuscì a frenare questo fenomeno, dapprima col repubblicano Shermann, che promosse lo “Shermann Anti-trust Act” (1890), la prima legge contro lo strapotere dei monopoli. Successivamente nel 1914 il presidente democratico Wilson con la “Clayton Anti-trust Act” rese efficace la legislazione di Shermann. - SVILUPPO ECONOMICO, LIBERALISMO E INDIVIDUALISMO Lo sviluppo dei trasporti (ferrovia statunitense) contribuì allo sviluppo economico, base per l’unificazione politica e ideologica. Infatti anche gli immigrati beneficiarono dell’iniziativa individuale, consentita dalla libertà. Democrazia e libertà costituivano il “melting pot”, il fattore unitario di un paese multietnico. Altro fattore determinante per lo sviluppo economico fu la struttura del mercato interno: i consumatori acquistavano prodotti fabbricati in serie, sempre migliori. Nacque così la produzione di massa, ovvero la fabbricazione di beni di consumo e strumentali, prodotti secondo modelli standard, ma vari e numerosi.

pubblicato il primo numero della Gazzetta dello Sport e in Francia si svolse la prima gara ciclistica con biciclette moderne.

La nuova organizzazione del lavoro

• LA CATENA DI MONTAGGIO E L’ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO

Una grande rivoluzione nei metodi di lavoro fu attuata da Henry Ford con la catena di montaggio che consentiva la produzione in serie di massa di automobili a bassi prezzi. Fu possibile assemblare un auto in 93 minuti invece che delle 12 ore impiegate prima. Ma il teorico della razionalizzazione del lavoro fu Taylor. Dopo aver percorso tutti i livelli della gerarchia aziendale Taylor affermò che il lavoro doveva essere organizzato scientificamente, eliminando i tempi morti, dividendo in modo rigido i vari compiti. Il Taylorismo fu ostacolato dai sindacati che si battevano contro lo sfruttamento dei lavoratori. Infatti con Taylor l’alienazione dell’operaio dal lavoro raggiunse l’apice con la meccanicità e ripetitività dei gesti. Charlie Chaplin diede una rappresentazione straordinariamente efficace degli effetti negativi della catena di montaggio nel film Tempi Moderni. - L’ALLARGAMENTO DEL MERCATO: ALTI SALARI E COSTI RIDOTTI Grazie alla pubblicità e a nuovi metodi di vendita che contemplava anche le rate, il numero dei consumatori si allargò. Infatti Ford comprese che solo così si poteva ampliare il mercato; inoltre egli concesse ai suoi operai alti salari e abbassò il costo delle auto. In tal modo chi aveva un buono stipendio poteva possedere un auto che divenne così un consumo di massa. - LA RESISTENZA DEGLI OPERAI ALLO SFRUTTAMENTO Il sindacato che più si oppose allo sfruttamento degli operai, considerati da Taylor “scimmie ammaestrate”, fu soprattutto l’American Federation of Labor, fondato nel 1886. Il sindacato “Industrial Workers of the World” si occupò anche di politica opponendosi al capitalismo. Di questo sindacato fece parte Joe Hill, condannato a morte ingiustamente per rapina e omicidio.

CAPITOLO I4: LA SOCIETÀ DI MASSA

L’irruzione delle masse nella storia

• LA SOCIETÀ DI MASSA

Tra la fine del diciannovesimo e l' inizio del ventesimo secolo nacque quella che venne definita "società di massa” che preoccupò le classi dirigenti. Nella storia dei paesi europei e degli Stati Uniti irromperono le masse. Le preoccupazioni delle classi dirigenti furono ben espresse dal francese Le Bon nell’opera “la psicologia delle folle” in cui evidenziò come la massa aveva acquistato un crescente potere economico, politico e sociale rispetto al passato. Per evitare sconvolgimenti sociali i governi cercarono di nazionalizzare le masse facendole partecipare alla vita nazionale attraverso feste tradizionali, riti e simboli. Ciò avvenne soprattutto in Germania: qui infatti le masse si mostrarono autonome fondando il partito socialdemocratico. - L’ESTENSIONE DEL DIRITTO DI VOTO L'estensione del diritto di voto segnò il passaggio dalla società liberale a quella liberaldemocratica: prima infatti poteva votare solo chi era libero perché indipendente economicamente, cioè chi era provvisto di un reddito. L’indipendenza economica dava la libertà di espressione politica senza condizionamenti: questa concezione è basata quindi sul censo. Si giunse al suffragio universale maschile per chi sapeva leggere e scrivere nei seguenti paesi ed anni: Francia nel 1870, Germania nel 1871, Svizzera nel 1874, Belgio nel 1893, Olanda nel 1896, Norvegia nel 1898, Austria nel 1907, Italia nel 1912; Ungheria e Inghilterra nel 1918. L’estensione del diritto di voto non era dovuta però a volontà democratica, ma per ottenere i voti dei ceti più bassi. - LA FORMAZIONE DEI PARTITI DI MASSA Le masse riuscirono a inserirsi autonomamente nella lotta politica quando nacquero i partiti socialdemocratici: il primo fu il partito socialdemocratico tedesco, fondato nel 1875 durante un congresso a Gotha. Nel 1890 prese il nome di "partito socialdemocratico della Germania". Il suo programma prevedeva sicurezza sociale con formazione di un esercito popolare al posto di quello di mestiere. In Francia, nel 1905, il "partito socialista" si compattò, infatti prima era molto frammentario. In Italia nel 1892 nacque il "partito dei lavoratori italiani" chiamato poi nel 1895 PSI. Nel 1898 nacque il "partito operaio socialdemocratico russo" che qui però prese una piega diversa a causa di Lenin, che elaborò una particolare teoria, interpretando il marxismo in modo originale: per lui il partito, fortemente centralizzato e coeso, doveva portare il proletariato al potere. La classe operaia non aveva coscienza politica, infatti solo gli intellettuali borghesi attraverso il partito potevano dare agli operai la consapevolezza della loro forza. Nel 1903 il partito russo si divise in 2 correnti: la “bolscevica” (maggioritaria), guidata da Lenin che voleva un partito disciplinato e centralizzato e la “menscevica” (minoritaria), guidata da Martov, che chiedeva un’organizzazione meno rigida. - LA SECONDA INTERNAZIONALE Marx e un gruppo di socialisti inglesi e francesi fondarono a Londra nel 1864 la Prima Internazionale per realizzare l’emancipazione economica della classe operaia. A Marx si contrappose Bakunin, fondatore del movimento anarchico e avversario di ogni forma di autorità, compresa quella di un futuro stato socialista. Nel 1876 la Prima Internazionale si sciolse e nel 1889 i partiti socialisti (senza gli anarchici) fondarono la Seconda Internazionale che si divise tra socialisti rivoluzionari (essi pensavano che solo la rivoluzione potesse trasformare la società in senso socialista) e socialisti riformisti (pensavano che la trasformazione dovesse avvenire con delle riforme). Entrambi rifiutavano le guerre, ma i riformisti lottavano contro la guerra mediante propaganda pacifista, i rivoluzionari con metodi violenti.

I sindacati

• LA FORMAZIONE DEI SINDACATI

I sindacati erano una forma di organizzazione autonoma delle masse. Mentre nei partiti le masse svolgevano attività politiche, nei sindacati avevano obiettivi economici. Tra i sindacati europei quelli inglesi,

vita soprattutto del proletariato, determinate dai principi del liberismo e del liberalismo, responsabili anche dell’allontanamento dalla religione e dell’indifferenza verso i poveri. Al socialismo invece rimproverava l’ateismo, il voler trasformare completamente la società e il capitalismo. - Liberalismo: dottrina politica basata sulle libertà proprie della borghesia (di parola, di stampa, associazione e proprietà). - Liberismo: dottrina economica basata sulla libertà d’impresa e sul rifiuto di interventi statali in campo economico; lo si può considerare l’equivalente economico del liberalismo politico. - LA RERUM NOVARUM La Rerum Novarum era la dottrina sociale cattolica, nata per concretizzare l’assistenza ai bisognosi, importante politicamente perché conteneva insegnamenti morali riguardo al lavoro. Essa venne espressa nell’enciclica Rerum Novarum pubblicata da Leone XIII (succeduto a Pio IX) nel 1891. In essa vennero espressi alcuni concetti: il conflitto sociale nasceva dai nuovi metodi dell’industria, dal rapporto tra padrone e operaio, dalle ricchezze nelle mani di pochi, dalla conseguente povertà e dai cattivi costumi. Leone XIII difendeva dunque la proprietà privata e attaccava i socialisti, colpevoli dell’odio dei poveri nei confronti dei ricchi. Le disuguaglianze sociali non potevano essere eliminate perché insite nella natura delle cose. Il rimedio sarebbe stato la concordia tra le classi e l’osservare i doveri reciproci: gli operai avrebbero dovuto lavorare con coscienza, non danneggiare le cose del padrone o la sua persona, stare lontani dalla violenza e non avere rapporti con uomini malvagi. I padroni avrebbero dovuto rispettare la dignità dell’operaio, quindi della persona, lasciandogli il tempo per i doveri religiosi e non imponendogli lavori sproporzionati alle forze, non alienandolo dalla famiglia e non sfruttandolo come uno schiavo. Lo Stato doveva difendere la proprietà privata, essere contro gli scioperi e tutelare gli operai. I salari dovevano essere decisi da un patto e non inferiori al sostentamento dell’operaio. Infine le associazioni operaie socialiste erano considerate pericolose per la questione della fede; il Papa suggerì quindi agli operai cristiani di formare associazioni ispirate alla dottrina sociale della Chiesa.

Le donne nella società di massa

• LA CONCEZIONE DEI COMPITI DELLE DONNE E UNA NUOVA LIBERTÀ

Nell’Ottocento le donne erano perlopiù casalinghe e differenziate secondo la tradizionale concezione fondata sulla divisione dei ruoli in base al sesso. Il mondo della ragione e della cultura (spazio pubblico) apparteneva agli uomini, quello del sentimento e della natura (spazio privato) alle donne. Ma ora le cose stavano cambiando soprattutto a causa del lavoro svolto fuori casa, anche dalle borghesi che lentamente stavano entrando nel mondo delle professioni riservate fino a quel momento agli uomini. Ad esempio nel mondo universitario nel 1908 in Germania ci fu la prima docente universitaria, nel 1903 Marie Curie diventò Premio Nobel per la fisica e nel 1911 per la chimica. Le libere professioni rimasero prerogativa maschile, tranne la medicina (nel Galles ci furono 20 laureate nel 1881, mentre 477 nel 1911). Molte donne di piccola e media borghesia divennero insegnanti elementari. Negli ultimi decenni dell’Ottocento anche quelle che non lavoravano potevano andare al mare, a ballare, in bici o fare sport. Anche la stampa iniziò a trattare argomenti interessanti per le donne. Le condizioni delle donne però migliorarono solo in una parte dell’Europa e degli Stati Uniti e non in Africa, Asia, Sudamerica ed Europa orientale. - IL MOVIMENTO FEMMINILE NEGLI STATI UNITI Verso la fine dell'Ottocento le donne non avevano ancora diritto di voto; fu questa perciò la richiesta fondamentale avanzata dai primi movimenti politici femminili. L’associazione più forte nacque negli Stati Uniti: la NAWSA, l'associazione delle donne americane per il suffragio. La presidentessa, Carry Catt Chapman si batté molto per l’emancipazione femminile, separandola dalla lotta per i diritti dei neri. Ella credeva che si dovesse togliere il voto agli slums delle città, ovvero ai quartieri più poveri e degradati, per eliminare il pericolo dell’elettorato straniero. Facendo votare le donne si controbilanciava il voto degli stranieri e si preservava la supremazia bianca al sud. La NAWSA nel 1920 raggiunse l’obiettivo del suffragio universale. - IL MOVIMENTO FEMMINILE IN INGHILTERRA In Inghilterra nacque il movimento delle suffragette guidate da Emmeline Goulden, chiamate così perché chiedevano il suffragio universale. Nel 1903 Goulden fondò “L’Associazione politica e sociale delle donne”, ma durante le manifestazioni di protesta, alcune donne furono arrestate e poiché erano borghesi, ciò ebbe

un’eco notevole sulla stampa. Solo nel 1928 le donne ottennero il pieno riconoscimento dell’uguaglianza politica.

CAPITOLO L1: LA GRANDE GUERRA

Un conflitto che investì tutto il mondo

  • Due avvenimenti che sconvolsero il mondo La Grande guerra fu combattuta in Europa e in altre parti del mondo dal 1914 al 1918 e la rivoluzione bolscevica russa avvenne nel 1917. Questi due avvenimenti cambiarono il volto dell’Europa e del mondo. La Grande guerra assunse un’ampiezza inimmaginabile, molto superiore ai conflitti precedenti. Essa esasperò inoltre tutti gli elementi di crisi esistenti già da tempo in Russia e provocò indirettamente il collasso dell’Impero russo e lo scoppio della rivoluzione. Ciò si tratta perciò del primo tentativo di cambiare in maniera radicale la struttura politica e sociale della società secondo l’ideologia del comunismo. La Grande guerra sembrò avvalorare la tesi di Marx e Lenin secondo la quale i legami economici internazionali erano così forti da dare ai proletariati dei vari paesi un invito ad unirsi per attuare una rivoluzione mondiale. In realtà il conflitto accentuò i nazionalismi, che avevano trovato diffusione anche nelle classi operaie. I nazionalismi stessi erano infatti stati tra le cause principali della guerra.
  • I teatri della guerra La Grande guerra viene definita anche come prima guerra mondiale per distinguerla dalla seconda. Essa ebbe ripercussioni in tutto il mondo, ma non si trattò di un vero conflitto mondiale. Vi presero parte potenze euroasiatiche come Turchia e Russia ed extraeuropee come Giappone e Stati Uniti, anche se il Giappone non influì in misura rilevante, mentre gli USA entrarono in guerra solo nel 1917. I territori di questi due paesi non vennero investiti direttamente dal conflitto, che si combatté quasi solamente in territorio europeo. Gli oceani furono il solo teatro bellico di ampiezza mondiale, perché i sottomarini tedeschi attaccavano su molti mari, ma questo fronte ebbe minore importanza rispetto quello terrestre.
  • Le cause del conflitto I primi anni del Novecento avevano visto emergere forti tensioni tra le grandi potenze. La guerra ispano- americana aveva segnato l’ingresso degli USA sulla scena mondiale, le rivalità tra Germania e Gran Bretagna erano affiorate con la guerra anglo-boera, così come quelle tra Germania e Francia erano apparse evidenti nella crisi marocchina. Anche la penisola balcanica costituiva terreno di scontro per gli imperialismi russo e austriaco, unito alle tensioni locali di carattere nazionalistico. La Russia appoggiava infatti la Serbia che voleva liberarsi dal dominio austriaco. Questo insieme di spinte innescò la Grande guerra.
  • Il massiccio coinvolgimento della popolazione civile La Grande guerra provocò 10 milioni di morti e si differenziò dai conflitti precedenti in quanto non coinvolse solo gli eserciti al fronte, ma le intere popolazioni dei paesi in guerra. Nei paesi in questione ci fu una mobilitazione totale in ambito politico, economico e sociale, quindi investì fabbriche, uffici, partiti e sindacati. Le donne andarono a sostituire gli uomini che erano al fronte nelle fabbriche stesse e nei campi. I governi attraverso la propaganda cercarono di mobilitare le coscienze e il sentimento di odio e paura nei confronti dello schieramento opposto.
  • L’attentato di Sarajevo e lo scoppio della guerra La miccia che provocò l’esplosione fu accesa dall’attentato di Sarajevo in Bosnia, in cui, il 28 giugno 1914, vennero uccisi l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando, erede al trono, e la moglie. L’attentatore, Gavrilo Princip, uno studente nazionalista serbo-bosniaco, agì per conto de La Mano nera, un’associazione segreta serba. Processato e condannato a soli vent’anni di carcere, la pensa massima prevista per un ventenne, Princip sarebbe morto di tubercolosi ossea nel 1918.

interrotte le loro linee di rifornimento dagli altri continenti: le flotte nemiche, soprattutto quella inglese, dominavano i mari e i due imperi centrali erano assediati nel centro dell’Europa.

L’intervento dell’Italia

  • Perché l’Italia allo scoppio della guerra dichiarò la propria neutralità L’Italia faceva parte della Triplice Alleanza. Nel trattato del 1882 era prevista la preventiva consultazione degli alleati nel caso che uno dei paesi contraenti avesse deciso di procedere ad azioni di guerra; i membri dell’alleanza si erano impegnati a intervenire se uno di loro fosse stato aggredito. Nel 1914 la consultazione non c’era stata, perché il governo austriaco si era limitato ad avvertire quello italiano il giorno prima dell’ultimatum alla Serbia; la Germania non era stata aggredita, ma aveva dichiarato guerra per prima. Per tali ragioni il governo italiano dichiarò la sua neutralità, nella speranza di poter ricavare ugualmente vantaggi territoriali. Al momento del rinnovo del trattato, nel 1887, era stata introdotta una clausola in cui si prevedevano compensi all’Italia, se l’Austria avesse esteso la sua influenza nella penisola balcanica. Il governo austriaco però fece sapere che la clausola sarebbe stata applicata solo se l’Italia fosse intervenuta.
  • Interventisti e neutralisti I partiti politici e l’opinione pubblica si divisero in due schieramenti degli interventisti e dei neutralisti. Tutti gli interventisti chiedevano la guerra contro l’Impero austroungarico. I nazionalisti vedevano nel governo austriaco il nemico tradizionale dell’Italia, che occupava ancora Trento e Trieste. Nell’aprile del 1915 furono stipulati a Londra degli accordi con cui l’Italia si impegnava a intervenire in guerra nello spazio di un mese: avrebbe ricevuto Trento, Trieste, Gorizia, l’Istria, la Dalmazia settentrionale, il porto di Valona in Albania e una parte dei possedimenti coloniali tedeschi in Africa. Lo schieramento neutralista comprendeva tre grandi forze che avevano aspirazioni diverse: i socialisti rimasti fedeli alle posizioni pacifiste della Seconda internazionale, i cattolici e i liberali giolittiani. Gli operai nutrivano una forte ostilità contro la guerra e attribuivano lo scoppio del conflitto al desiderio dei fabbricanti di armi di voler aumentare i propri profitti.
  • Benito Mussolini dal neutralismo all’interventismo Benito Mussolini, direttore dell’”Avanti!”, aveva un notevole seguito tra i socialisti massimalisti, perché i suoi discorsi e i suoi articoli erano in grado di infiammare ascoltatori e lettori, per la violenza con cui si scagliava contro i socialisti riformisti e contro il governo borghese. All’inizio del conflitto la popolarità di Mussolini crebbe, a causa delle battaglie antimilitariste. Nell’ottobre del 1914 però Mussolini chiese che i socialisti passassero dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante. Attaccato duramente dalla base del partito e accusato di tradimento, fu espulso e fondò un nuovo giornale, “Il popolo d’Italia”, dando l’avvio a una violenta campagna interventista, che fu diretta soprattutto contro Giolitti ma che, dopo l’ingresso in guerra, fu rivolta contro gli stessi socialisti.
  • Le “radiose giornate di maggio" e la vittoria della piazza sul parlamento Il capo del governo Antonio Salandra e il suo ministro degli esteri Sidney Sonnino erano propensi a portare l'Italia in guerra. La maggioranza del parlamento, dove Giolitti poteva contare su molti deputati, era su posizioni neutraliste. Gli interventisti decisero di combattere la loro battaglia facendo ricorso ai movimenti di piazza. Un rilevante contributo alla mobilitazione interventista fu dato da Gabriele D'Annunzio, che con la sua oratoria militaresca, fu il primo uomo politico di destra a stabilire un diretto contatto con la folla. Appena seppe della stipulazione degli accordi di Londra, Giolitti decise di svolgere un'azione più decisa a favore della neutralità e ottenne il sostegno della maggioranza parlamentare, costringendo il governo Salandra a dimettersi, il 13 maggio 1915. Gli interventisti intensificarono le manifestazioni di piazza, in quelle che vennero chiamate “le radiose giornate di maggio”, mentre D'Annunzio esortava alla formazione di “pattuglie civiche”. Giolitti rifiutò di succedere a Salandra e di assumersi le responsabilità. Vittorio Emanuele III dovette respingere le dimissioni di Salandra e il 23 maggio l'Italia dichiarò guerra all'Austria. La posizione dei socialisti italiani si fece difficile. Se avessero condotto un'opposizione frontale alla guerra, avrebbero potuto essere accusati di tradimento. D'altra parte, la maggioranza dei dirigenti restava contraria all'intervento. Il PSI adottò perciò l'atteggiamento “né aderire né sabotare”: i socialisti non accettano la guerra, ma non avrebbero fatto nulla contro di essa.

La guerra dal 1915 al 1917

  • Il fronte italiano nel 1915

Sul fronte italiano, che si estendeva lungo i confini con l'Impero austriaco, dalle Alpi all'Adriatico, si combatté una guerra di posizione. Il capo di stato maggiore, Luigi Cadorna, aveva creduto nella possibilità di un'avanzata, ma aveva dovuto ricredersi, perché il terreno era favorevole solo alla difesa e gli Austriaci lo avevano munito di potenti fortificazioni. Cadorna adottò una tattica che comportava un altissimo costo in vite umane: la fanteria italiana investiva le trincee austriache con continui assalti, incuranti delle perdite. Da giugno a dicembre Cadorna sferrò quattro offensive, chiamate “le battaglie dell'Isonzo", che provocarono alle truppe gravi perdite, senza che si ottenessero risultati di rilievo. All'incapacità dei comandi supremi si aggiungeva la scarsa preparazione degli ufficiali e dei soldati, in grandissima maggioranza di leva. Si trattava soprattutto di contadini, perché molti operai erano stati lasciati in fabbrica, per le necessità della produzione di guerra. L'armamento e gli equipaggiamenti bellici erano inferiori a quelli degli Austriaci. - Le grandi battaglie del 1916 Nella Germania e nell'Austria-Ungheria, il blocco navale attuato dall'Intesa e dalla flotta britannica faceva mancare gli approvvigionamenti essenziali. L'ammiragliato tedesco decise perciò di impiegare i sottomarini, per tagliare le strade di rifornimento alla Francia e alla Gran Bretagna: nonostante l'affondamento di molte navi, il piano non riuscì. Agli inizi del 1916 le preoccupazioni per la durata della guerra e per i sacrifici sempre più gravosi spinsero il comando tedesco a tentare nuovamente la carta dell'offensiva sul fronte occidentale; ancora una volta i Tedeschi furono fermati nella battaglia di Verdun, una delle più sanguinose. A luglio iniziò la controffensiva delle truppe dell'Intesa: Francesi e Inglesi attaccarono sul fiume Somme, ma senza riuscire a sfondare le linee tedesche. Le battaglie di Verdun e della Somme si risolsero in un massacro: ci furono un milione e settecentomila caduti. Inoltre, non furono decisive. Sul fronte italiano fallì un'offensiva sferrata contro gli Italiani dagli Austriaci, chiamata Strafexpedition, “spedizione punitiva”, perché rivolta a punire il presunto “tradimento”, cioè l'abbandono della Triplice Alleanza da parte dell'Italia. Anche gli Italiani, che nell'agosto 1916 dichiararono guerra alla Germania, attaccarono, cercando di aprirsi la strada verso Trieste, ma riuscirono a conquistare solo Gorizia. Nemmeno i Russi ottennero successi decisivi, sebbene riuscissero ad avanzare fino ai Carpazi. La rivolta comincio a serpeggiare tra le truppe russe, mentre il malcontento si estendeva tra gli operai e i contadini. - Il 1917, l'anno decisivo: la rivoluzione russa e l'intervento degli Stati Uniti L'8-9 marzo si verificò a Pietrogrado un'insurrezione, che portò alla formazione di un governo democratico; il nuovo governo decise di continuare a combattere, ma lo sforzo bellico russo diventò meno intenso, consentendo alla Germania e all'Austria-Ungheria di spostare truppe dal fronte orientale a quelli francese e italiano. Intanto i rapporti tra la Germania e gli Stati Uniti diventavano sempre più tesi. Nel 1915 i sottomarini tedeschi avevano affondato il transatlantico britannico Lusitania, che trasportava quasi 2000 passeggeri. Nel 1915 il governo statunitense si era limitato a protestare, mentre i tedeschi avevano giustificato l'attacco a una nave che trasportava passeggeri col fatto che a bordo c'era anche un carico di munizioni. L'affondamento aveva rafforzato negli USA le tendenze favorevoli all'intervento. Il presidente degli Stati Uniti, Wilson, era pacifista e aveva offerto la sua mediazione perché il conflitto si concludesse senza vincitori né vinti. I tedeschi però iniziarono una guerra sottomarina che comportava l'affondamento non solo delle navi nemiche, ma di tutte quelle che si avvicinavano alle coste della Gran Bretagna e degli altri paesi con cui la Germania era in guerra. Wilson decise di intervenire sia per gli attacchi dei sottomarini tedeschi sia perché tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna esistevano stretti rapporti culturali, politici ed economici. L'arrivo delle truppe americane in Europa rimediò all'indebolimento militare dell'Intesa provocato dal disimpegno della Russia; inoltre l'apparato industriale statunitense fu messo al servizio delle necessità belliche dei paesi alleati. - La sconfitta italiana di Caporetto Il cedimento del fronte russo, con il conseguente spostamento di truppe tedesche e austriache su altri fronti, ebbe conseguenze gravi anche per l'Italia. Nella seconda metà di agosto scoppiarono a Torino violenti moti contro la guerra e il Partito socialista accentuò la sua politica pacifista. Quanto l'esercito austriaco, che aveva ricevuto rinforzi da quello tedesco, attaccò sull'Isonzo e sfondò le linee italiane a Caporetto, la colpa della sconfitta fu attribuita alla propaganda “disfattista” condotta dalle forze contrarie alla guerra (socialisti e cattolici). In realtà, i principali responsabili della ritirata di Caporetto furono i comandi militari, che furono incapaci di allestire difese efficienti contro un'offensiva diventata prevedibile dopo il crollo del fronte russo e, una volta avvenuto lo sfondamento, non riuscirono a far ripiegare le truppe in maniera ordinata. Fu dato invece l'ordine di resistere a ogni costo e l’esercito subì grandissime perdite.

austriaco era in sfacelo, per la rivolta dei soldati appartenenti alle nazionalità che volevano rendersi indipendenti. Il 3 novembre i soldati italiani giunsero a Trento e a Trieste e l'Austria firmò l’armistizio.

  • La rivoluzione in Germania Il 30 ottobre i marinai della flotta da guerra tedesca, ancorata nella base di Kiel, insorsero e anche in Germania si costituirono dei consigli composti da operai e soldati. Un governo rivoluzionario formatosi a Monaco proclamò il 7 novembre la nascita della repubblica bavarese, mentre a Berlino Karl Liebknecht guidava un'insurrezione di spartachisti. Il movimento spartachista era stato fondato dai socialisti tedeschi ostili alla guerra e favorevoli alla rivoluzione russa. La socialdemocrazia tedesca riuscì a prevenire una rivoluzione generale e a mantenere la guida del movimento, costringendo Guglielmo II ad abdicare. Nacque così un governo guidato dal socialdemocratico Philipp Scheidemann e fu proclamata la repubblica, di cui fu primo presidente un altro socialdemocratico, Friedrich Ebert. L'11 novembre la Germania firmò a Compiègne un armistizio che l'impegnava a consegnare l'armamento pesante, gli aerei, le navi da battaglia e i sottomarini e annullava le conquiste in Polonia e in Russia. Il 13 novembre ebbe fine anche l'Impero austriaco con l'abdicazione di Carlo IV d'Asburgo, che nel 1916 era succeduto al prozio Francesco Giuseppe.

I trattati di pace

  • I trattati di Versailles e di Saint-Germain I trattati di pace vennero discussi alla Conferenza di Parigi che si svolse nella prima metà del 1919. Quello con la Germania fu firmato a Versailles il 28 giugno. Il testo fu elaborato dalle potenze vincitrici, in particolare le decisioni furono prese dal presidente degli Stati Uniti Wilson e dai primi ministri francese e inglese, Clemenceau e Lloyd George, il quale sosteneva che “a pagare dovevano essere coloro che avevano causato le perdite”. Il trattato di Versailles segnò la fine dell'impero coloniale tedesco. Le colonie che erano appartenute alla Germania furono affidate alla Gran Bretagna e alla Francia come mandati (il mandato coloniale è una sorta di tutela esercitata dalle potenze europee sui popoli che erano ritenuti incapaci di governarsi da soli e che esse avrebbero dovuto portare gradatamente all'autogoverno). L'Alsazia e la Lorena tornarono alla Francia, a cui erano state tolte dopo la guerra franco-prussiana del 1870-1871. Alla Germania fu imposto il pagamento di ingenti riparazioni di guerra (20 miliardi di marchi-oro). Condizioni di pace così dure fecero nascere in molti tedeschi, tra cui Hitler, il desiderio di una rivincita che avrebbe portato allo scoppio della seconda guerra mondiale. La Polonia fu ricostituita con i territori che alla fine del Settecento erano stati occupati da Russia, Austria e Prussia e tornò a essere uno stato indipendente. La regione che univa la Prussia orientale al resto della Germania fu assegnata alla Polonia → sbocco sul mare. Nei trattati di pace con l'Austria e l'Ungheria, firmati a Saint-Germain, si prese atto della situazione che si era determinata con lo sfaldamento dell'Impero austro-ungarico. Nacque il nuovo Stato della Cecoslovacchia, comprendente la Boemia e la Slovacchia, oltre ai Sudeti. Nacque anche la Jugoslavia, con l'unione di Serbia, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro. Nel corso della guerra l'Albania, dove nel 1912 era stata proclamata l'indipendenza, era stata occupata da truppe greche, italiane e serbe. Nel 1920 alcune regioni abitate da Albanesi furono assegnate a Jugoslavia e Grecia.

  • Il trattato di Sèvres e la fine dell'Impero ottomano Un altro trattato fu firmato il 10 agosto 1920 a Sèvres tra le potenze vincitrici e l'Impero ottomano, costretto ad accettare la neutralizzazione degli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli (mettono in comunicazione il Mar Nero col Mediterraneo) e la perdita di gran parte del suo territorio (Iraq, Palestina, Siria e Giordania), che finirono sotto l'influenza della Gran Bretagna e della Francia. Parte dell'Anatolia fu assegnata alla Grecia. A Sèvres fu deciso che l'Armenia avrebbe ottenuto l'indipendenza. L'Impero ottomano si ridusse così alla sola Turchia, la cui capitale fu trasferita da Istanbul (Costantinopoli) ad Ankara. Le dure condizioni di pace rafforzano in Turchia il nazionalismo, rappresentato prima della guerra dai “giovani turchi". Nel dopoguerra la guida del movimento fu assunta da Atatürk, il quale riprese l'Anatolia, riaffermò la sovranità della Turchia sugli Stretti e nel 1921 depose il sultano Maometto VI. Ebbe fine così l'Impero ottomano: la Turchia diventò un paese laico e moderno grazie al presidente Atatürk, che aveva ricevuto un'educazione laica dal padre, un militare, e realizzò la sua riforma appoggiandosi all'esercito. Gli Stati Uniti non ottennero vantaggi territoriali dal conflitto, ma in termini di prestigio il loro ruolo internazionale acquistò un rilievo che non avevano mai avuto. Anche sul piano economico uscirono dalla guerra molto rafforzati, perché le industrie statunitensi avevano lavorato a pieno ritmo ed erano in grado di

invadere con i loro prodotti i mercati europei. L’intervento accrebbe la coesione sociale interna: anche gli uomini di colore diedero un contributo di sangue alla vittoria e furono elogiati dagli organi governativi. - Il ricordo del massacro degli Armeni: Gli Armeni chiedevano l’indipendenza dalla Turchia → massacro (1915-1918), che il governo turco ha rifiutato di ammettere. Nel 2005 lo scrittore turco Pamuk fu processato per aver ricordato la strage e l’assemblea nazionale francese approvò una legge che puniva chi negava che quelle stragi ci fossero state. Si discusse sull’ammissione della Turchia all’UE, ma il richiamo al massacro assunse una connotazione politica contraria.

La nascita della società delle nazioni e gli accordi tra le grandi potenze

  • La Società delle Nazioni I 14 punti di Wilson erano di difficile applicazione. I rapporti tra gli stati restavano fondati sulla forza: sarebbe stato possibile modificare tale situazione con una situazione pacifica alle più gravi vertenze internazionali. Proprio a questo scopo, nel primo dei suoi 14 punti, Wilson aveva chiesto l’istituzione di una Società delle Nazioni. Alla Conferenza di pace di Parigi, per sua iniziativa, erano state gettate le basi di questo organismo e nel 1919 il suo statuto era stato approvato. La Società delle Nazioni si componeva di un’assemblea, di un consiglio e di un segretariato: i paesi partecipanti avrebbero dovuto impegnarsi a non stipulare accordi segreti, a procedere al disarmo e ad avvisare le colonie all’indipendenza. Gli organi di governo della Società delle Nazioni non avevano però la forza di imporre l’obbedienza alle decisioni prese. La sostanziale debolezza apparve ancora più evidente quando il parlamento americano, per il prevalere delle correnti isolazioniste, decise di non occuparsi più delle vicende europee. In tal modo gli Stati Uniti si esclusero volontariamente dalla Società delle Nazioni, di cui erano stati i principali promotori. Inoltre, l’Unione Sovietica e la Germania ne venivano tenute fuori, mancava quindi il carattere universale.
  • Le conferenze di Genova, Locarno e Parigi Alcune potenze cercarono maggiori garanzie in accordi parziali, stipulati fuori dalla Società delle Nazioni. Nell’aprile 1922 si riunì a Genova una conferenza internazionale per esaminare i problemi economici della Russia sovietica e della Germania. Vi parteciparono, insieme per la prima volta, paesi vincitori e vinti (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania, Austria, Russia sovietica). A conclusione di essa, la Russia sovietica e la Germania si impegnarono, con il trattato di Rapallo, a stringere rapporti diplomatici e a rinunciare alle reciproche rivendicazioni (nel 1926 avrebbero stipulato un patto di non aggressione). Con la conferenza di Genova la Russia sovietica entrò nel gioco diplomatico da cui la Russia di Lenin sembrava uscita con la rivoluzione del 1917. La posizione internazionale della Germania restò debole. Nel gennaio 1923 truppe francesi e belghe occuparono il bacino carbonifero e siderurgico della Ruhr, per costringere la Germania a pagare le riparazioni. La popolazione tedesca della regione bloccò la produzione. La situazione migliorò nel 1924 (ritiro delle truppe straniere dalla Ruhr) e nel 1925, col trattato di Locarno, la Germania riconobbe la frontiera franco-tedesca. Nel 1926 la Germania entrò nella Società delle Nazioni.
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La storia. Dalla fine dell'Ottocento a oggi. Capitoli I-O

Materia: Storia (Scientifico) - Tradizionale

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Liceo

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CAPITOLO I1: LA SITUAZIONE INTERNAZIONALE
L'imperialismo
Caratteri generali del XX secolo
Il XX secolo è stato il più denso di avvenimenti nella storia dell'umanità e perciò uno dei più importanti.
Durante il suo corso quasi tutti i popoli della Terra hanno avuto un ruolo attivo, sia pure con diverso grado
di partecipazione. Basti pensare che all'inizio del Novecento in Asia c'erano molte colonie e in Africa
nemmeno un paese che avesse piena indipendenza a causa delle forti influenze delle potenze europee,
mentre alla fine del secolo tutti i paesi asiatici e africani avevano conquistato la sovranità.
I confini della democrazia si sono allargati e il secolo si è chiuso con un bilancio positivo, ma per conseguire
ciò sono stati necessari immensi sacrifici; nessun altro secolo ha infatti conosciuto guerre così numerose e
devastatrici. I due conflitti mondiali combattuti dal 1914 al 1918 e dal 1939 al 1945 non sono paragonabili
alle guerre precedenti per il numero di morti e per la vastità delle distruzioni provocate. Questi due conflitti
sono avvenuti nella prima metà del secolo, mentre nella seconda parte c'è stata la cosiddetta "guerra
fredda", un periodo di pace segnato però dalla paura causata dalla previsione di un possibile conflitto
nucleare che avrebbe portato all'autodistruzione del mondo.
La scienza e la tecnica assieme all'industrializzazione hanno fatto immensi progressi a discapito talvolta
delle risorse disponibili, mettendo in pericolo l'equilibrio ecologico.
Dal colonialismo all'imperialismo
Nel corso dell'Ottocento i maggiori paesi europei, Gran Bretagna, Francia e Germania, avevano esteso il
proprio dominio in Africa e Asia grazie al colonialismo, colonialismo che ben presto divenne imperialismo.
Nella conferenza di Berlino del 1884 le potenze si spartirono infatti le rispettive colonie e sfere di influenza.
Facendo così ci fu l'avvio del processo imperialistico; infatti l'obiettivo non era più sfruttare
economicamente le colonie, ma rendere più forti le proprie posizioni militari in tutto il mondo. Questa era
la differenza sostanziale tra colonialismo ed imperialismo. Sul piano economico si cercò di esportare i
capitali che non trovavano impiego in madrepatria oltre allo sfruttamento delle materie prime tipico del
colonialismo. Lenin sottolineò l'aspetto economico dell'imperialismo, quando in realtà questo fu più
importante sotto il punto di vista politico-militare, in quanto gli stati rafforzarono il proprio dominio
attraverso una politica di potenza.
L'imperialismo britannico
Il primo ministro inglese Disraeli fece proclamare la regina Vittoria "imperatrice delle Indie". Egli aveva
un'idea di imperialismo "romantico", che però non affascinava ancora l'opinione pubblica. Ciò avvenne nei
decenni seguenti: l'imperialismo conquistò la classe dirigente e la popolazione. Venne quindi eletto nel
1900 Chamberlain, sostenitore di un "imperialismo aggressivo", con forte caratterizzazione sociale,
improntato sull'orgoglio nazionale; questa forma di imperialismo venne definita jingoismo. L'ideologia jingo
era fondata sulla celebrazione della superiorità del popolo inglese, cosa che fece molto presa sui piccoli
borghesi e sui disoccupati che così si sentivano orgogliosi di appartenere ad un forte Impero.
L'imperialismo tedesco
Il nazionalismo di Otto von Bismarck, artefice dell'unificazione della Germania, si trasformò
nell'imperialismo dell'imperatore Guglielmo II e del cancelliere Bernhard von Buelow. Essi, assieme alla
classe dirigente tedesca, volevano rivendicare "un posto al sole" per la Germania, ovvero rendere il prorpio
paese una grande potenza mondiale. Il primo ministro inglese Chamberlain tentò di stabilire buone
relazioni con la Germania, ma la rivalità tra i due paesi era ormai nei fatti, basti pensare alla politica di
armamenti e di rafforzamento delle flotte.
Le alleanze internazionali e i timori di guerra
Lo scontro tra Inghilterra e Germania avvenne nell'ambito dello schieramento delle due grandi alleanze: la
Triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria, Italia) e la Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia).
L'equilibrio tra i due schieramenti sembrava dover essere un fattore di pace; come il Times scrisse poco
prima dello scoppio della Grande Guerra, lo scontro sarebbe stato una immane calamità, ma perché ciò