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Riassunto Psicologia della salute - Bertini

Riassunto completo del manuale principale (obbligatorio) da portare al...
Corso

Psicologia della Salute (PZC298)

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Anno accademico: 2015/2016
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PSICOLOGIA DELLA SALUTE

INTRODUZIONE

La psicologia della salute, come disciplina formale, si è affermata negli Stati Uniti dagli anni'70. Tra le diverse ragioni della sua diffusione, vi è in primis il notevole mutamento nella prevalenza delle principali patologie nei Paesi occidentali, passando dalle malattie infettive (la più importante causa di morte fino a qualche decennio prima) a una crescita delle malattie a decorso cronico, come le malattie cardiovascolari, cancro, diabete, infortunistica (soprattutto stradale) → l'importanza delle determinanti psicologico-comportamentali, nel nuovo panorama della patologia, ha facilitato un maggiore coinvolgimento degli psicologi. Con l'affermazione del modello biopsicosociale si è assistito a una naturale estensione della tradizionale "psicologia medica", ovvero un supporto alla medicina nella condivisione dell'obiettivo comune di sconfiggere le malattie. Altra novità si manifesta nella stessa parola "salute": fino a non molti anni fa, era semplicemente intesa come "assenza di malattia", mentre oggi viene intesa come benessere. L'OMS (1948) definisce salute = la salute non è assenza di malattia, ma è uno stato di benessere fisico, psichico e sociale. TUTTAVIA, nonostante le ripetute "raccomandazioni" dell'OMS, il concetto di salute come ben-essere rischia di disperdersi nelle linee superficiali del salutismo e del consumismo edonico. La definizione di Psicologia della Salute, approvata al momento dell'istituzione formale nel 1980 ed ancora oggi accettata, non pone al primo punto la diagnosi e il trattamento terapeutico della patologia, ma la promozione della salute. Il ritardo e la difficoltà di questa disciplina si possono capire anche dall'uso del linguaggio: - Influenza negativa dei codici linguistici (introdotti e consolidati nel campo della malattia) - Vistose lacune di parole e metafore in grado di rappresentare i concetti originali della salute. In particolare: 1) Parola "salute" È caratterizzata da elementi di ambiguità, a partire dai termini latini "salus" e "valetudo"; 2) No plurale È possibile introdurre un neologismo "salutìe", al fine di segnalare un senso di novità nel panorama tradizionale della salute. A fronte di una confortante ricchezza di conoscenze che abbiamo sul versante della malattie (con il suo plurale, malattìè), vi è una desolante povertà in quello della salute → la curiosità della scienza sembra riservata solo al malfunzionamento e al difetto, e non al vasto mondo delle risorse, delle competenze, del corpo come della mente, dell'individuo come della società. 3) Normalità vs. normatività Concetto di "normalità": prevale una linea astratta (la norma statistica) al di sopra della quale si trova il soggetto cosiddetto normale/sano, che non devia cioè dalla retta via (prescritta dal DSM), mentre al di sotto si trova il soggetto cosiddetto deviante/malato. Concetto di "normatività": indica la competenza a stabilire norme nuove di fronte agli eventi della vita → si annulla così la classica dicotomia normale/deviante. 4) Metafora del viandante In contrapposizione alla parola "deviante" (ancorata alla tradizione medica), si può introdurre il termine "viandante" per indicare la salute della persona (gruppo, organizzazione) nell'affrontare il viaggio della vita, fra mal-essere e ben-essere, con lo zaino carico di speranza. 5) Da "terapia" (delle malattie) a "promozione" (della salute) La sensibilità umana è attraversata, in modo più o meno latente, dalla paura della morte e quindi fortemente motivata a concentrarsi sulla malattia e a combatterla. Non c'è da stupirsi se la fuga più diretta e facile da questo vissuto si risolva nella ricerca di un piacere edonico culturalmente diffuso e facilmente incentivato dalle dinamiche esterne del mercato: non solo, la forza di questo istinto naturale può essere facilmente strumentalizzata dalle dinamiche del potere politico. DUNQUE la scienza ha il compito di spiegare che il bisogno di sopravvivenza si risolve non solo negli ingranaggi della difesa dalla morte, ma anche in quelli della speranza di vita, di cui il ben-essere è vettore sostanziale → pertanto, scienza della malattia e scienza della salute sono due territori non alternativi, ma complementari di cui la società contemporanea può avvalersi, a tutti i livelli, in un appropriato equilibrio di integrazione gerarchica. Obiettivo centrale del libro è quello di approfondire il territorio della salute come dimensione positiva e non più come un' assenza di malattia.

Parte I - I FONDAMENTI TEORICI DELLA SALUTE NELLA PROSPETTIVA DELLA PSICOLOGIA CAP - LA NASCITA DELLA PSICOLOGIA DELLA SALUTE La nascita della psicologia della salute, come nuovo ambito disciplinare, costituisce un passo significativo per la psicologia, in quanto la parola "salute" trova un'accoglienza ufficiale nel territorio della scienza psicologica. Tale disciplina si affermò negli USA e la sua emergenza formale si può ricondurre agli anni ' 70 con la costituzione della divisione nell’APA che raccolse un grande numero di iscritti. La definizione di psicologia della salute, proposta in quella sede nel 1980 e poi generalmente accettata è: L’insieme dei contributi specifici (scientifici, professionali, formativi) della disciplina psicologica mirati: - alla promozione e mantenimento della salute; - alla prevenzione e al trattamento della malattia; - all’identificazione di correlati eziologici, diagnostici della salute, della malattia e delle disfunzioni associate; - (Aggiunta in seguito) all’analisi e miglioramento del sistema di cura della salute ed elaborazione delle politiche della salute. Tale definizione è un repertorio onnicomprensivo di tutte le applicazioni della psicologia in ambito sostanzialmente sanitario. CONSIDERAZIONI: anche se appare importante l'aver collocato al primo posto il tema della promozione della salute, appare bene in vista lo scenario del “modello di malattia”, in linea con la vecchia psicologia medica → ciò costituisce un motivo di critica, in quanto la definizione nel suo insieme no trasmette il respiro di vera novità che il riferimento alla parola "salute" meriterebbe. Il clima culturale del periodo in cui essa nasceva si caratterizza per il diffondersi delle concezioni sistemiche nelle discipline scientifiche, dove si faceva strada un passaggio dal modello biomedico tradizionale (forte tendenza al riduzionismo) al modello biopsicosociale, di impronta sistemica. MODELLO BIOMEDICO TRADIZIONALE Modello descritto da Engel nel 1977 secondo cui la malattia può essere pienamente spiegata come deviazione dalla norma di variabili biologiche misurabili. - la malattia è un’entità indipendente dal comportamento sociale; - le deviazioni comportamentali sono spiegate in base a processi somatici disturbati; - modello che abbraccia il riduzionismo, ovvero la prospettiva filosofica secondo cui i fenomeni complessi derivano da un singolo principio primario; - modello che abbraccia il dualismo mente-corpo, ovvero la dottrina che separa il mentale dal somatico; - è il modello folk (popolare, “di moda”) di malattia che domina il mondo occidentale. CRITICHE: dagli aspetti dogmatici o metascientifici del modello derivano conseguenze negative: disumanizzazione, tecnicismo spersonalizzante, "imperialismo" del livello biologico rispetto agli altri. PREGI: grandi progressi delle applicazioni biomediche basate su tale modello. Occorre sottolineare come la tentazione al riduzionismo e dualismo caratterizza anche la psicologia: essa è nata con Wundt alla fine dell’800 come psicofisiologia, ma a cavallo tra le guerre il cervello è diventato una scatola nera e lo psicologo un non-fisiologo. Come conseguenza del pregiudizio dualistico la psicologia ha accettato fino a pochi anni fa la distinzione tra malattie somatiche, psichiche e psicosomatiche. Per tutte le discipline coinvolte nella cura della salute, si presenta quindi il problema della rigorosa specificità delle aree teoriche e delle pratiche professionali → DUNQUE problema sia per la teoria che per la pratica. VERSO UN MODELLO BIOPSICOSOCIALE Tale modello emerge in una cornice teorica orientata alla teoria generale dei sistemi → organismi biologici = entità complesse e unitarie, con diversi livelli di organizzazione strettamente interconnessi. La distinzione psiche e soma appartiene più al nostro bisogno classificatorio che alla realtà che si presenta come un intero, descrivibile casomai con linguaggi diversi. Matarazzo (1977) osserva che i fattori psicosociali sono implicati in tutte le malattie perché la malattia capita negli individui i quali hanno una struttura biologica ma anche psicologica e sociale e dunque la malattia si può comprendere meglio come rottura di un sistema biologico, psicologico e sociale. Lipowsky (1977) definisce la nuova medicina psicosomatica = lo studio di determinanti biologici, psicologici e sociali della salute e malattia. I fattori psicologici e sociali variano di malattia in malattia, di persona in persona, di episodio in episodio non si può a priori distinguere una classe di malattie psicosomatiche. Il concetto di cause singole e di sequenze unilineari (es. dalla psiche al soma e viceversa) è semplicistico e obsoleto, in quanto tutte le alterazioni della salute prevedono l'interazione dinamica di fattori multiple che capitano in costellazioni varianti e in sequenze temporali, a loro volta modificate da effetti retroattivi. La psicoanalisi ha offerto ampi spazi di ispirazione alla relazione fra livelli somatici e psichici, in quanto la stessa opera di freudiana nasce dallo studio di fenomeni fisici, detti isterici, negletti però alla medicina. Freud però evitò di occuparsi dal p.d. psicoanalitico di disturbi che implicassero lesioni organiche, nel timore di essere confuso con la schiera dei guaritori dell'epoca prepositivista. Lipowsky afferma quindi che il modello biopsicosociale non rende necessaria la distinzione tra malattie psichiatriche, psicosomatiche e mediche.

PRIME FASI DI SVILUPPO DELLA PSICOLOGIA DELLA SALUTE

Nella prime fasi di sviluppo della psicologia della salute, il contributo degli psicologi, pur esibendo la bandiera della salute, si è mosso nell’ombra della malattia. Verso la fine del secolo scorso è apparsa sempre più evidente l’importanza dei fattori psicologico-comportamentali nell’insorgenza, evoluzione e gestione delle patologie. Nei primi manuali le ricerche venivano inquadrate in 3 ambiti di interesse psicologico: 1. Stili di vita: sembra esserci uno stretto rapporto tra dinamiche comportamentali (oggetto specifico della disciplina psicologica) e processi di salute/malattia → certe abitudini assumono un peso notevole nella genesi delle malattie. In una relazione del ministro della sanità americana, emerge come nel 1976 in USA si stimò che oltre il 50% di tutte le morti era attribuibile a stili di vita non sani (fumare, mancanza di esercizio fisico, consumo di alcol, droga, diete inadeguate, non uso di cinture di sicurezza). Una volta riconosciuto il ruolo del comportamento nella genesi di disturbi, si richiese molto l’intervento della psicologia, specialmente in ottica preventiva; dal 1980 a oggi il coinvolgimento degli psicologi della salute in queste tematiche si è progressivamente esteso. 2. Reazioni alla malattia e “ruolo” di malato: la rappresentazione della malattia suscita atteggiamenti che influenzano poi le conseguenze cliniche, come ad esempio minimizzare o accentuare i sintomi. I manuali degli anni in cui si affermava psicologia della salute documentavano l’importanza del controllo dei fattori psicologici nel decorso della malattia, nell’alleviare complicazioni, nella terapia del dolore, nel valorizzare il supporto sociale, nelle crisi. Un altro importante capitolo riguarda da una parte le problematiche dei rapporti pz-malattia, e dall'altra quelle relative al rapporto pz- sistema sanitario/medico (es. compliance rispetto alle prescrizioni mediche) dove la ricerca evidenzia l’opportunità di un adeguato riconoscimento della dinamica relazionale nelle complesse transazioni fra pz e sistema di cura. 3. Effetti psicofisiologici diretti: si includono tutte le ripercussioni sulla salute direttamente legate a fattori psicologici, senza la mediazioni di comportamenti insalubri di vario tipo. I fattori psicologici possono agire su cellule, organi, funzioni tramite il SNC.  STRESS: In particolare si sottolinea il concetto di stress, mutuato dalla fisica e utilizzato per primo da Cannon per indicare gli effetti di alcuni agenti nocivi (es. freddo, mancanza di ossigeno). In seguito tale concetto è stato utilizzato da Hans Selye per descrivere la sindrome generale di adattamento dell’organismo di fronte a pressioni o sfide ambientali. Le scoperte di Selye hanno avuto grande impatto nella medicina e nella psicologia della salute. Mentre nelle prime formulazioni del concetto di stress il focus era sulla varietà di stimoli stressanti e sull’uniformità delle risposte, successivamente con lo sviluppo delle discipline psicologico-comportamentali emerse la pregnanza della variabili che intervengono tra stimolo e risposta. Lazarus e Folkman (1984) affermarono che la relazione tra stress e malattia non è solo di tipo semplice, ma dipende in consistente misura da: - differenze individuali biologiche e di personalità - dal contesto - dalle risorse a disposizione - dalla percezione dell’evento stressante stesso. Inoltre mentre prima degli anni ’70 si pensava che lo stress contribuisse allo sviluppo di patologie psicosomatiche, ma successivamente si indagò sulla relazione tra stress e tante altre patologie che si credevano di natura strettamente organica: es. malattie cardiache, ictus, tubercolosi, diabete, leucemia, cancro e vari tipi di malattie infettive, perfino la comune influenza. Friedman e Rosenman (1974) studiarono le patologie cardiovascolari identificando una connessione tra il rischio coronarico e un comportamento di tipo A (competitivo, ostile, urgente). Reiser (1980) sottolinea come il cervello coordina funzioni mentali, comportamenti, funzioni corporee.  INFLUENZE PSICOLOGICHE SUI PROCESSI IMMUNITARI: si tratta di un'altra tematica dove si registra un rinnovato interesse per merito di autori statunitensi (Ader, Cohen) che condussero uno studio sui ratti tramite un condizionamento pavloviano in grado di modificare la reattività immunitaria tramite il SNC (p). Una funzione classicamente ritenuta autonoma come quella immunitaria finisce quindi per rivelarsi intimamente collegata al SNC e perciò potenzialmente influenzabile, per quella via, da fattori complessi di ordine mentale. Negli anni ’70 un gruppo di psichiatri e immunologi australiani studiò le difese di 26 persone a distanza di 2 e 6 settimane dal divorzio: persone separate da poco e che erano molto legate al partner hanno un sistema immunitario peggiore. Infine Cohen dimostra una minore attività delle cellule Nk in un campione di disoccupati. Queste ricerche aprono una breccia significativa tra medicina e psicologia, anche perché la medicina non riesce a far fronte a nuove patologie senza l’apporto di una disciplina deputata allo studio del comportamento. È doveroso riconoscere che ancora ben poco sappiamo circa la natura e il significato funzionale di queste relazioni. Ader afferma che la divisione da professionalità che si occupano del soma e quelle della psiche è arbitrari: vi è solo un organismo, e la natura delle relazioni fra sistemi è altrettanto importante, dal p.d. funzionale, delle relazioni entro un sistema.

CAP - IGEA E PANACEA

Nella mitologia greca il Dio Esculapio dell’antica Grecia aveva due figlie:  Panacea: rappresentava l’impegno continuo di ricerca e cura della malattia in tutte le sue forme;  Igea: era la dea della salute, rappresentata con un coppa in mano da cui beve un serpente, insegnava ai greci come essere sani orientandoli alla moderazione dei comportamenti. Queste due figure esprimono simbolicamente la presenza di due istanze complementari fra le quali sarebbe artificioso attribuire superiorità o subordinazione. Entrambe sono necessarie all’uomo anche se il rapporto tra le due istanze può subire variazioni storiche e culturali → ad es. la medicina moderna ha imbrigliato lo spirito di Igea impegnandosi non oltre alla prevenzione della malattia. Ma che cos’è in realtà la salute? L’OMS definisce la salute = uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, e non semplicemente l'assenza di malattia o infermità". Questa definizione venne firmata il 22 luglio del '46 da rappresentanti di 61 Stati, ed emanata il 7 aprile del '48. Essa nella sua semplice formulazione, traccia le coordinate e le direttrici essenziali per un itinerario complesso. Concepisce il “benessere” in modo generico e ci fa capire quanto sia vuota la sua conoscenza, sia dal punto di vista strutturale che funzionale in quanto povero di articolazioni concrete sul piano scientifico. Come mai questo concetto ha trovato scarsa accoglienza dal p.d. scientifico? Ci sono state resistenze e difficoltà obiettive → occorre indagare anche la specifica responsabilità della psicologia ricercando questa trascuratezza nei nodi critici del suo sviluppo ed emancipazione come scienza. LE FATICOSE TAPPPE DEL PASSAGGIO AL "MODELLO SALUTE" La psicologia della salute dopo oltre 30 anni dalla sua formale comparsa nella scena come disciplina, sta ancora facendo fatica a traghettare il passaggio dal modello malattia al "modello salute". Nella storia dell’emancipazione della psicologia dalla filosofia bisogna discutere di due questioni: 1. La scelta del metodo sulla linea delle scienze naturali: la maturazione dell’identità scientifica della psicologia è un problema centrale nella sua emancipazione; il nodo epistemologico è nel compito che essa si propone di studio oggettivo della soggettività. La psicologia entra nel mondo della scienza nella seconda metà dell’ 800 con l’Istituto di Psicofisiologia di Wundt, trovando nelle scienze naturali il terreno più idoneo di sviluppo, terreno in cui la misura nell’ordine della quantità e il metodo sperimentale costituivano i lineamenti salienti. Ma la problematicità di questa scelta diventa più inquietante per la psicologia quando anche nelle scienze biologiche nascevano dubbi sull’adozione delle misure tradizionali delle scienze fisiche, come sottolineato da Canguilhem secondo cui quando si ha a che fare con processi biologici non si può usare l’approccio scientifico tradizionale perché il biologico è caratterizzato da una sfuggevole variabilità dei processi vitali → ancor più critici sono i nodi da sciogliere affrontando il percorso della salute rispetto a quella della malattia perché la scelta della positività allarga la soggettività ulteriormente. Il problema del metodo inoltre si è accentuato proprio in coincidenza con la nascita della psicologia della salute coincidenza non casuale perché la salute si rivolge alla vita e la vita richiede strumenti flessibili, mentre quando si parla di malattia è molto più coerente e accettabile l’uso di metodologie quantitative tradizionali (Gadamer). Quando si parla di salute appaiono evidenti i limiti delle conoscenze raggiungibili nella comprensione della soggettività utilizzando metodi quantitativi (sostenuti dalla psicologia positiva- approccio nomotetico), seppur debba essere riconosciuto il contributo che queste metodologie hanno portato per la comprensione di fenomeni complessi della mente → si è affacciato all’orizzonte l’orientamento delle metodologie qualitative (sostenute dalla psicologia umanistica – approccio idiografico). Questi due modi di procedere sono sempre stati visti come incontrapposizione, mentre secondo Braibanti questa insistente lotta porta solo alla separazione netta dei due settori quando invece la correttezza degli strumenti dipende dalla coerenza con questo obbiettivo e non dall’uso dei numeri → è opportuno superare l’idea di scienza rigidamente bloccata alla scelta di un metodo unico da applicare allo studio di tutte le realtà perché ci vuole una pluralità dei metodi che tenda ad un processo integrativo, senza rinunciare a indagare obbiettivi intrisi di elementi valoriali o usando metodi tradizionalmente rispettati ma del tutto inappropriati all’oggetto perché sono le domande che il ricercatore si pone a strutturare le metodologie da adottare → quantificare l’umanesimo e umanizzare la quantificazione (Sheldon, Kasser). 2. L’appiattimento al modello medico: il distacco dalla filosofia e l’avvicinamento alla biomedicina e fisiologia hanno intaccato l’identità della psicologia mostrando una forte influenza del modello medico-clinico e portando ad un appiattimento al setting medico-psichiatrico dove si è trovata ad operare, specialmente la psicologia medica e clinica. È sufficiente notare quante parole (clinica, diagnosi, terapia, devianza) siano transitate e facciano parte del patrimonio culturale della psicologia → nel secolo scorso, denominazioni di derivazione medica (come "psicologia clinica") hanno paradossalmente consentito ai medici di reclamare una competenza esclusiva su queste discipline applicative. Infatti, fino al 1989, sul piano giuridico solo il medico era abilitato alla psicoterapia, mentre l'accesso alla psicoterapia era vietato anche ai laureati in psicologia (da notare che in quegli anni il laureato in medicina molto spesso non aveva avuto nemmeno l'opportunità di un insegnamento di psicologia).

 PSICOLOGIA POSITIVA

Negli anni ‘90 si è affermato il movimento della Psicologia Positiva in USA con a capo Seligman, che nel primo capitolo del suo manuale afferma che questa psicologia riuscirà a capire e costruire i fattori che consentono a persone, comunità e società di svilupparsi in modo fiorente e utilizzando gli stessi metodi e laboratori usati fino ad ora i futuri scienziati cercheranno di comprendere e costruire le caratteristiche che rendono la vita più degna di essere vissuta. Fin dalla nascita la p. positiva ha riconosciuto nei leader della p. umanistica i loro precursori, tuttavia emerge una tendenza a distinguersi dalla p. umanistica a cui si attribuisce una scarsa aderenza all’uso di metodi quantitativi, utilizzati invece dalla p. positiva. Seligman, un critico della p. umanistica, afferma che la p. umanistica non rappresenta la p. positiva perché non ha generato una tradizione di ricerca. Taylor, controparte di Seligman, muove altrettante critiche nei confronti della psicologia positiva, a partire dall'uso stesso della parola "positiva", dietro la quale si nascondono 3 significati: 1) Significa positivismo: nel richiamo continuo agli standard della psicologia sperimentale si riconosce il senso implicito di posizioni epistemologiche riferite al positivismo tradizionale di Comte. 2) Riferimento al "rinforzo positivo": gli psicologi di questa corrente si erano formati nell'era del behaviorismo e presentano quantità immerse di dati che dimostrerebbero come questo tipo di rinforzo, basato sulla ricompensa, sia molto più efficace del rinforzo che si basa sulla punizione. 3) Positivo è in generale tutto ciò che si oppone in senso dualistico al termine negativo: il positivo può essere o qualunque cosa uno definisca come opposto del negativo (relatività della questione) oppure può significare solo quello che è definito da quelli che presumono di avere il maggior controllo su come definirlo. È evidente che, mentre da una parte si ostenta un approccio oggettivamente neutrale, libero dai "valori", dall'altra (psicologia positiva) si introduce una parola come "virtù", palesemente connotata nel senso di valore morale, Nonostante la disputa, la comparsa di idee e prassi targate come p. positiva ha avuto un effetto di trascinamento positivo per il modo e la puntualità con cui i promotori hanno raccolta e catalizzato l’interesse di molti psicologi intorno al cambiamento di paradigma.

CAP - LA SCIENZA DELLA SALUTE COME BEN-ESSERE Occorre ragionare sulle fondamenta stesse della scienza della salute. Cosa si intende per scienza della salute? La risposta deriva dalla definizione dell'OMS, ovvero “scienza del ben-essere” e, di conseguenza, i pilastri su cui si fonda sono le discipline biologiche, psicologiche e sociali. Su che basi si riconosce legittimità procedurale di questa scienza? Se si vuole costruire una scienza della salute come stato di ben-essere bisogna compiere un percorso analogo a quello della scienza della malattia come stato di mal- essere, ma ribaltato:  Scienza della malattia: individuare le varie forme di mal-essere (TASSONOMIA) → individuare le cause (EZIO- PATOGENESI) → individuare i metodi per rimuoverlo o prevenirlo (TERAPIA o PROMOZIONE);  Scienza della salute: dimensioni che lo caratterizzano (TASSONOMIA) → sorgenti e processi che lo alimentano (SALUTOGENESI) → metodologie per promuoverlo (PROMOZIONE). Non si può creare una divaricazione tra approccio biomedico e psicosociale, collocando il primo nella malattia e il secondo nella salute perché il movimento verso Igea investe trasversalmente tutte le discipline di questo campo. Il richiamo a Igea, nonostante si possa rilevare un recente maggior interesse e impegno da parte della psicologia, è comparso in origine in medicina con la parola igiene anche se né in campo medico né in campo psicologico ci sia un vero impegno e sviluppo dei centri di interesse → Di fatto, sebbene si parli di "psicologia della salute", come ambito disciplinare ormai accademicamente e professionalmente consacrato, ancora non vi è ancora una "medicina della salute", dove la salute è una dimensione positiva e non l’assenza di malattia (a differenza delle numerose ricerche della moderna psicosomatica che descrivono in che modo un fattore determina una patologia oppure impedisca il benessere). LA SCIENZA DEL BENESSERE DAL P.D. DELLA PSICOLOGIA Questa emergenza della salute come stato di benessere, non deriva necessariamente dal modello biopsicosociale, il quale implica una compresenza di più dimensioni ma non la direzione di interesse: inserir la voce della psicologia o della soggettività tra gli operatori della salute non fa spostare la mentalità dal versante del modello malattia a quello del modello della salute. DUNQUE il vero problema che si presenta oggi è come declinare il concetto di "stato di benessere", contenuto nella definizione. È possibile rilevare due linee generali di tendenza: 1) Benessere soggettivo (subjective wellbeing) Si tratta di studi mirati alla valutazione soggettiva del benessere, tramite l'uso di scale di valutazione che includono misure positive e non la semplice assenza di fattori negativi. La misura del benessere soggettivo vide un’accelerazione con l’entrata in campo degli economisti che si occupavano di PIL inteso come indicatore di benessere di una nazione. Cicognani (1998) afferma che l'interesse per il benessere soggettivo non è affatto prerogativa della psicologia, anzi, la psicologia è stata l'ultima in ordine di tempo a occuparsene. Prima di lei è stato interesse di discipline come filosofia, religione, ideologie politiche, economia, scienze sociali, ciascuna delle quali ha sviluppato le proprie prospettive e una

propria terminologia. Inoltre, agli inizi, paradossalmente la psicologia si è interessata soprattutto delle condizioni in cui il benessere è assente, ovvero all'infelicità umana. Il concetto di benessere soggettivo, che viene indicato generalmente come di tipo edonico, ha una molteplicità di sfaccettature che richiedono un'attenzione sempre più differenziata da parte dei ricercatori. Si possono distinguere, in generale, almeno due categorie:  Benessere soggettivo: ricerche che riguardano esperienze registrate in situazioni contestuali o riferite a circostanze recenti. Esempio ricerca di Bradburn (1969): ricerca per evidenziare come certi cambiamenti sociali di macrolivello potessero influenzare il ben-essere della gente usando come V. la felicità, intesa per lui come eudaimonia, e operazionalizzandola come uno stato di equilibrio tra emozioni positive e negative. Dagli anni '70 in poi, sulla falsariga di questa ricerca, hanno preso origine gran parte dei lavori sul benessere soggettivo da parte degli psicologi. Ovviamente la "felicità" non è stato il solo indicatore di benessere negli studi empirici di questi anni: centrale a tutti gli strumenti costruiti in questo ambito è la presentazione di una serie di indicatori di salute sui quali la persona esprime il suo giudizio, sia sul piano delle emozioni sia sul piano cognitivo.  Soddisfazione di vita (life satisfaction): ricerche che fanno riferimento a valutazioni di carattere generale sul modo in cui le persone percepiscono il loro rapporto con la vita, tramite questionari (Scale) in genere molto brevi, detti Global Evaluations of Individual Life Satisfaction che si propongono di misurare la felicità interrogando un campione rappresentativo di soggetti sul livello generale di soddisfazione della vita che stanno conducendo (es. eurobarometro", "Satisfaction With Life Scale" di Diener) Diener e collaboratori (2003) individuano 4 motivi per cui sono importanti le scale di misura del benessere soggettivo: 1. Queste scale dimostrano che il benessere soggettivo è in grado di produrre benefici rilevanti (es. migliore salute e longevità): 2. Le persone di ogni parte del mondo ritengono che il benessere soggettivo sia un fattore importante; 3. Il benessere soggettivo è un indicatore della qualità della vita assieme ad altri indicatori economici e sociali come il PIL; 4. Il benessere valutato come un’importante variabile di outcome nel campo della ricerca su anziani e altri gruppi target (di fatto risulta un indicatore significativo della qualità della vita in età avanzata) Oggi, il quadro di queste misure si presenta sempre più articolato e metodologicamente sofisticato. In genere questi metodi si basano su valutazioni soggettive effettuate in diversi momenti della giornata e per molti giorni. Rilevando esperienze vissute al momento, in diverse situazioni e in diversi contesti, è possibile superare le ambiguità delle misure glovali basate sul ricordo a distanza (Kahneman, psicologo e premio Nobel per l'economia). Kahneman, sottolineando anche il contributo emergente delle neuroscienze, sembra aver fiducia nello sviluppo della conoscenza scientifica del benessere soggettivo. In una sua intervista del 2011, l'autore afferma che la scoperta più importante in riferimento al benessere è il fatto che esso ha una larga componente genetica e vi sono dati che dimostrato (fra il 33% e il 50% della varianza) l'ereditarietà della "soddisfazione di vita". 2) Ben-essere psicologico = funzionamento psicologico ottimale di una persona. Si tratta dello sforzo di individuare le dimensioni oggettive di quello che si potrebbe definire un buon funzionamento psicologico. Siamo su un piano profondamente diverso rispetto a quello del benessere soggettivo, anche se i costrutti non sono del tutto indipendenti → l'esperienza eudemonica, caratteristica di un funzionamento ottimale (ben-essere psicologico) non può non essere accompagnata da un vissuto edonico di felicità (benessere soggettivo). L'obiettivo è quello di sistematizzare l'ampio panorama delle conoscenze entro linee procedurali analoghe a quelle seguite dagli studiosi della malattia (cfr. schema prima). A fuoco si pone quindi l'individuazione delle dimensioni del ben-esser e dei suoi indicatori, della loro dinamica evolutiva e della loro promozione. Nella consapevolezza della sua complessità, Bertini ritiene questo il compito più rilevante per il futuro della psicologia della salute. Prima di affrontare la tassonomia del ben-essere è indispensabile per l'itinerario tassonomico del ben-essere utilizzare come termine di confronto la ormai consolidata "tassonomia del mal-essere", con le molteplici categorie patologiche ampiamente rappresentate nel manuale psichiatrico DSM. Kant (1764) affermava: "C'è un genere di medici, i medici della mente, che ogni volta che trovano un nome, pensano di aver scoperto una malattia". A tal proposito, si deve tener presente come, non solo la psichiatria ma anche la psicologia clinica, abbiano alle spalle un'ampia storia di riferimenti al DSM = manuale che consiste in una classificazione dei disturbi mentali che vengono definiti sulla base di quadri sintomatologici raggruppati attraverso procedure statistiche. → La strada per costruire una tassonomia della salute potrebbe passare da un tentativo di "decostruire" il DSM: Maddux (2002) nel suo Manuale di psicologia positiva introduce un capitolo intitolato "Fermiamo la pazzia. La Psicologia Positiva e la decostruzione dell'ideologia della malattia e del DSM". Secondo questo autore, la categorizzazione e patologicizzazione dell'esperienza umana del DSM è l'antitesi della psicologia positiva ed è pertanto necessario attuare un certo tipo di "iconoclastia", in cui l'icona da frantumare è il DSM.

IL CONTRIBUTO DI CAROL RYFF

In primo luogo, Ryff e collaboratori volendo andare oltre la concezione medica della salute, fortemente ancorata al versante della patologia, hanno indicato 3 principi: 1) Riconsiderare l'eccesso di enfasi che la psicologia ha generalmente dato alla medicina rispetto alla filosofia. Essi affermano che la salute positiva non è una questione medica, ma piuttosto una questione filosofica che richiede un'articolazione del significato di "good life" → si mette in dubbio che il termine "happiness" sia la giusta traduzione della parola eudemonismo = dottrina morale che identifica il bene con la felicità, etimologicamente dal greco < essere con un buon (eu) spirito (daimon). Essi affermano che la traduzione di Bradburn suggerisce un'equivalenza tra eudemonismo e edonismo, ma in realtà con il termine eudemonia si intende "il sentimento che accompagna il comportamento nella direzione e nella coerenza con le proprie autentiche potenzialità". Secondo Ryff e Singer, se la concezione aristotelica di eudaimonia, come il più alto di tutti i beni, fosse stata adottata nel senso di realizzazione del proprio vero potenziale, anziché come "happiness", gli ultimi 20 anni di ricerca sul ben- essere psicologico avrebbero potuto prendere direzioni differenti. 2) Il benessere riguarda allo stesso tempo la mente, il corpo e le loro interconnesioni. Una valutazione comprensiva della salute positiva deve includere sia le componenti mentali e fisiche, sia i modi in cui esse reciprocamente si influenzano. Lo studio del substrato fisiologico degli "stati positivi della mente" apre infatti delle direzioni future cruciali per la comprensione dei meccanismi sottostanti la salute positiva umana. 3) La salute positiva umana si legge meglio come un processo multidimensionale dinamico che come uno stato finale discreto. In questo senso, il benessere umano è sostanzialmente una questione d'impegno nel vivere, che coinvolge l'espressione di una vasta gamma di potenzialità umane: intellettuali, sociali, emotive e fisiche. Si nota come nel pensiero della Ryff vi sia qualche accenno alla salute come processo anziché come stato, ma per il momento è importante attestarci al livello della salute come stato, nelle sue dimensioni tassonomiche. Il passo successivo degli autori, dopo aver condotto una circostanziata analisi delle caratteristiche ricorrenti nella storia del pensiero filosofico, è stato quello di rivolgersi alla letteratura scientifica più attenta ai lineamenti di funzionamento ottimale psicologico, al fine di individuare dimensioni suscettibili di misurazione, comuni e trasversali ai vari orientamenti → in particolare, dimensioni tratte da una sintesi di: − Teorie evolutive del ciclo di vita − Resoconti clinici di funzionamento − Descrizioni di salute mentale positiva In altri termini, quando si esaminano le caratteristiche del ben-essere riportate in queste varie formulazioni, appare chiaro che molti teorici hanno parlato di lineamenti simili del funzionamento psicologico positivo. Dal doppio confronto della letteratura filosofia e della letteratura psicologica di maggiore spessore, gi autori hanno ricavato un certo numero di indicatori del buon funzionamento psichico, mettendoli successivamente al vaglio della sperimentazione empirica. Sono state individuate le seguenti dimensioni: 1. Avere degli scopi e senso di direzione nella vita (purpose in life); 2. Sviluppo personale (personal growth); 3. Avere buone relazioni con gli altri (positive relations with others); 4. Capacità di controllo e senso di efficacia personale (environmentalmastering); 5. Accettazione, rispetto di sé, autostima (sel-acceptance); 6. Autonomia (autonomy). Di fatto, l'ipotesi di questa struttura del ben-essere a 6 fattori ha trovato sostanziale conferma nei dati di un campione nazionale statunitense. In sintesi, per individuare le dimensioni dello "stato di ben-essere psicologico" la Riff prevede il rispetto di alcuni passaggi: a) Prendere le distanze da una linea strettamente medica, cercando di attingere ispirazione alle fonti umanistiche della filosofia e dell'etica; b) Da queste fonti si filtrano i "criterial goods", ovvero gli indicatori teorici che qualificano un buon funzionamento mentale da cui si parte per verificare la loro trattabilità su piano delle scienze psicologico- sociali; c) Infine, si individua il substrato fisiologico di queste dimensioni che può determinare, secondo la Ryff, un importante progresso nella comprensione integrata e positiva della salute. Un'analisi critica ci fa capire le difficoltà e il merito nell'affrontare il crinale della "salute positiva". A tal proposito, Contrada (1998) afferma che:  Occorre maggior chiarezza sul rapporto con le tematiche dell’adattamento: la salute positiva è una sottocategoria di una serie di processi che permettono all’uomo di sopravvivere e prosperare o è un modo di concettualizzare tutto l’adattamento?  Sospetto di circolarità tra dimensioni costitutive della salute e determinanti della salute: es. le relazioni sociali sono una dimensione positiva o un fattore che contribuisce alla salute? Nonostante ciò questo modo di procedere ha un’utilità pratica evidente.

LA CLASSIFICAZIONE DEL BEN-ESSERE

Seligman e Peterson (2003) sostengono che per l'affermazione scientifica della psicologia positiva occorre partire da una tassonomia delle strenghts (risorse), così come ha fatto la psichiatria nella direzione opposta. A tal proposito nel 2004 è uscito un manuale, nel quale si propone una classificazione delle "risorse e virtù del carattere". Quest'opera si limita a istituire un processo di classificazione scientifica, ma tuttavia si intravede la costruzione di un DSM alla rovescia, ovvero una classificazione non più orientata a descrivere i molti modi di essere mentalmente malati, ma orientata ai molti modi di essere mentalmente sani. Il manuale, senza la pretesa di aver costruito una vera e propria tassonomia, si presenta quindi come un contributo, ampiamente argomentato nell'arco di quasi 800 pagine. È organizzato in 24 risorse (o virtù) inquadrate all'interno di 6 categorie.

CATEGORIE RISORSE

  1. SAGGEZZA E CONOSCENZA − Creatività − Curiosità − Apertura mentale − Piacere di apprendere − Visione prospettica
  2. CORAGGIO − Audacia − Persistenza − Integrità − Vitalità
  3. UMANITÀ − Amore − Gentilezza − Intelligenza sociale
  4. GIUSTIZIA − Cittadinanza − Equanimità − Leadership
  5. TEMPERANZA − Perdonare e avere pietà − Umiltà e modestia − Prudenza − Autoregolazione
  6. TRASCENDENZA − Apprezzamento della bellezza e dell’eccellenza − Gratitudine − Speranza − Umorismo − Giocosità − Spiritualità

DUNQUE con l'occhio attento allo scenario di queste risorse vitali che, in qualche misura o in modo nascosto, sono comunque presenti in ciascuno di noi, si aprono nuove potenzialità all'esercizio dello psicologo. Rogers (1961)ha descritto molte di quelle qualità che sono state successivamente identificate da Peterson e Seligman (2004) come risorse e virtù del carattere, definendo la persona pienamente funzionante = non difensiva e aperta all'esperienza, con la capacità di vivere pienamente ogni momento, avere fiducia nelle risposta del proprio corpo al mondo, riconoscere il proprio diritto alla libertà così come la propria responsabilità per le conseguenze di tale libertà, essere creativo, affidabile e costruttivo, e vivere una vita ricca e piena → ciò secondo Robbins (2008). In conclusione è necessario dire che, pur apprezzando il contributo alla tassonomia, non si può naturalmente minimizzare la complessità del compito. PERCHÉ LA PAROLA "SALUTE NON HA IL PLURALE? La consapevolezza ch la salute è uno stato in cui si articolano una serie di dimensioni positive ci obbliga a non trattare genericamente la "salute" al singolare. Per indicare le dimensioni del ben-essere si fa riferimento a concetti come strengths ("forze"), virtues, life skills ("competenze di vita"), ma in realtà l'uso di tali termini riflette un fenomeno di grande interesse: non esiste nel nostro vocabolario il plurale della parola salute! → e allora come si può parlare di tassonomia della salute se questa parola non ha il plurale? Tale mancanza nel vocabolario internazionale, sta a segnalare un emblematico vuoto di riflessione culturale e scientifica, in cui a tutt'oggi ci troviamo rispetto al versante della salute positiva. A tal proposito Bertini (autore del libro) propone di introdurre la parola "salutìe", neologismo che raggruppa insieme tutte le dimensioni della salute che funge da provocazione che potrebbe costituire un'arma efficace per far riconoscere il vuoto linguistico e facilitare un cammino analogo a quello ampiamente indirizzato e sostenuto dalla parola "malattie". Così, come a rappresentare il concetto generale della malattie si è affermata la parola "malattia", a rappresentare il concetto generale delle salutìe dovrebbe affermarsi la parola "salutìa".

LA CLASSIFICAZIONE DELLE EMOZIONI E L'ASIMMETRIA FRA QUELLE COSIDDETTE "NEGATIVE" E QUELLE "POSITIVE"

Sono presenti spunti di riflessione tassonomica anche nel campo delle emozioni. Il tema generale dell'affettività e la sua funzione di mediazione nel rapporto mente-corpo è di grande attualità nel panorama delle neuroscienze. Tale tema è di grande rilievo per la psicologia della salute, ma sembra esservi un'evidente prevalenza in letteratura delle emozioni cosiddette negative, rispetto a quelle cosiddette positive. Ashby, Isen e Turken (1999) affermano che nella letteratura neuroscientifica non c'è quasi alcuna menzione dell'affettività positiva e il limitare l'uso del termine all'omeostasi può solo servire a pregiudicare ogni ricerca sulla fisiologia dei libello più altri di gioia. Eppure, come osserva Changeaux (1986), la capacità di gioire, come quella di soffrire, è iscritta nei nostri neuroni e nelle nostre sinapsi. In realtà, la grande enfasi data allo studio delle emozioni negative appare giustificata sotto molti punti di vista: 1) Le caratteristiche di emozioni negative come rabbia, paura, disgusto sono chiaramente connotate e differenziate sia sul piano dell'espressività fisica sia sul piano del loro specifico orientamento all'azione. 2) Dal p.d. dell'evoluzione, si può facilmente capire la rilevanza adattiva di queste emozioni, così come la loro influenza disadattiva quando esse presentano caratteristiche estreme, prolungate o contestualmente inappropriate. Tutto questo spiega sufficientemente il motivo che ha spinto la ricerca scientifica a studiare in profondità le emozioni negative. Molto più vaghi e poco differenziati gli studi delle emozioni positive come gioia, serenità, interesse, contentezza, sia sul piano fisiologico che sul piano psicologico-comportamentale. La letteratura offre oggi una consistente mole di studi che dimostrano come anche le emozioni positive possano produrre effetti significativi sulla salute. Esempio ne è la ricerca di Danner e collaboratori (2001) che hanno analizzato a distanza di 60 anni dei manoscritti di alcune suore: quelli dove comparivano più emozioni positive erano di suore che hanno vissuto più a lungo. L'obiettivo evidente per lo psicologo della salute è capire il valore intrinseco di queste emozioni. IL MODELLO "AMPLIARE E COSTRUIRE" (Broaden-and-built) A proposito del tema delle emozioni positive, di rilievo è il contributo di Barbara Fredrickson (2002) che da diversi anni sta proponendo un modello teorico confortato da significativi risultati di ricerca. Questo modello tende a dimostrare una diversa, ma intrinseca, proprietà adattiva delle emozioni positive. La teoria sostiene che, a differenza delle emozioni negative (es. attacco e fuga) che restringono gli impulsi del comportamento umano ad alcune specifiche azioni utili alla sopravivenza, le emozioni positive ampliano la gamma di pensieri e azioni facilitando la flessibilità del comportamento. La teoria sostiene inoltre che, a differenza dei benefici prodotti dalle emozioni negative (diretti e immediatamente adattivi rispetto a situazioni di pericolo), i benefici delle emozioni positive emergono nel tempo e favoriscono: − maggior apertura mentale (es. strategie di coping o relazioni sociali) − salute − benessere Sulla base di questi rilievi empirici si ritiene che le emozioni positive possano essere un ingrediente fondamentale di un sano sviluppo della salute mentale → DUNQUE il modello di Fredrickson apre quindi uno scenario interessante nella prospettiva della promozione del ben-essere. La critica mossa a questo modello è che l’associazione fra emozioni positive e ben-essere non per forza è sempre da interpretarsi in modo causale. A tal proposito sarebbe necessario: a) incrementare ricerche di tipo longitudinale b) effettuare ricerche di manipolazione sperimentale delle affettività positive a fine di verificare effetti di cambiamento su altre variabili. In conclusione, il problema della positività e della negatività delle emozioni va considerato rispetto alla loro concreta utilità adattiva. La semplificazione linguistica di questi aggettivi che tende a stabilire delle categorie astratte, impedisce di vedere quanto il contributo dell'una o dell'altra possa variare non solo nelle situazioni concrete, ma anche nelle culture e nei tempi diversi in cui vengono espresse.

CAP - SALUTOGENESI DEL BEN-ESSERE

Cosi come per la rimozione delle malattie, anche per promuovere la salute bisogna studiare le cause e la genesi specifica delle varie salutìe. Per affrontare il versante della promozione del ben-essere è necessario approfondire le basi teoriche alla radice del concetto stesso di promozione, conoscendo le sorgenti, le dinamiche processuali delle dimensioni positive che si vogliono promuovere. Due contributi in particolare: Antonovsky e Canguilhem VERSO UNA VISIONE SALUTOGENICA: IL CONTRIBUTO DI A. ANTONOVSKY Tale autore fu il primo a introdurre nel 1979 il termine salutogenesi, ben consapevole delle lacune sul piano teorico della promozione della salute, in quanto pensiero e ricerca non sono state sfruttate per formulare una teoria in grado di guidare il campo. Nella letteratura e nei molteplici documenti dell’OMS, la promozione della salute si riduce alla promozione degli stili di vita, i quali rimandano ai fattori di rischio da prevenire più che promuovere. Lo scopo di Antonovsky (1996, nell'articolo "The salutogenic model as a theory to guide health promotion") in vece è quello di proporre come fondamento teorico il modello salutogenico = una teoria che nasce dallo studio delle risorse e delle debolezze dei concetti e pratiche di promozione, prevenzione e riabilitazione. La visione salutogenica prevede il superamento di un assioma che caratterizza l’orientamento patogenetico (e intrinsecamente anche i fautori della promozione della salute) che vede l’organismo umano come un sistema splendido, un’organizzazione meccanica che prima o poi viene attaccata da fattori patogeni e quindi danneggiata, identificando di conseguenza gli individui sani come una categoria residuale. Per meglio spiegare il cambio di orientamento. L’autore utilizza la metafora del fiume: 1) Nella visione della patogenesi: i malati sono nuotatori che annaspano nel fiume (di cui si occupa la medicina curativa), i sani sono sulla terraferma mentre altri sono sulla riva in pericolo di cadere (di cui si occupa la medicina preventiva); 2) Nella visione della salutogenesi: si parte dall’assunto che il sistema umano (come tutti i sistemi viventi) è intrinsecamente guasto, soggetto a un processo entropico inevitabile e a una morte certa e quindi siamo tutti nel fiume, ma bisogna capire quanto è pericoloso e come sappiamo nuotare → Se per il fatto di essere un sistema vivente, ognuno di noi è nel fiume, e nessuno sulla riva, si deduce che una classificazione dicotomica è inappropriata. In tal modo l'autore afferma che è meglio utilizzare un modello del continuum, che considera ognuno di noi, in un dato momento nel tempo, un una qualche posizione lungo il continuum sano/malato. Dopo il capovolgimento dell'orientamento patogenetico, con la sua concentrazione sui fattori di rischio, Antonovsky si pone la domanda, dal p.d. salutogenico, di come capire e orientare il movimento delle persone (o della collettività) nella direzione del polo positivo del continuum. Introduce a tal proposito un altro neologismo: i fattori salutari = fattori che siano neghentropici, che promuovano attivamente la salute. Un orientamento salutogenico, come base per la promozione della salute, guida le iniziative di ricerca o di azione, focalizzando l'attenzione sui fattori salutari e includendo tutte le persone, in qualunque posizione del continuum esse si trovino. Per fare ciò è indispensabile superare la visione patogenetica che identifica la persona con la malattia che ha: questo errore ha un risvolto: − sia etico: non è lecito trattare un essere umano identificandolo con una patologia, disabilità o caratteristica particolare, dato che un essere umano è tale per la sua complessità; − sia scientifico: l'identificazione della complessità umana che si limita unilateralmente alla patologia è semplicemente una cura povera. Al contrario, nella visione salutogenetica si considera la persona (o la collettività) nella sua interezza chiedendosi come possa essere aiutata a muoversi verso uno stato migliore di salute. Antonovsky ritiene che l'orientamento salutogenico offra la base per lo sviluppo di una teoria che può essere sfruttata nel campo della promozione della salute, pur constatando che idee brillanti non sono mancate → Ciò che è mancato è l’integrazione di queste in una buona teoria. Qui Antonosvky introduce una grande novità sia sul piano dell'oggetto che del metodo di studio: anziché studiare i pazienti che presentano sintomi specifici delle varie malattie, si studiano le persone che esprimono al massimo il livello di sintomi specifici delle varia salutìe. Un esempio: studio delle donne sopravvissute ai campi di sterminio, mentre ci si aspetterebbe di studiare quelle più “malate”, Antonovsky decide di studiare quelle più sane per capire cause e meccanismi della loro salute e sviluppa il concetto di "senso di coerenza" (SOC) come fattore salutare, ovvero un orientamento tendenzialmente salutare della persona che consiste in 3 componenti: 1. Comprensibilità: grado in cui gli eventi vengono percepiti come portatori di senso logico, ovvero sono ordinati, consistenti, strutturati; 2. Gestibilità: grado in cui la persona ha la sensazione di poterli affrontare; 3. Significato: grado in cui la persona avverte che la vita ha senso e le sfide che essa ci presenta meritano l’impegno. La teoria della salutogenesi con il concetto di SOC fu introdotta nel 1979 e poi rivista nel 1987 in un altro libro. Antonovsky si propose non solo come teorico, ma anche come ricercatore fino a quando morì improvvisamente nel 1994.

Tuttavia, il numero di ricerche nella direzione positiva sta aumentando. Ad esempio Selye (1956) parlò di "eustress" e "distress", rendendo conto che il termine stress appare ingiustamente schiacciato al versante della negatività, quando invece la sua assenza assoluta sarebbe altrettanto deleteria. Pertanto propose la duplice specificazione di eustress e distress. L'attenzione della medicina è stata giustamente rivolta a capire come difendere il corpo e restaurare la norma dagli assalti dell'ambiente interno ed esterno, mentre ben poco è stato fatto per salvaguardare e accrescere la capacità normativa. La valutazione della salute, nella cultura biomedica dominante, si risolve nella linea statistica dell'omeostasi e non nei dinamismi dell'impegno vitale. Altra questione è il termine guarigione: la valutazione della guarigione si rappresenta per lo più nel concetto della "restitutio ad integrum", e non nella comparsa e nell'ampiezza di una nuova norma. Nella prospettiva di salute come dinamismo dell'impegno vitale, anche il senso di cura assumerebbe un significato più sottile: curare = significa non cercare di forzarlo verso una condizione statisticamente ideale, ma aiutarlo a esprimere e realizzare le sue potenzialità. Goldstein affermava che il curante appare una sorta di pedagogo, che con tutti i mezzi che ha a disposizione favorisce l'autonomia del soggetto curato. A tal proposito Ford (1990) sottolinea l'importanza di considerare gli uomini sia come sistemi auto-organizzativi sia auto-costruttivi. Afferma che non possiamo cambiare o curare le persone ma fare qualcosa per loro → è probabile che strategie d'intervento multi-livello, multi-componenziali facilitino il cambiamento più degli approcci mirati di tipo unidirezionale. La linea dimensionale delle differenze individuali, fondamentale nel modello salute, viene perlopiù elusa nella visione medica che individua le categorie devianti dei soggetti malati o a rischio dalla categoria dei soggetti sani che stanno entro la gamma della normalità. TUTTAVIA, nello scenario della medicina più avanzata ci sono segnali di aperture innovative degne di attenzione, come ad esempio il contributo di Maseri. Egli da tempo si dedica a studiare i soggetti a rischio di patologia cardiaca seguendo una metodologia simile a quella di Antonosvky perché si interessa non solo dei soggetti “malati” ma anche di quelli “sani”. La sua fondazione “Per il tuo cuore” sostiene che “si parla molto di biodiversità nelle piante, animali ma bisogna applicare il concetto di biodiversità anche al Malato in quando ogni malato ha diritto a una sua terapia personalizzata, che tenga conto della sua risposta a malattie e terapie, della sua vulnerabilità, ma anche dei suoi "angeli custodi" (i fattori salutogenici) verso i rischi ambientali. Il fascino che la medicina occidentale subisce verso le medicine alternative potrebbe trovare canali più significativi e produttivi se venisse orientato alla ricerca di quanto la medicina occidentale può recuperare e sviluppare al suo interno nella prospettiva scientifica della salutogenesi. IL PROBLEMA DEI VALORI NEL MODELLO DELLA SALUTE Occorre ora aprire uno spazio di riflessione sulle caratteristiche valoriali che investono alla radice la dinamica delle dimensioni psicologiche positive. Antonovky ha tutti i motivi per rilevare il deficit di teoria nel grande panorama della promozione della salute, in quanto c'è dubbio che le basi teoriche della "promozione della salute" abbiamo una loro fragilità. È bene allora fare i conti con questo problema prendendo anzitutto consapevolezza delle cause di questa fragilità, la cui più importante risiede proprio nel passaggio al modello salute, dove assume un maggior rilievo il quadro degli assunti valoriali → se l'obiettivo è l'individuazione di dimensioni psicologiche positive indicative della "good life", allora il ricorso ai valori è un presupposto indiscutibile. Abbiamo già sottolineato la difficoltà della psicologia di affermarsi come scienza alla stregua delle scienze naturali dove, quasi per definizione, la posizione è neutrale, oggettiva e libera da valori → tale difficoltà riguarda la psicologia a tutto campo, anche a livello del modello malattia. Basti ricordare l'attribuzione di patologico al comportamento omosessuale nel DSM del '52 e la sua cancellazione nel '73, a significare quando il dato apparentemente oggettivo viene scavalcato dalle influenze culturali che cambiano nel tempo o fra popolazioni diverse. Non c'è dubbio tuttavia che il passaggio al modello salute renda ancora più evidente tale difficoltà. Gadamer (1993) afferma che le malattie sono un fenomeno che si può osservare attentamente, giudicarne il valore cli nico, e farlo con tutti i metodi messi a disposizione da un sapere oggettivamente fondato sulla scienza moderna; la salute invece si sottrae curiosamente a tutto ciò. Infatti, diverso è il caso quando l'oggetto di studio riguarda le dimensioni costitutive del ben-essere e la loro promozione: per spiegare il positivo dobbiamo fare i conti con i valori e gli ideali fondamentali dell'esperienza umana. In genere la posizione prevalente è il necessario superamento della cosiddetta value-free science, ovvero si auspica un più consapevole riconoscimento che la scienza psicologica, a tutto campo, ma in particolare nell'ambito della salute, non può dichiararsi libera dai valori della vita, nel suo procedere (teoria e metodo) nell'acquisizione delle conoscenze. Per molti autori, tra cui Christopher (1999) gli assunti valoriali del benessere nascono e trovano il loro luogo di maturazione nella cultura. Egli afferma che ogni cultura ha la sua "visione morale" (moral vision) → il termine morale va inteso nel senso più profondo di ciò che è vita, la comprensione più profonda di ciò che è buono, degno e desiderabile, ovvero cerca di catturale la centralità della dimensione morale, etica, collegata al valore della nostra esistenza. ( ≠ senso peggiorativo di moralismo, ovvero intolleranza, dare giudizi, imporre vedute ad altri). Christopher afferma che le persone necessariamente vivono all'interno di "visioni morali" che rispondono a due domande di fondo: 1) Che cos'è una persona, chi sono io; 2) "Che cosa una persona dovrebbe essere o diventare".

Le visioni morali (anche attraverso il veicolo delle psicologie indigene/folk) esercitano due tipi di funzioni: 1) Funzioni descrittive: ogni visione del mondo delle varie culture determina in che cosa consiste la realtà, come funziona, ciò che costituisce una persona, le sue risorse, facoltà, limiti (...) → la visione del mondo contribuisce a una comprensione descrittiva della persona. 2) Funzioni prescrittive: l'ethos di una cultura definisce la direzione nella quale dovrebbero procedere la crescita e lo sviluppo, modellando in questo modo la comprensione popolare del concetto di maturità, saggezza e benessere psicologico → indica come dovremmo comportarci, interagire, pensare, sentire. In questo modo, l'ethos (costume/ carattere particolare di un popolo) aggiunge un elemento prescrittivo o normativo. Ad esempio la visione del mondo che prevale nella cultura occidentale è l'individualismo, mentre in diverse culture non-occidentali prevale la cultura della relazionalità → non si tratta di caratteristiche esclusive dell'una o dell'altra cultura, ma pervasive di ogni cultura sebbene con diverso peso e diversa integrazione gerarchica. Valori e morali non sono "cose" soggettive che gli esseri umani annettono alle loro rappresentazioni e percezioni, ma al contrario, sono i valori intersoggettivi inevitabili e inestricabilmente intrecciati con i fatti. Questa cornice di premessa ci obbliga pertanto ad approfondire la riflessioni in questi due temi: a) Come conciliare le esigenze della scienza del ben-essere con il riferimento ai valori; b) Quali conseguenze sul piano applicativo (v. seconda parte del libro). Come conciliare la scienza del ben-essere psicologico con il riferimento ai valori Si può notare un fervore di studi e una linea di continuità tra di essi che ci consentono di segnalare due sistemi motivazionali centrali della natura umana: il bisogno di individuazione e il bisogno di coesione. Vi è una concordanza trasversale agli orientamenti delle varie scuole di pensiero circa la fondamentale tendenza della persona a: − Individuazione: realizzazione delle proprie potenzialità, nella linea della libertà − Coesione: tendenza della relazione sociale, altrettanto biologicamente e psicologicamente fondante Bisogno di individuazione Per quanto riguarda il processo di individuazione (o realizzazione delle potenzialità umane) si può rilevare un'importante distinzione tra:  Visione accrescitiva: implica il concetto di una struttura che sostanzialmente cambia solo nelle linea di un aumento quantitativo. Esempio: l’embrione è un piccolissimo uomo che aumenta solo di dimensioni, oppure sul versante psicologico lo sviluppo della personalità vista come un recipiente fisso da riempire con esperienze ambientali o la cultura in senso lato.  Visione dinamico-evolutiva: si basa invece sui processi di differenziazione e integrazione gerarchica, dove per esempio l’evoluzione psichica del bimbo prevede l’emergenza critica di attitudini di base attraverso elaborazioni precedenti ma anche sintesi creative nuove specifiche per ogni fase → l’uomo non si accresce ma si evolve e la sua legge è il cambiamento che dura tutto il ciclo di vita e quando cessa subentra la morte. DUNQUE lungo questa linea articolata di progresso, si misura il cammino di liberazione, nel senso di passaggio da situazioni di dipendenza o eteronomia verso forme sempre più evolute di autodeterminazione razionale e creativa. Il processo di "libertà" in cui si esprime il concetto di individuazione è il bisogno insopprimibile di uno sviluppo naturale nella linea delle potenzialità umane. La vita tende sempre a unire e integrare, dunque per sua natura la vita è un processo di costante sviluppo e cambiamento. Di fatto, quando sviluppo e cambiamento cessano, subentra la morte. Bisogno di coesione Occorre sottolineare

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Riassunto Psicologia della salute - Bertini

Corso: Psicologia della Salute (PZC298)

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PSICOLOGIA DELLA SALUTE
INTRODUZIONE
La psicologia della salute, come disciplina formale, si è affermata negli Stati Uniti dagli anni'70.
Tra le diverse ragioni della sua diffusione, vi è in primis il notevole mutamento nella prevalenza delle principali
patologie nei Paesi occidentali, passando dalle malattie infettive (la più importante causa di morte fino a qualche
decennio prima) a una crescita delle malattie a decorso cronico, come le malattie cardiovascolari, cancro, diabete,
infortunistica (soprattutto stradale) → l'importanza delle determinanti psicologico-comportamentali, nel nuovo
panorama della patologia, ha facilitato un maggiore coinvolgimento degli psicologi.
Con l'affermazione del modello biopsicosociale si è assistito a una naturale estensione della tradizionale "psicologia
medica", ovvero un supporto alla medicina nella condivisione dell'obiettivo comune di sconfiggere le malattie.
Altra novità si manifesta nella stessa parola "salute": fino a non molti anni fa, era semplicemente intesa come
"assenza di malattia", mentre oggi viene intesa come benessere.
L'OMS (1948) definisce salute = la salute non è assenza di malattia, ma è uno stato di benessere fisico, psichico e
sociale. TUTTAVIA, nonostante le ripetute "raccomandazioni" dell'OMS, il concetto di salute come ben-essere rischia
di disperdersi nelle linee superficiali del salutismo e del consumismo edonico.
La definizione di Psicologia della Salute, approvata al momento dell'istituzione formale nel 1980 ed ancora oggi
accettata, non pone al primo punto la diagnosi e il trattamento terapeutico della patologia, ma la promozione della
salute.
Il ritardo e la difficoltà di questa disciplina si possono capire anche dall'uso del linguaggio:
- Influenza negativa dei codici linguistici (introdotti e consolidati nel campo della malattia)
- Vistose lacune di parole e metafore in grado di rappresentare i concetti originali della salute.
In particolare:
1) Parola "salute"
È caratterizzata da elementi di ambiguità, a partire dai termini latini "salus" e "valetudo";
2) No plurale
È possibile introdurre un neologismo "salutìe", al fine di segnalare un senso di novità nel panorama tradizionale
della salute. A fronte di una confortante ricchezza di conoscenze che abbiamo sul versante della malattie (con il
suo plurale, malattìè), vi è una desolante povertà in quello della salute → la curiosità della scienza sembra
riservata solo al malfunzionamento e al difetto, e non al vasto mondo delle risorse, delle competenze, del corpo
come della mente, dell'individuo come della società.
3) Normalità vs. normatività
Concetto di "normalità": prevale una linea astratta (la norma statistica) al di sopra della quale si trova il soggetto
cosiddetto normale/sano, che non devia cioè dalla retta via (prescritta dal DSM), mentre al di sotto si trova il
soggetto cosiddetto deviante/malato.
Concetto di "normatività": indica la competenza a stabilire norme nuove di fronte agli eventi della vita → si
annulla così la classica dicotomia normale/deviante.
4) Metafora del viandante
In contrapposizione alla parola "deviante" (ancorata alla tradizione medica), si può introdurre il termine
"viandante" per indicare la salute della persona (gruppo, organizzazione) nell'affrontare il viaggio della vita, fra
mal-essere e ben-essere, con lo zaino carico di speranza.
5) Da "terapia" (delle malattie) a "promozione" (della salute)
La sensibilità umana è attraversata, in modo più o meno latente, dalla paura della morte e quindi fortemente motivata
a concentrarsi sulla malattia e a combatterla. Non c'è da stupirsi se la fuga più diretta e facile da questo vissuto si
risolva nella ricerca di un piacere edonico culturalmente diffuso e facilmente incentivato dalle dinamiche esterne del
mercato: non solo, la forza di questo istinto naturale può essere facilmente strumentalizzata dalle dinamiche del
potere politico. DUNQUE la scienza ha il compito di spiegare che il bisogno di sopravvivenza si risolve non solo negli
ingranaggi della difesa dalla morte, ma anche in quelli della speranza di vita, di cui il ben-essere è vettore sostanziale
→ pertanto, scienza della malattia e scienza della salute sono due territori non alternativi, ma complementari di cui la
società contemporanea può avvalersi, a tutti i livelli, in un appropriato equilibrio di integrazione gerarchica.
Obiettivo centrale del libro è quello di approfondire il territorio della salute come dimensione positiva e non più come
un' assenza di malattia.

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