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Teorie sull'internazionalizzazione

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Corso

Economia e gestione delle imprese industriali e internazionali (87103)

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Anno accademico: 2020/2021
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LE TEORIE SUL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

L'approccio macroeconomico

L'internazionalizzazione delle imprese nasce dal punto di vista teorico a partire dal contributo di Hymer del 1960. Prima di allora, infatti, il fenomeno dell'internazionalizzazione non veniva ricondotto all'attività di impresa, bensì a flussi internazionali di beni e di capitali indipendenti da questa ed interpretabili all'interno di approcci teorici che pongono al centro della riflessione le nazioni e le differenze tra nazioni. Nello specifico tali approcci, che si sviluppano nell'ambi to della macroeconomia, analizzano il fenomeno dell'internazionalizzazione in due filoni distinti: le teori e del commercio internazionale e le teorie della bilancia dei pagamenti. Il commercio internazionale è stato spiegato principalmente attraverso due modelli:

  1. Il modello dei vantaggi assoluti (Smith, 1776) → gli scambi commerciali tra due paesi si basano sul vantaggio assoluto. Se la nazione A è più efficiente nella produzione del bene X rispetto alla nazione B, mentre la nazione B è più efficiente nella produzione del bene Y rispetto alla nazione A, allora ognuna delle due produce ed esporta il bene per cui risulta più efficiente e importa dall'altra nazione il bene per cui risulta meno efficiente. In questo modo entrambe beneficiano dello scambio.

  2. Il modello dei vantaggi comparati ​, nelle due versioni:

a) Versione classica basata sul teorema dei costi comparati ​ (Ricardo, 1817) → anche se uno dei due paesi soffre di uno svantaggio assoluto ed è meno efficiente nei confronti dell’altro paese nella produzione di entrambi i beni, esiste ancora la possibilità per scambi reciprocamente vantaggiosi, a condizione che la ragione di scambio internazionale sia compresa tra i costi comparati dei beni nei due paesi. Un paese tenderà, quindi, a specializzarsi nella produzione del bene in relazione al quale ha un vantaggio comparato, ovvero la cui produzione ha un costo opportunità, in termini di altri beni, minore che nell'altro paese.

b) Versione a più fattori produttivi (Hecksher e Ohlin, 1933) → la condizione necessaria e sufficiente per spiegare l'esistenza di costi comparati diversi risiede nelle differenti dotazioni di fattori produttivi di ciascun paese. Ogni nazione gode di un vantaggio comparato nella produzione e esportazione di quei beni per cui, relativamente agli altri paesi, ha una maggiore disponibilità di risorse produttive. In particolare, i paesi con una dotazione relativamente più ricca di capitale si specializzeranno nella produzione ed esportazione di prodotti ad alta intensità di capitale e importeranno i prodotti ad alta intensità di lavoro da paesi relativamente più dotati di una abbondante manodopera. Questo modello non considerava la parità di accesso alla tecnologia, il protezionismo dei settori di interesse nazionale e i fattori politici e culturali.

L'approccio microeconomico

Negli anni '50 divenne evidente a diversi economisti come il commercio internazionale e gli investimenti diretti all'estero non potessero essere riconducibili esclusivamente a vari abili macroeconomiche, ma fossero entrambi fenomeni associati all'espansione internazionale delle imprese. Le principali teorie sviluppate nell'ambito della microeconomia sono:

LE TEORIE SUL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

  1. La teoria dei vantaggi monopolistici e delle imperfezioni di mercato(Hymer, 1960) → modello che si basa sulla constatazione che l'impresa che si insedia in un paese estero è soggetta a tutti gli svantaggi connessi alla sua condizione di società non nazionale ( ​ liability of foreignness ​). Le imprese locali, infatti, godono di una serie di vantaggi rispetto alle imprese straniere derivanti da maggiori informazioni sul proprio paese in merito a economia, lingua, leggi, cultura, società, sistema politico e istituzionale. L'internazionalizzazione delle imprese, tuttavia, può essere ricondotta al possesso di alcuni vantaggi:

▸ Vantaggi di costo:

▹ controllo delle tecniche di produzione; ▹ imperfezioni nei mercati dei fattori di produzione; ▹ condizioni di favore sui mercati finanziari; ▹ economie di scala.

▸ Vantaggi di differenziazione

▹ preferenza dei consumatori nei confronti di marchi internazionali; ▹ controllo di design di prodotto superiori, attraverso brevetti; ▹ proprietà o controllo contrattuale di punti di vendita strategici; ▹ marketing e promozione su larga scala.

  1. Il ciclo di vita del prodotto (Vernon, 1966, 1971) → Vernon imposta la propria teoria sul concetto di ciclo di vita del prodotto, individuando un particolare e preciso meccanismo di crescita internazionale dell'impresa innovatrice e una particolare direzione dei flussi di commercio internazionale. L'idea di fondo è che esista una stretta relazione tra il ciclo di vita del prodotto, le caratteristiche dei paesi e l'espansione internazionale delle imprese. Vernon analizza il comportamento delle imprese americane negli anni '60, le quali sono a diretto contatto con il mercato interno più avanzato del mondo, caratterizzato da:

▸ abbondante disponibilità di capitale ▸ alto livello di reddito pro-capite dei consumatori → consumo di massa

Queste due caratteristiche determinano esigenze particolarmente avanzate da parte dei consumatori, i quali iniziano ad adottare prodotti innovativi (es. lavatrici). Le imprese USA sono in grado di capire l'opportunità di trasformare le nuove conoscenze in nuovi prodotti commerciabili, prima delle imprese di altri paesi. La comunicazione col mercato potenziale le spinge ad innovare e sviluppare nuovi prodotti.

Le fasi dell'internazionalizzazione individuate da Vernon sono:

▸ Introduzione → il prodotto, realizzato e commercializzato nel paese in cui è situata l'impresa innovatrice, è nuovo e non standardizzato. ▸ Crescita e maturità → il prodotto, dopo essersi affermato sul mercato domestico, inizia, in virtù dei vantaggi di differenziazione posseduti, ad inserirsi sui mercati esteri;

LE TEORIE SUL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

▸ IDE conglomerale → internalizzazione dei mercati finanziari internazionali con lo scopo di sostituirli o di sostenerli.

Ad un'azienda conviene internalizzare se i costi di transazione sono superiori rispetto ai costi derivanti dal portare le operazioni all'interno.

  1. Il paradigma eclettico (Dunning, 1977, 1980, 2000) → l'internazionalizzazione delle imprese, qualunque sia il loro obiettivo, è determinata dai vantaggi riconducibili a tre insiemi di variabili interdipendenti (O-L-I):

▸ Ownership (proprietà):

▹ diritti di proprietà e/o beni intangibili (innovazione di prodotto, marchi, brevetti, sistemi organizzativi e di marketing, conoscenza non codificabile); ▹ vantaggi di governance, derivanti dall'organizzazione delle componenti con asset complementari.

▸ Location (localizzazione):

▹ prezzi degli input; ▹ costi di trasporto e di comunicazione internazionali; ▹ incentivi e disincentivi agli investimenti; ▹ barriere artificiali al commercio internazionale; ▹ disponibilità di infrastrutture.

▸ Internalization (internalizzazione):

▹ riduzione dei costi di ricerca; ▹ riduzione dei cosi di azzardo morale e di selezione avversa; ▹ incertezza dell'acquirente; ▹ intervento dello Stato.

In relazione all'obiettivo strategico che ne è all'origine, gli investimenti all'estero possono essere suddivisi in quattro categorie:

Ownership Localization Internalization Obiettivi Settori

Natural resource seeking

Capitale, tecnologia, accesso ai mercati; asset complementari; dimensione e potere di negoziazione.

Disponibilità di risorse naturali e infrastrutture; costi di materie prime e manodopera, incentivi fiscali.

Assicurare stabilità della fornitura; controllo dei mercati.

Ottenere l'accesso privilegiato alle risorse rispetto ai concorrenti.

Materie prime; Prodotti e processi labor intensive.

Market seeking

Capitale, tecnologia, informazione,

Dimensioni e caratteristiche del mercato;

Ridurre i costi di transazione e comunicazione;

Proteggere i mercati esistenti;

Computer, farmaceutico, automobilistic

LE TEORIE SUL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

capacità manageriali e organizzative; economie di scala; capacità di generare brand equity.

politiche e incentivi dello Stato.

proteggere i diritti di proprietà.

rispondere al comportament o dei concorrenti.

o, alimentare.

Efficiency seeking

Capitale, tencologia, informazione, diversificazione geografica e approvvigioname nto internazionale degli input (offshoring).

Economie di specializzazion e e concentrazione; bassi costi della manodopera; incentivi alla produzione.

Ridurre i costi di transazione e comunicazione; controllo dei mercati; economie di integrazione.

Razionalizzare il prodotto a livello regionale o globale; ottenere vantaggi di specializzazion e.

Elettrodomesti ci, automobilistic o, elettronica di consumo, tessile e abbigliamento , farmaceutico. Strategic asset seeking

Ciascuna delle tre categorie precedenti che offra opportunità di sinergia con gli asset esistenti.

Ciascuna delle tre categorie precedenti che offra tecnologia, mercati e altri asset di cui l'impresa è sprovvista.

Economie da attività congiunte; riduzione o diversificazione del rischio.

Rafforzare la competitività basata sull'innovazion e o sulla produzione; acquisire nuovi prodotti o nuovi mercati.

Settori con elevati costi fissi e che offrono notevoli economie di scala o sinergie.

L'approccio strategico

La prospettiva strategica, che si rifà alle teorie di Strategic Management, ha considerato il fenomeno dell'internazionalizzazione relativamente in ritardo rispetto ad altre discipline. Tale ritardo, è stato poi colmato con una serie di contributi che si sono focalizzati soprattutto sui contenuti di International Business.

  1. Modello di Kogut (1985) → definisce l'ambito delle strategie di internazionalizzazione rispondendo a due domande di ricerca:

▸ In quali attività le imprese devono concentrare le proprie risorse? ▸ Dove estendere le attività della catena del valore?

Per rispondere a queste domande il modello di Kogut coniuga due teorie di diversa derivazione:

▸ Teoria del vantaggio competitivo o firm specific advantage → deriva dalle differenze tra le imprese nella loro capacità di trasformare gli input con una redditività superiore rispetto ai concorrenti e influenza la decisione delle imprese relativa

LE TEORIE SUL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

▪ Risorse umane; ▪ Risorse fisiche; ▪ Risorse di conoscenza; ▪ Risorse di capitali; ▪ Infrastrutture.

▹ Condizioni della domanda interna → possono essere determinate in riferimento a tre attributi principali:

▪ Composizione della domanda domestica; ▪ Dimensioni e modello di crescita della domanda interna; ▪ Internazionalizzazione della domanda domestica;

▹ Settori industriali correlati e di supporto → la presenza di settori industriali internazionalmente competitivi a monte (settori fornitori) o correlati può costituire un vantaggio per i settori a valle o correlati. La presenza dei settori fornitori comporta diversi vantaggi per le imprese acquirenti: accesso rapido, efficiente, conveniente e precoce ai mezzi di produzione e alle materie prime; accesso alle informazioni, alle competenze e alle innovazioni dei fornitori. I fornitori agiscono quali canali di trasmissione nei confronti di tutte le imprese clienti delle innovazioni e dell'esperienza acquisite in un processo dinamico di cross-fertilization. Se i fornitori sono presenti a livello internazionale, le imprese acquirenti sono in grado di attingere all'esperienza che questi hanno accumulato nei confronti dei clienti esteri. Nei settori correlati (distretti), cioè quelli nei quali le imprese possono coordinare o condividere le attività nella catena del valore quando competono, oppure quelli che hanno a che fare con prodotti complementari, le relazioni sono simili a quelle relative ai settori fornitori.

▹ Strategia, struttura e rivalità dell'impresa → può essere analizzato in riferimento a tre attributi:

▪ Strategia e struttura delle imprese domestiche → differenze nelle impostazioni manageriali e nelle competenze organizzative che si riscontrano in ciascuna nazione; ▪ Obiettivi → differenze esistenti tra le nazioni in termini di obiettivi delle aziende e degli individui che vi lavorano (shareholders o stakeholders); ▪ Rivalità delle imprese → grado di competizione tra imprese che hanno la stessa base domestica.

A questi quattro elementi si aggiungono due ulteriori variabili:

▹ Il caso → gli eventi casuali, accadimenti che sono al di fuori del controllo delle imprese e dei governi nazionali, influiscono sul vantaggio competitivo nazionale in quanto, creando delle discontinuità, offrono ad alcune imprese l'opportunità do effettuare spostamenti nelle posizioni competitive. ▹ Il governo → può influenzare (ed essere influenzato da) ciascuno dei quattro componenti del diamante, positivamente o negativamente.

LE TEORIE SUL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

La prospettiva processuale

  1. Modello di Uppsala (Johanson e Vahlne, 1997, 1990) → considera il processo di internazionalizzazione come un processo evolutivo incrementale in cui il coinvolgimento internazionale dell’impresa aumenta gradualmente per effetto delle conoscenze relative al mercato acquisite tramite l’esperienza. Il processo di internazionalizzazione delle impres e è un processo sequenziale di crescita che evolve per stadi: inizialmente l’impresa si concentra sui mercati esteri nei quali già opera e successivamente si espande nei nuovi mercati che si trovano ad una distanza psichica (psychic distance) maggiore a causa delle differenze in termini di lingua, educazione, pratiche commerciali e così via. L'esperienza accumulata dall'impresa nella conduzione delle operazioni internazionali influenza la scelta della modalità di ingresso e la selezione dei mercati nazionali in cui entrare. Johanson e Vahlne affermano che l’impegno di un’azienda in uno specifico paese si sviluppa secondo una catena consolidata:

a. Esportazioni e importazioni; b. Accordi strategici; c. Joint venture; d. Investimenti diretti esteri.

L’U-Model è stato criticato poiché:

● è troppo rigido; ● implica che il management non possa influenzare le scelte aziendali → se le imprese si dovessero sviluppare in conformità con il modello, allora gli individui non avrebbe scelte strategiche da compiere. ● oggi molte imprese non seguono il tradizionale processo a stadi → alcune imprese sono internazionali sin dalla loro nascita (Born Global).

  1. Network approach (Johanson e Mattson, 1993) → il processo di crescita internazionale di un’impresa dipende fortemente dal numero e dall’intensità delle relazioni interpersonali da essa stabilite, le quali influenzano la scelta dei mercati esteri, la tempistica, il DO I (proprietà intellettuale), le scelte strategiche e le performance. Basandosi sul modello Uppsala, Johanson e Mattson continuano ad esaminare il processo di internazionalizzazione, prendendo come punto di partenza il network. Nel modello di Johanson e Mattson l’enfasi è sull’apprendimento graduale e lo sviluppo della conoscenza del mercato attraverso l’interazione con il network. La posizione di un’impresa nel network può essere considerata sia da una prospettiva micro (firm-to-firm) sia da una prospetti va macro (firm-to-network). Nel processo di internazionalizzazione, infatti, sono cruciali s ia i rapporti di cooperazione e competizione tra le imprese, sia le relazioni interne ed esterne al network. L’impresa internazionale inizialmente si impegna nel network locale/nazionale e successivamente sviluppa relazioni commerciali in network di altri paesi. Ciò è realizzato attraverso la creazione di relazioni in network nuovi per l’impresa (international extension), lo sviluppo di posizioni e l’incremento di risorse impiegate nei network dove l’azienda è già posizionata (penetration) e la coordinazione di network di diversi paesi (international integration). Quindi, se le relazioni tra le imprese sono considerate come una rete, si può

LE TEORIE SUL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

po’ di confusione. Alcuni studiosi usano questo termine in riferimento a tutte le piccole impr ese, mentre altri in riferimento a tutte le nuove imprese. Nella pratica, comunque, l’imprenditor ia è presente sia nelle grandi aziende ben consolidate sia nelle piccole imprese, rappresentando un importante elemento per il loro sviluppo organizzativo ed economico. I fondatori delle imprese imprenditoriali, ossia gli imprenditori, sono individui che:

▸ svolgono attività imprenditoriale; ▸ hanno la capacità e la volontà di prendersi rischi; ▸ sono innovativi; ▸ sanno sfruttare le opportunità commerciali presenti nei mercati internazionali; ▸ sono attenti alle possibilità di combinare le risorse provenienti da diversi mercati nazionali grazie alle competenze (networks, knowledge e background) che hanno sviluppato in precedenti attività.

Al centro dell’attività imprenditoriale c’è l’innovazione. Affinché l’imprenditoria internazionale abbia successo non è sufficiente scoprire un’innovazione di valore, ma è necessario essere in grado di proporre tale innovazione su scala mondiale.

Recentemente, alcuni studiosi hanno proposto un modello concettuale integrativo che si propone di integrare i modelli tradizionali con l’area emergente delle start-up internazionali. L’internati onal entrepreneurship conceptual model si concentra su quattro proprietà dell’internazionalizzazione (mode, market, product, time) a cui si aggiunge la performance di internazionalizzazione e sugli antecedenti e le conseguenze dell’internazionalizzazione (firm international performance: sales growth, profitability). Gli antecedenti all’internazionalizzazione sono:

▸ Le caratteristiche dell’imprenditore o entrepreneur:

▹ Human capital → International business skills, International orientation, Environmental perception and Management know-how. ▹ Social capital

▸ Le caratteristiche dell’impresa o firm characteristics → Number of employees and Sales . ▸ Le caratteristiche dell’ambiente o environmental characteristics → Domestic environment and International environment.

L’approccio istituzionale

Le istituzioni sono “humanly devised constraints that structure human interactions” (Peng, 2008). Le istituzioni sono le regole del gioco in una società (Rules of Game - North, 1990). Esse consistono in regole informali (costumi, tabù, usanze, tradizioni e codici di condotta) e regole formali (norme, leggi e regolamenti).

Ogni paese è caratterizzato da un proprio ambiente istituzionale. La distanza istituzionale o institutional distance misura la differenza in termini di regole, politiche, sistema di valori e sistema educativo, tra l’ambiente istituzionale di un paese e quello di un altro. Nei mercati emergenti spesso le istituzioni sono assenti o non funzionano come dovrebbero. Il termine carenze istituzionali o ​ institutional voids è usato per indicare le lacune create dall’assenza

LE TEORIE SUL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

di intermediari che rendano possibile l’incontro tra domanda e offerta di mercato e connettano in modo efficiente compratori e venditori.

LA GESTIONE INTERNAZIONALE DELLA CATENA DEL VALORE

Nell’approccio internazionale la relazione tra corporate e sussidiaria diviene molto più intensa, mentre continuano a non avere rilievo quelle tra le varie sussidiarie. Il ruolo più attivo della corporate favorisce un migliore coordinamento delle attività estere, essenziale quando queste raggiungono un’estensione e una rilevanza economica significative. Inoltre, crea condizioni migliori per lo sviluppo e lo sfruttamento del vantaggio competitivo.

3. Modello globale

L’approccio globale determina un’evoluzione radicale nel processo produttivo internazionale per diverse ragioni:

▸ l’impresa globale si configura come una rete di unità dislocate in aree geografiche diverse, ma integrate. ▸ la posizione competitiva nei vari paesi è gestita in maniera unitaria dal HQ, riducendo l’autonomia strategica delle sussidiarie. ▸ le attività produttive sono organizzate a livello sovranazionale. ▸ le principali attività della catena del valore sono concentrate nei siti più efficienti.

La corporate:

▸ mantiene attiva la catena core. ▸ organizza la rete internazionale di attori che in paesi diversi partecipano alla realizzazione delle varie attività, attraverso:

▹ l’individuazione dei soggetti (controllate interne o partner esterni) da coinvolgere e l’assegnazione dei loro ruoli; ▹ la definizione degli standard produttivi, dei target per ciascuna unità operativa e delle procedure per gestire le relazioni tra esse; ▹ la supervisione sull’implementazione integrata delle varie attività; ▹ l’attuazione di specifici interventi organizzativi per ottimizzare l’implementazione del processo produttivo internazionale.

Le filiali estere:

▸ sviluppano le attività commerciali nel mercato geografico di competenza. ▸ sviluppano attività della catena del valore assegnate loro dal HQ in relazione a specifiche caratteristiche geografiche.

Il principale limite dell’approccio globale è la solo parziale attenzione alle specifici tà dei singoli contesti nazionali e dei relativi mercati.

4. Modello transnazionale

LA GESTIONE INTERNAZIONALE DELLA CATENA DEL VALORE

Il modello transnazionale prevede l’allocazione delle attività della catena del valore nei contesti nazionali in cui sia possibile sfruttare condizioni favorevoli di costo e di differenziazione e la creazione di un network globale che sia in grado di coordinare la condivisione di skills e risorse tra le varie unità al fine di migliorare le loro c ore competences globali.

Le divisioni estere possono:

▸ assumere notevole rilievo strategico, peso economico e conseguente complessità organizzativa. ▸ avere al loro interno uno o più centri di eccellenza: unità operativa che assume un ruolo guida per tutto il gruppo per quanto riguarda la realizzazione di determinate attività o la gestione di specifici business. ▸ avere mandato globale e assumere una responsabilità a livello internazionale per la realizzazione e lo sviluppo competitivo di una certa linea di prodotti. Differentemente dal modello multinazionale di impresa, dove ciascuna consociata opera senza particolari interdipendenze con le altre, la sussidiaria che ha un mandato globale assume un ruolo dominante nella gestione di determinati flussi di risorse e conoscenze, proprio in quanto parte di una rete di relazioni con altri soggetti.

L’internazionalizzazione della catena del valore

I modelli organizzativi sopra citati implicano l’internazionalizzazione della catena del valor e dell’impresa: le varie attività primarie e secondarie attraverso cui l’impresa sv iluppa la propria offerta sono realizzate in aree geografiche diverse. La catena del valore viene “frammentata” in attività specifiche, ciascuna delle quali viene collocata nel contesto geografico e produttivo più conveniente. La maggiore suddivisione internazionale del processo produttivo ha fortemente incrementato il commercio internazionale di materiali, componenti, semilavorati, beni e servizi intermedi, distribuendo in più paesi il valore aggiunto degli output venduti nei vari mercati finali. Attraverso la suddivisione della catena del valore su scala internazionale, l’impresa gestisce due leve che incidono sulla sua competitivit à complessiva e che derivano dal:

  1. differenziale di attrattività dei diversi contesti geografici dove possono essere realizzate le attività della catena del valore.
  2. differenziale di efficienza con cui ogni attività della catena del valore è realizzata (integrazione verticale, alleanza strategica, outsourcing).

La catena del valore internazionale descrive una situazione in cui le attività del processo produttivo sono realizzate in numerosi paesi diversi e non necessariamente vicini, sia da strutture dello stesso gruppo internazionale sia da soggetti esterni con cui esso collabora attraverso accordi strategici, joint venture o altre modalità. La diffusione della ​ global value chain ​ è stata favorita da tre fattori:

LA GESTIONE INTERNAZIONALE DELLA CATENA DEL VALORE

▸ unità operative dello stesso gruppo. ▸ filiali del gruppo e partner esterni nell’ambito di alleanze strategiche. ▸ filiali del gruppo e fornitori o clienti collocati in altri paesi.

  1. Miglioramento dell’efficienza delle diverse filiali per essere competitive a livel lo globale.

L’organizzazione internazionale della catena del valore implica lo sviluppo di un “portafoglio” di localizzazioni, la cui composizione dipende dai mercati geografici in cui l’impresa intende essere presente e dall’opportunità di ottimizzare l’insieme delle attività produttive, c ercando di sfruttare:

▸ differenziali di costo degli input produttivi e delle attività disponibili nelle varie aree geografiche; ▸ differenziali nella disponibilità di risorse nelle varie aree geografiche; ▸ opportunità competitive ed economie di agglomerazione derivanti dall’esistenza di distretti o cluster in determinate aree geografiche; ▸ diverse dotazioni di infrastrutture logistiche.

Le criticità della gestione internazionale della catena del valore

  1. Dove localizzare le attività → la scelta del contesto dove localizzare le attivi tà della catena del valore dipende da:

a. criteri interni:

▸ Modello organizzativo e di governance adottato dalla corporate; ▸ Grado di decentramento internazionale di determinate funzioni e attività strategiche e tipo di controllo che la corporate vuole esercitare su esse; ▸ Opportunità esistenti nell’ambito della rete “interna” di migliorare le modalità di implementazione di una certa attività della catena del valore; ▸ Relazioni interne esistenti tra la corporate e le varie società controllate e tra i massimi dirigenti di tali entità.

b. criteri esterni:

▸ Condizioni del contesto geografico; ▸ Attrattività dei territori; ▸ Costi logistici, di coordinamento e di gestione.

  1. Integrazione delle attività → la gestione della catena globale del valore è efficace se, pur essendo svolta da unità operative collocate in aree geografiche diverse, rimane fortemente integrata. A tal fine, sono essenziali i meccanismi di governance e coordinamento tra le sussidiarie collocate in paesi diversi e tra queste e gli attori

LA GESTIONE INTERNAZIONALE DELLA CATENA DEL VALORE

esterni coinvolti. Ai fini di tale coordinamento, è necessario un sistema di procedure che regolino con precisione compiti, risultati attesi, output di ciascuna fase e di ciascun attore coinvolto nel processo produttivo internazionale. Altrettanto rilevante è l’azione di integrazione delle attività della catena del valore globale svolta dal responsabile di business cui essa fa riferimento, la cui efficacia è favorita dalla disponibilità di tecnologie di comunicazione avanzate che favoriscono l’interazione a distanza delle persone o direttamente delle strutture produttive. L’integrazione delle attività della catena del valore svolte in paesi diversi richiede anche un’accurata gestione logistica; la rapidità e il costo con cui gli input produttivi e i beni a diversi stadi del processo produttivo sono trasferiti attraverso le varie strutture produttive incidono in maniera decisiva sulla competitività complessiva del prodotto finale.

  1. Attori coinvolti nella realizzazione delle attività → le attività della catena del v alore possono essere svolte da:

a. sussidiarie controllate dall’impresa e collocate in paesi esteri → alle sussidiarie sono normalmente affidate le attività core, dove il gruppo ha o vuole raggiungere una leadership, oppure quelle in cui i flussi di conoscenze sono complessi e poco codificabili. In questi ambiti, la corporate attiva funzioni di supporto, volte a rafforzare la gestione integrata e il coordinamento di filiali disperse in molti paesi.

b. soggetti esterni con i quali l’impresa ha partnership di diversa natura → in questo caso i meccanismi di coordinamento variano in relazione al tipo di alleanza, ai suoi obiettivi, alle caratteristiche del partner e al potere negoziale nei suoi confronti; a riguardo, si osservano tre fattispecie principali:

▸ l’impresa multinazionale sviluppa una rete internazionale di fornitori strategici sui quali contare per la realizzazione di produzioni strategiche sul piano sia delle quantità sia della rilevanza competitiva. Essa fornisce al partner il supporto tecnico e manageriale ed eventualmente anche parte delle risorse necessarie per la realizzazione di una certa attività e la produzione di un output, definendone anche caratteristiche e specificità. ▸ per le attività relativamente meno complesse e più facilmente standardizzabili, l’impresa sceglie i partner con l’obiettivo di minimizzare il costo dell’attività e ottimizzare la flessibilità produttiva. ▸ approccio relazionale, basato sulla reciproca dipendenza tra l’impresa e il partner estero; è necessaria un’intesa contrattuale molto solida e orientata al lungo termine, così da rendere possibile la condivisione di conoscenze e un adeguato committment da parte degli attori coinvolti al raggiungimento di obiettivi condivisi. In questo senso è efficace lo strumento della Joint venture.

c. soggetti esterni con i quali l’impresa ha relazioni contrattuali → l’attività della catena del valore viene esternalizzata ad un soggetto del tutto indipendente e

STRATEGIE DI APPROVVIGIONAMENTO NEL MERCATO GLOBALE:

Outsourcing, offshoring e reshoring

Il passaggio dall'integrazione verticale all'outsourcing

Alfred Chandler (1977) ha definito il meccanismo organizzativo come la mano invisibile che pianifica e coordina le decisioni relative alla produzione, all'offerta, agli approvvigionamenti e alle vendite all'interno di un'impresa. Egli ha individuato le strategie esistenti nelle scel te aziendali che hanno permesso lo sviluppo delle imprese multinazionali, caratterizzate da crescita dimensionale, diversificazione e copertura geografica. Il modello organizzativo di successo dell'impresa multinazionale era l'impresa integrata verticalmente e articol ata funzionalmente, la cui dimensione permetteva il raggiungimento di economie di scala e una maggiore efficienza organizzativa. Il termine integrazione verticale indica l'internaliz zazione di una serie di attività verticalmente correlate. L'obiettivo principale di tale strategi a consiste nel controllo del numero maggiore di fasi produttive, limitando il ricorso agli approvvigionamenti. Lo sviluppo aziendale viene raggiunto aggiungendo alle linee di produzione già esistenti nuove linee a monte o a valle. Le condizioni che rendono conveniente l'assorbimento delle fasi di produzione al proprio interno sono:

▸ Costo della produzione interna < prezzo di acquisto sul mercato. ▸ Fabbisogno interno del semilavorato compatibile con la capacità produttiva ottima dell'impianto integrato. ▸ Incremento dei profitti derivanti dall'integrazione superiore a quello ottenibile investendo le stesse risorse in attività alternative.

Le aziende odierne hanno a loro disposizione forme strategiche e imprenditoriali che possono rendere la strategia di integrazione verticale superata. La crescita delle aziende è indirizzata verso accordi e alleanze con imprese esterne tramite logiche di outsourcing che permettano loro di aumentare la propria flessibilità ed elasticità ed incrementare il propri o vantaggio competitivo. L'azienda a struttura verticale e integrata non viene destrutturata, ma si affiancano ad essa logiche di esternalizzazione. Il fenomeno dell'outsourcing non fa riferimento solo allo spostamento all'esterno di alcune attività produttive che prima er ano svolte in proprio, ma riguarda una logica di riorganizzazione aziendale, dove le diverse fasi della catena del valore devono essere analizzate e valutate come possibili attività esternabili, per aumentare l'efficienza e la flessibilità aziendale, rendendo il servizio più qualitativo, la struttura dei costi più elastica e aumentando la disponibilità di risorse finanziarie e la flessibilità ai cambiamenti esterni. Le ragioni principali all'origine del passaggio dall'integrazione verticale all'interno dell'impresa delle attività produttive alla loro esternalizzazione sono:

▸ Richiesta di flessibilità che le aziende ricevono dai mercati dell'offerta e della domanda. ▸ Nascita di imprese virtuali che spostano la propria attenzione sulle risorse intangibili e intellettuali e instaurano relazioni attive con network di stakeholders che gli permettono di avere accesso ad asset di natura fisica e tangibile.

Outsourcing o esternalizzazione significa far realizzare ad altre imprese alcune delle at tività della catena del valore che prima erano svolte all'interno dell'azienda. Alcuni autori sostengono che sia possibile far risalire le origini del moderno outsourcing alla nascita della

STRATEGIE DI APPROVVIGIONAMENTO NEL MERCATO GLOBALE:

Outsourcing, offshoring e reshoring

specializzazione del lavoro, i cui vantaggi erano: la crescita nella quantità e nella qualità dei bisogni soddisfatti; la riduzione dei tempi di produzione dei prodotti e l'incremento del tempo libero a disposizione dei lavoratori per pensare come migliorare il processo o prodotto. L'outsourcing è una strategia che, se gestita e valutata appropriatamente, può permettere di raggiungere importanti risultati in termini di efficienza e riduzione dei costi in diverse ar ee aziendali. L'approccio deve studiato e valutato come una scelta strategica fondamentale per l'azienda. La scelta delle fasi da esternalizzare non è una semplice valutazione di make or buy, basata sui costi, ma corrisponde ad un processo di analisi e valutazione delle diverse componenti della catena del valore, delle implicazioni strategiche e dei rischi che si dovranno correre. Le aziende non portano all'esterno semplicemente attività periferiche, ma anche attività ritenute critiche per il mantenimento della propria posizione competitiva. A questo proposito è possibile distinguere tra due tipologie di outsourcing: la prima si pone l'obiettivo del mantenimento della propria posizione competitiva, mentre con la seconda si intende acquisire una fonte di vantaggio competitivo.

L'outsourcing: approcci teorici

Il fenomeno dell'outsourcing è stato approfondito da vari autori, che ne hanno evidenziato diversi aspetti, ma ad oggi non esiste ancora un approccio condiviso da tutti. Gli studi che più si avvicinano ad una formulazione teorica che giustifichi la scelta dell'esternalizz azione sono:

▸ La frammentazione della produzione → Jones e Kierzkowski (1990) individuano un trade-off tra costi di “servizio” (costi di trasporto, di comunicazione, di assicurazione e altri costi legati alla frammentazione della produzione e all'allocazione delle risorse in diverse aree) e costi di produzione. ▸ I costi di transazione → gli studi di Coase (1937) e Williamson (1975) sono all'origine della teoria dei costi di transizione, la quale sostiene che i confini aziendali (che rappresentano le attività da svolgere internamente) sono definiti dal trade-off tra il risparmio dei costi di produzione derivante dall'outsourcing e il risparmio dei costi di transazione derivante dalla produzione interna. ▸ Classificazione attività → la catena del valore di Porter (1986) permette di distinguere le attività tra primarie e di supporto in funzione del legame con l'attività di gesti one caratteristica del business. Le attività primarie sono le attività inerenti ai process i di trasformazione e ai rapporti con la clientela, mentre le attività di supporto sono le attività necessarie per la gestione dell'azienda, ma non direttamente collegate al prodotto dell'impresa. Porter considera le attività di supporto come quelle passibili di esternalizzazione non essendo esse ritenute centrali per l'attività caratteristica dell'azienda. ▸ Vantaggio competitivo e competenze distintive → Hamel e Prahalad (1990) paragonano l'azienda ad un grande albero, dove il tronco e i rami maggiori sono i prodotti delle attività centrali, mentre i rami più piccoli sono le business units e i fior i e i frutti sono i prodotti finali. Il sistema che porta linfa vitale nelle varie c omponenti dell'albero sono le competenze centrali. ▸ Classificazione attività esternabili → Jenster, Pederson, Plackett e Hussey (2005) suddividono le possibili attività esternabili in quattro categorie:

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Teorie sull'internazionalizzazione

Corso: Economia e gestione delle imprese industriali e internazionali (87103)

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LE TEORIE SUL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
L'approccio macroeconomico
L'internazionalizzazione delle imprese nasce dal punto di vista teorico a partire dal contributo di
Hymer del 1960. Prima di allora, infatti, il fenomeno dell'internazionalizzazione non veniva
ricondotto all'attività di impresa, bensì a flussi internazionali di beni e di capitali indipendenti da
questa ed interpretabili all'interno di approcci teorici che pongono al centro della riflessione le
nazioni e le differenze tra nazioni. Nello specifico tali approcci, che si sviluppano nell'ambito della
macroeconomia, analizzano il fenomeno dell'internazionalizzazione in due filoni distinti: le teorie
del commercio internazionale e le teorie della bilancia dei pagamenti. Il commercio internazionale
è stato spiegato principalmente attraverso due modelli:
1. Il modello dei vantaggi assoluti (Smith, 1776) gli scambi commerciali tra due paesi si
basano sul vantaggio assoluto. Se la nazione A è più efficiente nella produzione del bene X
rispetto alla nazione B, mentre la nazione B è più efficiente nella produzione del bene Y
rispetto alla nazione A, allora ognuna delle due produce ed esporta il bene per cui risulta
più efficiente e importa dall'altra nazione il bene per cui risulta meno efficiente. In questo
modo entrambe beneficiano dello scambio.
2. Il modello dei vantaggi comparati, nelle due versioni:
a) Versione classica basata sul teorema dei costi comparati (Ricardo, 1817) anche se
uno dei due paesi soffre di uno svantaggio assoluto ed è meno efficiente nei confronti
dell’altro paese nella produzione di entrambi i beni, esiste ancora la possibilità per
scambi reciprocamente vantaggiosi, a condizione che la ragione di scambio
internazionale sia compresa tra i costi comparati dei beni nei due paesi. Un paese
tenderà, quindi, a specializzarsi nella produzione del bene in relazione al quale ha un
vantaggio comparato, ovvero la cui produzione ha un costo opportunità, in termini di
altri beni, minore che nell'altro paese.
b) Versione a più fattori produttivi (Hecksher e Ohlin, 1933) la condizione
necessaria e sufficiente per spiegare l'esistenza di costi comparati diversi risiede nelle
differenti dotazioni di fattori produttivi di ciascun paese. Ogni nazione gode di un
vantaggio comparato nella produzione e esportazione di quei beni per cui,
relativamente agli altri paesi, ha una maggiore disponibilità di risorse produttive. In
particolare, i paesi con una dotazione relativamente più ricca di capitale si
specializzeranno nella produzione ed esportazione di prodotti ad alta intensità di
capitale e importeranno i prodotti ad alta intensità di lavoro da paesi relativamente più
dotati di una abbondante manodopera. Questo modello non considerava la parità di
accesso alla tecnologia, il protezionismo dei settori di interesse nazionale e i fattori
politici e culturali.
L'approccio microeconomico
Negli anni '50 divenne evidente a diversi economisti come il commercio internazionale e gli
investimenti diretti all'estero non potessero essere riconducibili esclusivamente a variabili
macroeconomiche, ma fossero entrambi fenomeni associati all'espansione internazionale delle
imprese. Le principali teorie sviluppate nell'ambito della microeconomia sono:
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