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Sociologia Della Devianza

Corso

Criminologia (Corso A)

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Anno accademico: 2019/2020

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Scienze investigative

Anteprima del testo

Ramo della sociologia che si occupa di analizzare e indagare i comportamenti devianti all'interno di una società e di rintracciarne delle cause. Ma cos’è la devianza? Esistono per lo più due classificazioni principali: 1. Il comportamento che si discosta dalle regole sociali o dalle norme. 2. La reazione di una parte sociale a comportamenti o atteggiamenti non riconosciuti come conformi. La sociologia della devianza consiste essenzialmente in due metodi di indagine, o meglio di impostazione di studio, in due concetti principali: 1. Il concetto di devianza: il comportamento deviante è quel comportamento che viola le aspettative istituzionalizzate di una data norma sociale. 2. Il concetto di controllo sociale: l’insieme delle risorse materiali e simboliche di cui una società dispone per assicurare la conformità del comportamento dei suoi membri ad un insieme di regole e principi prescritti e sanzionati. Il concetto di devianza viene definito, circoscritto, racchiuso all'interno della teoria funzionalista, in particolare grazie all'opera più nota di Talcott Parsons “Il sistema sociale”. Connessi all'idea di "devianza" troviamo i concetti di "controllo sociale", elemento centrale nello studio dei comportamenti devianti dei membri di una società e di mutamento sociale. L’oggetto di studio della disciplina è: 1. la devianza con riferimento a comportamenti che violano norme; 2. non soltanto crimini ma anche comportamenti/problemi (tra cui quelli criminali) di violazione delle norme anche sociali; Le teorie e le ricerche sociologiche sul fenomeno deviante sono state distinte in due filoni generali. Il primo raccoglie le teorie rivolte allo studio dei fattori che determinano i comportamenti devianti. Interpreta il comportamento criminale come il risultato di una decisione razionale e logica dell'individuo volta ad ottenere benefici, altrimenti irraggiungibili, attraverso una valutazione sulle norme e le sanzioni. Il secondo comprende le ricerche che intendono descrivere i processi di formazione, di sviluppo e di produzione dei comportamenti devianti. Interpreta il comportamento criminale come determinato da fattori ambientali e sociali che influenzano in modo determinante il soggetto.

INDIVIDUAZIONE DEL COMPORTAMENTO DEVIANTE

Possiamo individuare in 4 grandi linee il comportamento deviante: 1) Comportamento valutato negativamente dalla maggioranza dei membri della società. 2) Scostamento dalla media dei comportamenti standardizzati. 3) Violazione delle regole sociali relative ai ruoli sociali. 4) Attribuzione di non conformità da parte del/gli individui che sono in contatto con il fenomeno diretto. Tuttavia abbiamo la necessità di ulteriori elementi per addivenire ad una più corretta definizione del comportamento deviante: 1) Un gruppo che riconosca e condivida la definizione. 2) L’esistenza di norme e aspettative di comportamento. 3) Il riconoscimento (soggettivo) della valutazione negativa del comportamento non conforme. 4) La reazione al comportamento non conforme. 5) L’esistenza di sanzioni o conseguenze negative. Si evidenzia una relazione bidirezionale tra devianza e specifico sistema culturale e normativo, cioè dipende da popoli e persone. La devianza è un concetto che abbraccia la criminalità ma è tutto ciò che si discosta dalle regole comportamentali che si ritengono usuali o normali, anche quelle non scritte.

CONTROLLO SOCIALE

È una manifestazione di potere e/o autorità allo scopo di riconoscere e mantenere valide le regole del gruppo sociale. È un universale culturale. La tipologia di controllo sociale prevede: a. Controllo sociale primario – informale/ relazionale b. Controllo sociale secondario – formale/ istituzionale c. Autocontrollo

Secondo il pensiero di Émile Durkheim, il controllo sociale rappresenta in particolare la necessità che la società debba influenzare in modo coercitivo ed efficace il comportamento del singolo soggetto, andando però a generare, talvolta, comportamenti di rifiuto dello status quo e comportamenti anti-convenzionali. Egli concepiva la società come una entità esterna all'individuo, un soggetto un elemento terzo che esiste prima di esso (individuo) e che ne debba influenzare il comportamento uniformandolo. La sua affermazione: «La società perpetua se stessa». Il filosofo italiano Danilo Campanella ha introdotto invece il concetto di "controllo dall'alto" ossia il controllo dei mass media al servizio del potere politico.

LO STUDIO DELLA DEVIANZA

L’ambiente culturale ed intellettuale del nostro tempo è ancora fortemente influenzato dal pensiero illuminista e possono essere individuati alcuni criteri fondamentali che si ritrovano in tutti gli studi che si interessano al fenomeno: Preoccupazione per l’ordine sociale; Certezza dei diritti dell’uomo e della libertà umana come diritto fondamentale; La ragione come fondamento guida dei comportamenti umani. I primi studiosi del fenomeno “devianza” la cosiddetta scuola classica (basata su principi illuministi) si sviluppò sul funzionamento del sistema penale.

LA SCUOLA CLASSICA

I due autori più celebri della scuola classica sono certamente Bentham e Beccaria. Contesto sociale: autorealizzazione dell'individuo attraverso il lavoro duro. Contesto intellettuale: affermazione dell'edonismo, ovvero gli umani vivono cercando sempre di massimizzare il piacere e minimizzare il dolore. Questa concezione divenne alla base del concetto di deterrenza, quest’ultimo non sarebbe altro che un sistema di pene o minacce per evitare trasgressioni (giustizia penale). Inoltre la deterrenza era efficace, se la punizione era certa, celere, e severa al punto giusto. Prospettiva teorica: Lo scopo principale della giustizia penale era fungere da deterrente per la popolazione, vista la concezione razionale ed edonistica dell'uomo. Il maggior interesse di questa scuola verso il sistema giudiziario, e su come le leggi influenzassero i cambiamenti sociali, fa di questa scuola una approccio strutturalista. Molti dei principi della scuola classica li ritroviamo nelle nostre costituzioni odierne, come il due process of law , i diritti naturali, il divieto della pena di morte, o torture. In più possiamo individuare, un rinnovato interesse per la deterrenza, e per il criminale come essere razionale.

L’INFLUENZA DEL POSITIVISMO E LE TEORIE BIOLOGICHE

Il positivismo ha fortemente influenzato i primi studi sul fenomeno della devianza sociale. Questa prospettiva sottolinea ed evidenzia l’importanza dell’applicazione dei criteri scientifici all’osservazione ed analisi dei comportamenti devianti e criminali. La prospettiva positivista permette di considerare senza preconcetti politici e/o ideologici le reali, le effettive condizioni sociali dove si sviluppano i fenomeni devianti e criminali, in buona sostanza senza alcun condizionamento. Si ricorre poi, anche alle nuove discipline, alle nuove scienze, alle nuove branchie come la psicologia e la cosiddetta sociologia evoluzionista. Le teorie biologiche, che vedono in Lombroso il loro massimo esponente, mettono in relazione le caratteristiche fisiche dei soggetti e la loro “vocazione” a commettere reati. Sheldon propone tre tipi di costituzione fisica ai quali corrispondono personalità diversamente “orientate al crimine”:

  1. Endomorfo: grassoccio, soffice, arti corti; temperamento placido e socievole.
  2. Mesomorfo: imponente, muscoloso, agile; temperamento aggressivo, irrequieto, instabile.
  3. Ectomorfo: magro e fragile; temperamento introverso e nervoso. Loro vedevano il comportamento umano come determinato da tratti biologici psicologici e sociali. Un ingrediente importante per l'ascesa di questa scuola furono gli studi sull'evoluzione, di Darwin per primo. La teoria della scuola biologica usa un metodo basato sull'osservazione sistematica, sull’analisi approfondita e l'accumulazione di prove e di fatti obbiettivi, all'interno di una cornice logicodeduttiva. Il Lombroso arrivò ad affermare che i criminali sono affetti da anormalità fisico biologiche, di natura atavica, o degenerativa.

La “solidarietà organica” invece è analoga alla coesione che tiene uniti gli elementi costitutivi dei corpi viventi. Sono cause primarie della divisione del lavoro sociale: il “volume” della società; la “densità; “materiale” della società; la “densità dinamica” della società.

WEBER E LO STORICISMO TEDESCO

Il pensiero e l’approccio di Weber pongono le basi che rivalutano il carattere culturale delle società. Capisaldi della sua impostazione teorica sono: I. l’autonomia delle “scienze dello spirito” – o delle “scienze della cultura” o delle “scienze umane” – nei confronti delle scienze naturali; II. l’“unicità” e “irripetibilità” dei fenomeni storico-sociali; III. le scienze sociali come scienze idiografiche; Il metodo comprende tipi di potere diversi:

  1. Potere razionale o legale, legittimato da leggi, si basa sul riconoscimento sociale della legalità di ordinamenti statuiti e del diritto di comando di coloro che sono chiamati ad esercitarlo.
  2. Potere tradizionale, legittimato dalla tradizione, si basa sulla credenza del carattere sacro delle tradizioni valide da sempre e sul riconoscimento della legittimità di coloro che sono chiamati a rivestire un’autorità in base a tali tradizioni.
  3. Potere carismatico, legittimato dal carisma, si basa sul riconoscimento sociale di un requisito eccezionale (forza eroica, ecc.) attribuito a un individuo e sulla sottomissione incondizionata all’autorità che ad esso deriva dall’attribuzione di tale requisito. Secondo G. Simmel ogni interazione sociale è ambivalente: in essa coesistono armonia e contrasto. In tutti i gruppi sociali integrazione e conflitto sono in un rapporto di reciprocità. Il conflitto può svolgere una funzione sociale positiva.  Conflitto nei gruppi: rafforza l’identità sociale del gruppo; consente il controllo delle tensioni interne; risolve l’opposizione tra tendenze contrastanti.  Conflitto tra gruppi: rafforza la coesione interna di ciascuno dei gruppi contendenti; attiva nuove interazioni tra gruppi in precedenza privi di ogni rapporto; consente un’effettiva valutazione dei rapporti di forza tra i contendenti; promuove alleanze tra gruppi altrimenti privi di rapporti reciproci.

LA SCUOLA DI CHICAGO

Considerò l'ambiente sociale e fisico, come prima causa dei comportamenti delle persone. Contesto sociale culturale: in fase di piena urbanizzazione e industrializzazione delle città, ondate migratorie, negli stati uniti, rendevano la città un luogo complesso e conflittuale. La prospettiva teorica della scuola: Due principali tecniche di indagine: la raccolta dei dati ufficiali statistici, attraverso i quali si individuarono le città, i luoghi, le classi sociali con alti tassi di devianza e la storia di vita, attraverso la quale si viveva si seguiva una determinata persona deviante studiandola, nella sua vita da deviante naturale. Teoria ecologica e della disgregazione sociale: studiarono le città come un insieme di zone concentriche a partire dal centro. La prima zona era quella del quartiere centrale degli affari con pochi residenti e numerose fabbriche e uffici, quella adiacente a questa era la zona di transizione poiché gli edifici amministrativi e industriali sconfinavano al suo interno, questa non era una zona appetibile in cui abitare, tuttavia il suo degrado la rendeva l'area più economica, e quindi presa di mira dagli immigrati. Non appena poi potevano permettersi di trasferirsi si spostavano nella terza zona, quella dei lavoratori, la più costosa dal punto di vista abitativo. Partendo dalla zona centrale si scopri che gli atteggiamenti devianti andavano affievolendosi. Nelle zone centrali e transitorie, la disgregazione sociale era più forte, anche per l'alto grado di mobilità, quindi il rapporto tra immigrati e criminalità andava letto, come conseguenza, di conflitto tra culture, e come disgregazione sociale nello spazio che occupano, peraltro in queste aree , c'è anche una maggiore possibilità di trasmissione culturale della devianza da altri individui.

LA SCUOLA DI CHICAGO, L'INTERAZIONISMO SIMBOLICO E IL CONFLITTO

CULTURALE

L'interazionismo simbolico: Questa è stata una delle teorie più feconde della scuola,si sviluppa l'idea che il comportamento umano sia il mero prodotto di simboli sociali scambiati tra individui. La mente e il sé, non sono innati, ma sono costruzioni dell'ambiente sociale, infatti è attraverso il processo comunicativo (o di simbolizzazione) che arrivano a definire se stessi e gli altri. Definiamo la nostra identità riflettendoci negli altri. Il conflitto culturale: data la posizione relativista assunta sui valori e comportamenti, era del tutto normale, riconoscere che il conflitto è diffuso all'interno della società, come processo appunto innescato dalle differenze tra culture e valori. Sellin suggeriva l'esistenza di due forme culturali di conflitto: 1. conflitto primario, quando uno stesso comportamento può essere rilevante in maniera diversa tra due culture. 2. conflitto secondario, si intende le sub culture all'interno di una cultura più vasta, che non si integrano alla nuova cultura, ma restano nella loro nicchia di valori propri. Le caratteristiche principali delle ricerche sono per la scuola di Chicago: 1. Vicinanza ai temi antropologici. 2. L’uso del metodo etnografico. 3. Ricerche su identità e integrazione. 4. Centralità della cultura (la realtà oggettiva è mediata dai valori). 5. Teoria dell’uomo marginale. 6. Diversità e conflittualità nella vita urbana. 7. Disorganizzazione sociale. 8. La cultura cittadina e le sue zone. 9. Vita quotidiana devianza e mutamento sociale.

TEORIE ECOLOGICHE

La rapida urbanizzazione e la velocità dell’immigrazione offrono numerosi spunti di analisi e riflessione. (In USA e qui). Innanzitutto i tassi di criminalità variano al variare della zona della città e ad avere maggiori tassi di reati sono le zone in cui vi è maggiore disorganizzazione sociale, dove è maggiore sia il tasso di disoccupazione sia la povertà e anche l’abbandono delle amministrazioni cittadine. Gli assunti fondamentali delle ricerche americane possono così riassumersi:  La realtà sociale è dunque oggettiva ma modificabile da parte del soggetto che l’interpreta secondo gli schemi e i valori acquisiti nel suo processo di socializzazione.  Le diversità tra uomini (immigrati) non sono diversità biologiche ma provengono da un diverso patrimonio culturale, religioso e sociale. Possiamo, quindi affermare che in definitiva l’identità dell’individuo è una identità sociale. La cultura è un adattamento immaginato e controllato dall’uomo, e permette di adattarsi all’ambiente e di adattare l’ambiente a sé, cioè di modificarlo alle proprie esigenze e bisogni. Approccio evoluzionista/ecologico e scala dei bisogni: Nasce la figura dell’uomo marginale e l’uomo asociale ed ancora il conflitto sociale e, quindi antagonismo e controllo sociale. Prospettiva del controllo sociale come accordo e assimilazione. Distanza sociale e attribuzione di status. Le fasi del mutamento sociale Il concetto di persona sociale e le “zone” del contesto urbano. Le teorie del “decentramento centralizzato” e della “successione”. Park ha creato il termine ecologia umana , che ha preso in prestito concetti dalla simbiosi, dall'invasione, dalla successione , dal dominio , dalla crescita graduale , dalla superordinazione e dalla subordinazione dalla scienza dell'ecologia naturale. Park ha offerto la prima esposizione di concetti ecologici (relazioni razziali, migrazione, assimilazione, movimenti sociali e disorganizzazione sociale). Mentre era all'Università di Chicago , Park continuò a rafforzare la sua teoria sull'ecologia umana e insieme a Ernest W. Burgess sviluppò un programma di ricerca urbana nel dipartimento di sociologia. Svilupparono anche una teoria dell'ecologia urbana. Usando la città di Chicago come esempio, hanno proposto che le città fossero ambienti come quelli che si trovano in natura. Park e Burgess suggerirono che

corpo sociale separato nella società; dall'altro, sono interessati sia ai loro valori specifici, sia, anche al rispetto dei valori dominanti e prevalenti nella società in quanto, l'affermazione dei loro valori specifici è favorita dall'esistenza di quelli concorrenti e prevalenti.

STRUTTURAL-FUNZIONALISMO

La corrente di pensiero si sviluppò negli USA tra gli anni ’40 e gli anni ‘60 e rispetto le tematiche della devianza e del controllo sociale considera i fenomeni devianti una sorta di patologia sociale. Riprendendo l’impostazione durkheimiana ci si interroga sul perché la gran parte dei membri di una società non devia non commette atti devianti. Parsons parte dalla necessità di capire attraverso quali dinamiche di integrazione l’aggregato umano si mantiene coeso e si riproduce nel tempo. Parsons propone uno schema teorico-esplicativo che evidenzia le condizioni di stabilità e coerenza dell’aggregato umano. Come viene concepito il comportamento deviante all’interno della teoria di Parsons? L’azione sociale in Parsons, cioè l’attore sociale compie un’azione che può essere definita sociale quando questa viene messa in atto volontariamente e consapevolmente in un contesto di relazioni in cui sono noti i fini da raggiungere ed i mezzi e le norme per farlo. Ogni soggetto agisce tenendo conto delle aspettative reciproche rispetto alle posizioni sociali proprie e dei soggetti che lo circondano. Normalmente agisce in conformità a valori culturali, norme e simboli condivisi. Il sistema sociale viene dunque definito dall’insieme delle interazioni che si svolgono sulla base degli status e dei ruoli dei soggetti. L’ordine sociale è la risultante della consapevolezza dei soggetti rispetto la condivisione di un nucleo di regole e l’interiorizzazione dei valori culturali di riferimento. Ogni violazione delle aspettative metterà in atto delle reazioni. Ogni sottosistema genera alternative di ruolo che rimandano ad aspettative ed azioni non omogenee. Le alternative di ruolo sono definite da Parsons come variabili strutturali. Le variabili comportano differenti scelte in relazione al sistema o al sottosistema: Impulsi biologici e affettività contro autocontrollo e neutralità; Interesse privato contro interesse pubblico; Universalismo contro particolarismo; Realizzazione e attribuzione rispetto l’oggetto dell’azione; Specificità e diffusione.

TEORIA DELL’ANOMIA

Il concetto di anomia significa letteralmente "assenza o mancanza di norme". Come è noto, le norme sono necessarie e funzionali alla regolazione del comportamento sociale di individui o collettività. Il concetto di anomia per quanto riguarda più da vicino i concetti, i principi e le nozioni di sociologia della devianza, è legato ai lavori di Merton e Durkheim. Il Durkheim, introdusse il termine nel libro sulla divisione del lavoro sociale, per indicare la deregolamentazione, lo svuotamento e l'inefficacia di significato delle norme in una società, convinto che questo portasse ad un aumento della devianza. L'anomia è costante nelle società contemporanee, perché queste ultime sono sempre più caratterizzate dalla disgregazione sociale, a sua volta causata dalla complessità della società organica moderna. Merton inoltre subì le influenze di Durkheim ma innanzi tutto di Parson, suo maestro e fautore dello struttural-funzionalismo. Quest'ultimo considerava la società come il risultato di un equilibrio di forze che serviva a produrre ordine, il venir meno di questo equilibrio strutturale avrebbe prodotto disgregazione sociale. La prospettiva teorica: Merton sosteneva che la devianza era prodotta da anomia, a sua volta prodotta dalla tensione tra struttura culturale ossia la spinta al raggiungimento di mete importanti per tutti, attraverso mezzi appropriati e/o legali , e struttura sociale, cioè le reali possibilità di raggiungere quelle mete che spesso, sono, purtroppo bassissime specie per le classi meno abbienti. Per adattarsi dunque ai valori culturali della società gli individui hanno diversi modelli di comportamento che sono portati a seguire: Պ Il primo è la conformità che consiste nell'accettazione delle mete e dei mezzi anche se insufficienti. Questo dei diversi modelli di comportamento è l'unico che rientra nella legalità;

Պ Il secondo è l'innovazione fatta da chi ambisce alle mete, ma cerca di raggiungerle rifiutando i mezzi legali, ma bensì attraverso mezzi illegali. Պ Il terzo è il ritualismo ovvero, di chi abbandona le mete, ma resta attaccato alle norme sui mezzi. (Mi accontento di quello che ho). Il mezzo, ossia il lavoro viene visto come un fine in sé, non come mezzo per il successo. Պ Il quarto è la rinuncia, sia dei fini che dei mezzi, è quella dei mendicanti senza fissa dimora, dei tossico dipendenti ecc. Պ L'ultimo è la ribellione ossia, il rifiuto dei mezzi e dei fini, e la loro sostituzione di altri mezzi e altri fini. Questa è una teoria positivista, ed anche strutturale, concentra l'analisi sulla struttura sociale e sulla sua funzione di generare tensioni e anomia, infatti è anche definita come macro teoria, e come teoria funzionalista.

LA TEORIA INCENTRATA SULLE CLASSI INFERIORI DI MILLER

Il Miller, invece, arriva alla conclusione che in ogni società esistono diverse classi con una propria subcultura e ciò determina “preoccupazione sociale”. Miller esaminò i quartieri popolari di Boston permisero di concludere che i valori delle classi medie erano considerati dalle bande delinquenti meno importanti. La prospettiva di Miller sottolineò le differenze che esistevano tra le varie classi sul piano degli stili di vita. Miller riteneva che la società fosse strutturata in gruppi o classi con una propria subcultura. Miller adottò il concetto di preoccupazione sociale: sono dettagli o aspetti di ogni particolare cultura che richiedono attenzione e cura costante per cercare di risolvere la problematiche che portano appunto ai comportamenti devianti, come ad esempio la maternità femminile. I gruppi sociali subalterni, in quanto parte integrante della società condividono molte caratteristiche e interessi delle altre classi. Posseggono anche delle caratteristiche distintive. Le subculture delle classi inferiori strutturano modelli di comportamento adeguati per uomini e donne. Illustrano e insegnano le caratteristiche e le abilità. Le subculture forniscono i valori e i comportamenti necessari a uno stile di vita in cui il lavoro non qualificato è diffuso. Il comportamento criminale riscontrato tra le comunità dei ceti subalterni possiede caratteristiche generali simili a quello non criminale. Miller cercò di distinguere nella ricchezza e nella complessità delle subculture delle singole classi alcuni elementi essenziali. Lo fece descrivendo un insieme di preoccupazioni focali che sono alla base delle motivazioni e delle ragioni di molte forme di comportamento criminale delle classi inferiori. Molti degli atti criminali commessi dai membri dei gruppi subalterni scaturiscono più dai tentativi di adeguarsi agli standard della loro classe di appartenenza che da violazioni deliberate degli standard della classe media. I valori delle classi inferiori servono a forgiare giovani adulti maschi, che risultano delinquenti per le classi superiori e per il sistema, ma sono normali e apprezzati nella classe inferiore. Miller descrive sei caratteristiche sulle quali porre l'attenzione che caratterizzano la classe inferiore: 1. la molestia; 2. l’attitudine a violare la legge; 3. la durezza; 4. la scaltrezza; 5. l'eccitamento; 6. l'autonomia. Molti maschi delle classi inferiori crescono senza la figura di un padre costante, e/o presente. Quindi non apprendono bene i comportamenti che ha un uomo adulto, e dunque le bande costituiscono il contesto per formarsi e diventare adulti, e coltivare un senso di appartenenza e di prestigio. Sviluppi attuali e implicazioni politiche: La prima cosa da dire è la forte critica basata sulla ricerca delle auto denunce, secondo la quale non esiste e se esiste è debole il legame tra classe e comportamenti devianti. Altre teorie postume si sono concentrate una, sulla caratteristica meridionale della violenza per i maggiori reati commessi nei paese del sud degli USA. Un altra ancora sulla relazione densità della popolazione e atti devianti e questa per un certo senso si ricollega agli studi della scuola di Chicago. Naturalmente come spesso accade la politica per interessi “altri” non riesce a mettere in pratica ed a sostenere le attenzioni che la teoria e la scienza gli pone d'avanti. Si è cercato di attuare delle politiche per ampliare la struttura delle opportunità legali per le classi meno abbienti, attraverso politiche per la scuola, e per creazione di lavori part-time, ma non sono state politiche di risoluzione del problema.

La teoria dell'etichettamento è in sostanza procedurale in quanto si occupa di come le persone vengono etichettate, ma presenta anche delle sfumature strutturali quando evidenzia le tipologie di individui più suscettibili di etichettamento. E' una micro teoria ed al tempo stesso una teoria classica in quanto si occupa anche del sistema legale.

Implicazioni politiche e sviluppi attuali:

Uno sviluppo della teoria è quello che individua 3 tipologie di attori che reagiscono etichettando:

1. l'altro significativo;

2. le agenzie del controllo sociale;

3. la società in senso lato.

Altri hanno ampliato il concetto di etichettamento con quello di vergogna, concetto utilizzato

anche per studiare la deterrenza, e concetto che porta all'autoetichettamento e

autostigmatizzazione.

Un altro studio ha incluso l'etichettamento come azione necessaria per l'ordine sociale

individuando 4 tipi di etichette:

1. devianti malati;

2. devianti pentiti;

3. devianti cinici;

4. devianti nemici.

TEORIE DEL CONFLITTO

Le teorie criminologiche del conflitto sorsero nello stesso periodo di quelle dell’etichettamento. Entrambe vertono sulla natura politica della nozione di reato. Le teorie del conflitto si basano su un assunto fondamentale: è la conflittualità a caratterizzare la società. Gli approcci teorici sono diversi: Da un lato le teorie pluraliste sostengono che in ogni società esistono gruppi diversi che lottano per tutelare i loro interessi, dall’altro lato le teorie del conflitto di classe affermano che nella società vi sono due classi che tentano di assumere la posizione dominante. Il vero problema da studiare è quello dell’uso del potere per creare e mantenere l’immagine del consenso. Le teorie del conflitto si interessano alla genesi e all’applicazione delle norme. Per certi versi le teorie del conflitto si svilupparono direttamente da quelle dell’etichettamento. Gli scienziati sociali cominciarono a interrogarsi sulla natura delle strutture sociali e sul sistema legale. I primi studi di Turk e Quinney affrontavano il concetto di reazione sociale. La spinta più forte la diedero Coser e Dahrendorf, comunque vi sono varie versioni di teoria del conflitto che si basano sull’assunto che la conflittualità è un elemento naturale della società, si distinguono le versioni critico radicali e quelle conservatrici. Le teorie conservatrici ruotano attorno al concetto di potere, partono dall’assunto che i conflitti insorgono tra gruppi e/o classi sociali che tentano di esercitare un controllo su eventi o situazioni particolari, pertanto chi detiene il controllo del territorio, i mezzi finanziari e il potere politico sarà vittorioso. Molti gruppi hanno particolare interesse nel risultato di una decisione, ognuno di essi tenderà ad orientare l’esito a proprio favore. I gruppi esercitano pressioni sul legislatore e tentano di influenzare l’attività legislativa. Tre teorie affrontano questa forma di conflitto. Vold sottolinea come la società sia strutturata in gruppi in competizione tra loro. Secondo l’impostazione di Vold i gruppi configgono tra di loro quando i diversi interessi tendono a sovrapporsi scatenando la competizione. Secondo Vold l’intero processo di produzione, violazione applicazione delle leggi riflette i conflitti più profondi tra i gruppi di interesse; osserva che l’incapacità dei gruppi di minoranza porta alla criminalizzazione dei loro comportamenti da parte della legge. Turk invece vede l’ordine sociale come un prodotto del tentativo dei gruppi dominanti di controllare la società. Questo controllo si attua trasfondendo i valori nelle leggi. Turk specifica le condizioni che consentono di definire un individuo come criminale, all’interno di una relazione autorità-soggetto: il crimine è lo status attribuito ai trasgressori che percepiscono le norme sociali e la realtà in un modo che non consente di anticipare il risultato delle loro azioni. Secondo questo autore vi sono due modi di controllare la società: il primo è la coercizione, la seconda forma di controllo inerisce al sistema legale e ai tempi di vita.

Richard Quinney mise per primo in discussione le definizioni della criminalità e il funzionamento del sistema penale messi all’opera dal potere politico; presentò la sua teoria della realtà sociale del crimine che articolò in sei proposizioni considerando il crimine come il prodotto della reazione sociale e più in particolare di quella dei detentori del potere politico.

LE POSIZIONE RADICALI

Le posizioni radicali sono varie, una prima versione è fornita da Chambliss che si interessò al processo di formazione delle leggi e alla loro applicazione partendo dall’analisi del vagabondaggio. Il dominio di classe avviene in due modi: creando leggi penali che si incentrano sui comportamenti delle classi inferiori e quindi criminalizzandole e diffondendo il mito della legge come strumento al servizio degli interessi di tutti, Chambliss aveva dato il via ad una svolta nettamente marxista. Molti criminologi adottarono il modello di criminologia marxista infatti Marx attribuiva le cause del conflitto sociale sia alla scarsità di risorse che alle disuguaglianze storiche. Il conflitto riguarda proletariato e borghesia. Oggetto del conflitto di classe era il controllo dei mezzi di produzione. I criminologi marxisti esaminano le connessioni tra lotta di classe e criminalità, la prima è che la legge è di per sé uno strumento in mano alle classi dominanti, la seconda è che tutti i tipi di criminalità nei paesi capitalisti sono il prodotto delle lotte di classe, la terza riguarda la spiegazione della criminalità attraverso la relazione con i mezzi di produzione. Quinney e Spitzer hanno affrontato il problema del plus lavoro nelle società capitalistiche che garantisce il basso livello dei salari; Spitzer individua cinque categorie sociali: 1. i poveri che rubano i ricchi; 2. le persone che si rifiutano di lavorare; 3. le persone dedite al consumo di stupefacenti; 4. i soggetti che rifiutano la scolarizzazione; 5. gli attivisti fautori di una società non capitalista. Finchè queste categorie sono calme non c’è bisogno di impiegare le risorse, ma se una di queste diventa attiva rappresenta una minaccia per la classe dominante. Le versioni marxiste e radicali utilizzano alcuni concetti: differenze delle classi sociali; l’economia politica che si riferisce all’intera struttura economica la quale crea, in questo contesto, disuguaglianze economiche e sociali; la disgregazione familiare che è uno dei prodotti della disuguaglianza. Quindi, se il controllo è autoritario si sviluppa alienazione e ostilità che sono riportati in ambito familiare; le condizioni economiche rappresentano un fattore cruciale per molte teorie radicali, la disoccupazione è la variabile più associata al crimine; il plusvalore è lo sfruttamento capitalista della differenza tra i costi di produzione e il valore prodotto, quando questo si accresce non solo crea disoccupazione, ma anche sottoccupazione.

In seguito alla critica di semplicismo mossa a molte teorie criminologiche marxiste, è emersa una

nuova forma di criminologia radicale rappresentata da Young in Gran Bretagna e Dekeseredy negli

Stati Uniti.

La versione britannica indica il problema di tradurre le idee radicali in una politica realista;

l’assunto principale della criminologia realista si discosta dall’interpretazione marxista della

criminalità infatti i realisti riconoscono che i criminali esistono anche nei paesi socialisti e la

criminalità è una perdita netta nella qualità della vita di tutte le classi.

Jones, MacLean e Young elaborano quattro variabili esplicative della criminalità:

la vittima;

il reo;

lo stato;

la comunità.

LE TEORIE ATTUALI DEL CONFLITTO

La teoria del conflitto rientra nella prospettiva della scuola classica perché mette in rilievo più la criminalità che i criminali; è classificata tra le macroteorie perché è spiegata più la natura della società che il comportamento individuale. Le attuali teorie del conflitto seguono due strade: la prima affronta lo studio dei differenziali di potere tra i gruppi e i processi discriminatori. Secondo Wilbanks non esiste alcuna discriminazione sistematica; Mann giunge alla conclusione opposta.

Le interazioni faccia a faccia sono ordinate se adeguate all’insieme di regole condivise che guidano le rappresentazioni sociali. L’ordine delle interazioni è descrivibile attraverso l’analisi delle situazioni sociali. La condotta di ciascun soggetto è normalmente coerente con le aspettative. La faccia del personaggio esprime le aspettative sociali interiorizzate e contribuisce con ciò a definire la situazione della rappresentazione. Controllo sociale e devianza in Goffman: Goffman vede l’azione sociale come messa in scena di significati da parte di attori sociali, che interpretano (non “eseguono”ruoli). L’ordine sociale è prodotto e mantenuto attraverso l’ agire e l’interagire degli attori. La sociologia di Goffman analizza i contenuti delle interazioni condotte dagli attori all’interno di certe cornici(frame)di significato condivise e negoziate (“di che cosa si tratta”).


La “legge Basaglia” si inserisce nella riflessione sulle conseguenze possibili del controllo sociale e sugli interventi necessari per impedire che gli autori/attori di reato assumano il ruolo deviante in virtù del controllo sociale subito. Cesareo individua 4 fasi che identificano l’evoluzione del processo e le diverse caratteristiche del controllo: 1. Definizione normativa del comportamento; 2. La scoperta del deviante; 3. La decisione di azione nei confronti del deviante; 4. L’attuazione del provvedimento. Vengono così individuati 3 possibili scopi che il gruppo sociale tende a raggiungere applicando provvedimenti di controllo sociale: 1. Disincentivare il deviante a reiterare il reato; 2. Difendere la società e isolare il reo; 3. Riabilitazione del deviante attraverso la pena.

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Ramo della sociologia che si occupa di analizzare e indagare i comportamenti devianti all'interno di una
società e di rintracciarne delle cause.
Ma cos’è la devianza? Esistono per lo più due classificazioni principali:
1. Il comportamento che si discosta dalle regole sociali o dalle norme.
2. La reazione di una parte sociale a comportamenti o atteggiamenti non riconosciuti come
conformi.
La sociologia della devianza consiste essenzialmente in due metodi di indagine, o meglio di impostazione di
studio, in due concetti principali:
1. Il concetto di devianza: il comportamento deviante è quel comportamento che viola le
aspettative istituzionalizzate di una data norma sociale.
2. Il concetto di controllo sociale: l’insieme delle risorse materiali e simboliche di cui una
società dispone per assicurare la conformità del comportamento dei suoi membri ad un
insieme di regole e principi prescritti e sanzionati.
Il concetto di devianza viene definito, circoscritto, racchiuso all'interno della teoria funzionalista, in
particolare grazie all'opera più nota di Talcott ParsonsIl sistema sociale.
Connessi all'idea di "devianza" troviamo i concetti di "controllo sociale", elemento centrale nello
studio dei comportamenti devianti dei membri di una società e di mutamento sociale.
Loggetto di studio della disciplina è:
1. la devianza con riferimento a comportamenti che violano norme;
2. non soltanto crimini ma anche comportamenti/problemi (tra cui quelli criminali) di violazione
delle norme anche sociali;
Le teorie e le ricerche sociologiche sul fenomeno deviante sono state distinte in due filoni generali.
Il primo raccoglie le teorie rivolte allo studio dei fattori che determinano i comportamenti devianti .
Interpreta il comportamento criminale come il risultato di una decisione razionale e logica dell'individuo
volta ad ottenere benefici, altrimenti irraggiungibili, attraverso una valutazione sulle norme e le sanzioni. Il
secondo comprende le ricerche che intendono descrivere i processi di formazione, di sviluppo e di
produzione dei comportamenti devianti . Interpreta il comportamento criminale come determinato da
fattori ambientali e sociali che influenzano in modo determinante il soggetto.
INDIVIDUAZIONE DEL COMPORTAMENTO DEVIANTE
Possiamo individuare in 4 grandi linee il comportamento deviante:
1) Comportamento valutato negativamente dalla maggioranza dei membri della società.
2) Scostamento dalla media dei comportamenti standardizzati.
3) Violazione delle regole sociali relative ai ruoli sociali.
4) Attribuzione di non conformità da parte del/gli individui che sono in contatto con il fenomeno
diretto.
Tuttavia abbiamo la necessità di ulteriori elementi per addivenire ad una più corretta definizione del
comportamento deviante:
1) Un gruppo che riconosca e condivida la definizione.
2) Lesistenza di norme e aspettative di comportamento.
3) Il riconoscimento (soggettivo) della valutazione negativa del comportamento non conforme.
4) La reazione al comportamento non conforme.
5) Lesistenza di sanzioni o conseguenze negative.
Si evidenzia una relazione bidirezionale tra devianza e specifico sistema culturale e normativo, cioè
dipende da popoli e persone.
La devianza è un concetto che abbraccia la criminalità ma è tutto ciò che si discosta dalle regole
comportamentali che si ritengono usuali o normali, anche quelle non scritte.
CONTROLLO SOCIALE
È una manifestazione di potere e/o autorità allo scopo di riconoscere e mantenere valide le regole
del gruppo sociale. È un universale culturale.
La tipologia di controllo sociale prevede:
a. Controllo sociale primario – informale/ relazionale
b. Controllo sociale secondario – formale/ istituzionale
c. Autocontrollo
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