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giacomo leopardi un poeta, filosofo, scrittore, filologo italiano.

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Anno accademico: 2021/2022
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GIACOMO LEOPARDI

Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno del 1798 a Recanati. Precocemente, a soli dieci-undici anni, Giacomo, compone già vari testi poetici, le prime prose, traduce le odi di Orazio. Seguono sette anni di ‘studio matto e disperatissimo’ come li definisce il poeta stesso, che ne compromettono irrimediabilmente la salute. Nasce in questi anni di reclusione nella biblioteca paterna una vocazione alla filologia. Nel 1817 Leopardi inizia a stendere gli appunti dello Zibaldone , il cosiddetto “libraccio di pensieri” , questo era infatti un quaderno degli appunti in cui Leopardi riportava tutte le sue riflessioni personali. Non era intenzione di Leopardi pubblicarlo ma egli intendeva custodirlo come un trattato morale , nel 1827 però sollecitato dall’editore Stella, Leopardi iniziò a redigere un indice tematico in cui appunto, classificò i principali nuclei tematici con lo scopo di costituirne un dizionario del sapere al pari di quello che fu, ad esempio il “Dizionario filosofico di Voltaire”. Il progetto non si concluse e finì nelle mani dell’amico Ranieri che non diede la giusta importanza all’opera e lo regalo a due donne di servizio. Solo alcuni anni dopo fu riscattato dallo Stato Italiano. Nello Zibaldone si concentra l’intero pensiero filosofico leopardiano che ruota intorno al concetto di uomo-natura e che confluisce nel cosiddetto “pessimismo leopardiano”, il quale a sua volta si può suddividere in tre fasi: pessimismo storico, cosmico ed eroico. La fase del “pessimismo storico” inizia con l’intervento di Leopardi nella polemica fra classicisti e romantici. A rispondere, in nome dei classicisti, furono Pietro Giordani e lo stesso Leopardi, infatti scrive Leopardi nello Zibaldone che la ragione è nemica della natura: la natura è grande, la ragione è piccola. Questa riflessione lo porta a elaborare il concetto di “pessimismo storico”. La Natura ha creato gli uomini felici perché li ha dotati della fantasia, che permette loro di non vedere i mali della vita; ma il progresso e la civiltà hanno dato sempre più spazio alla Ragione, che ha tolto all'uomo la fantasia e quindi la capacità di illudersi e di sperare. Gli antichi erano felici perché sapevano immaginare e traducevano questa capacità in grandi azioni eroiche; i moderni sono invece prigionieri di un mondo angusto, teso solo al soddisfacimento dei beni materiali. In questo periodo Leopardi, partendo dalla riflessione sull’infelicità, elabora una “teoria del piacere” secondo la quale “l'amor proprio”, cioè l’amore che ogni persona ha per sé stessa è anche la causa della sofferenza; infatti questo amore ci porta a desiderare un piacere infinito, destinato a non poter essere mai interamente soddisfatto. Alla questa prima fase pessimistica corrispondono i “piccoli Idilli” , un gruppetto di liriche in endecasillabi sciolti, il termine idillio rimanda alla poetica greca in cui era presente un quadretto naturale, infatti idillio significa proprio “piccolo quadro”. Queste opere, oltre ad essere molto importanti nella letteratura leopardiana lo sono anche in generale per quella italiana perché con esse viene inaugurata la cosiddetta “canzone libera” , Leopardi infatti, a differenza di altri autori come ad esempio, Petrarca, non segue uno schema preciso ma decide di utilizzare versi sciolti endecasillabi o settenari , accanto ai quali pone come figura retorica di spicco l’enjambement , la quale fornisce musicalità alla poesia. Il tema di questi Idilli è legato parecchio al piano della

soggettività e alla poetica del vago e dell’indefinito , infatti anche il linguaggio allude a all’ambito dell’indeterminatezza. Intorno al 1820 la visione leopardiana muta e si sposta verso quello che è definito il “pessimismo cosmico” , la natura da madre benevola si trasforma in matrigna crudele che non ha a cuore la felicità dei viventi ma mira solo a perpetuare l’esistenza del cosmo. Il passaggio a questa seconda fase pessimistica è dato dalle Operette morali , una raccolta di prose di argomento filosofico , già dal titolo si percepisce come il termine “morale” alludi all’ambito dell’etica, mentre con il termine “operette” si intende il modo ironico e leggero con il quale Leopardi tratta alcuni temi sociali. Nelle operette Leopardi iscrive l’dea di natura all’interno della concezione materialista propria dei maggiori pensatori illuministi del tempo, e cioè egli crede che l’universo sia un interminabile ciclo di leggi immutabili e necessarie, e che l’uomo non è niente di più che un ingranaggio di tutto questo, perciò il suo bene o il suo male rientrano come tutto il resto nel progetto della natura. Nelle Operette la riflessione è affidata spesso alla forma del dialogo , tal volta anche tra personaggi immaginari o creature fantastiche. Dopo le Operette morali la visione filosofica si assesta e intorno al 1828 l’ispirazione poetica di Leopardi si riaccende tanto da far nascere i cosiddetti “Grandi Idilli” , denominati anche "Canti pisano- recanatesi” perché scritti durante il soggiorno di Leopardi a Pisa e il suo ritorno a Recanati. In essi il poeta ha perso la speranza che portava con la fanciullezza e si rifugiava nel ricordo dei tempi passati, evocando immagini vaghe. Uno dei temi centrali di questi canti è il binomio ragione- immaginazione , con il quale Leopardi intende essere consapevole di cogliere il mondo attraverso la ragione, la quale fa vedere le cose come stanno realmente ma allo stesso tempo si allieta ricordando il passato attraverso l’immaginazione. Il terzo e ultimo periodo del pensiero filosofico leopardiano è quello del pessimismo eroico e cioè all'odio per la malvagità della natura si associa la volontà di resisterle eroicamente attraverso la solidarietà tra tutti gli uomini. Dopo il periodo dei cosiddetti “Grandi Idilli”, il poeta abbandona il “natio borgo selvaggio” di Recanati per recarsi a Firenze, qui compone il “Ciclo di Aspasia”, ovvero un gruppo di composizioni ispirate appunto ad Aspasia, pseudonimo di Fanny Targioni Tozzetti, donna di cui Leopardi si innamorò perdutamente. L’esperienza amorosa permise a Leopardi di lasciarsi alle spalle la vecchia poetica della rimembranza per creare una nuova poesia antimelodica, antidillica e che al contempo potesse ricordare la grande poetica della stagione classicheggiante amorosa.

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Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno del 1798 a Recanati. Precocemente, a soli
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traduce le odi di Orazio. Seguono sette anni di ‘studio matto e disperatissimo’
come li definisce il poeta stesso, che ne compromettono irrimediabilmente la
salute. Nasce in questi anni di reclusione nella biblioteca paterna una
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Zibaldone, il cosiddetto “libraccio di pensieri”, questo era infatti un
quaderno degli appunti in cui Leopardi riportava tutte le sue riflessioni
personali. Non era intenzione di Leopardi pubblicarlo ma egli intendeva
custodirlo come un trattato morale, nel 1827 però sollecitato dall’editore
Stella, Leopardi iniziò a redigere un indice tematico in cui appunto, classificò i
principali nuclei tematici con lo scopo di costituirne un dizionario del sapere al
pari di quello che fu, ad esempio il “Dizionario filosofico di Voltaire”. Il progetto
non si concluse e finì nelle mani dell’amico Ranieri che non diede la giusta
importanza all’opera e lo regalo a due donne di servizio. Solo alcuni anni dopo
fu riscattato dallo Stato Italiano. Nello Zibaldone si concentra l’intero pensiero
filosofico leopardiano che ruota intorno al concetto di uomo-natura e che
confluisce nel cosiddetto “pessimismo leopardiano”, il quale a sua volta si
può suddividere in tre fasi: pessimismo storico, cosmico ed eroico. La fase del
“pessimismo storico” inizia con l’intervento di Leopardi nella polemica fra
classicisti e romantici. A rispondere, in nome dei classicisti, furono Pietro
Giordani e lo stesso Leopardi, infatti scrive Leopardi nello Zibaldone che la
ragione è nemica della natura: la natura è grande, la ragione è
piccola. Questa riflessione lo porta a elaborare il concetto di “pessimismo
storico”. La Natura ha creato gli uomini felici perché li ha dotati della fantasia,
che permette loro di non vedere i mali della vita; ma il progresso e la civiltà
hanno dato sempre più spazio alla Ragione, che ha tolto all'uomo la fantasia e
quindi la capacità di illudersi e di sperare. Gli antichi erano felici perché
sapevano immaginare e traducevano questa capacità in grandi azioni eroiche; i
moderni sono invece prigionieri di un mondo angusto, teso solo al
soddisfacimento dei beni materiali. In questo periodo Leopardi, partendo dalla
riflessione sull’infelicità, elabora una “teoria del piacere” secondo la quale
“l'amor proprio”, cioè l’amore che ogni persona ha per sé stessa è anche la
causa della sofferenza; infatti questo amore ci porta a desiderare un piacere
infinito, destinato a non poter essere mai interamente soddisfatto. Alla questa
prima fase pessimistica corrispondono i “piccoli Idilli”, un gruppetto di liriche
in endecasillabi sciolti, il termine idillio rimanda alla poetica greca in cui era
presente un quadretto naturale, infatti idillio significa proprio “piccolo
quadro”. Queste opere, oltre ad essere molto importanti nella letteratura
leopardiana lo sono anche in generale per quella italiana perché con esse viene
inaugurata la cosiddetta “canzone libera”, Leopardi infatti, a differenza di
altri autori come ad esempio, Petrarca, non segue uno schema preciso ma
decide di utilizzare versi sciolti endecasillabi o settenari, accanto ai quali
pone come figura retorica di spicco l’enjambement, la quale fornisce
musicalità alla poesia. Il tema di questi Idilli è legato parecchio al piano della