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Dì quello che hai in mente

riassunto del libro Disum
Corso

Teoria del linguaggio (1001005)

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Anno accademico: 17/18
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Università degli Studi di Catania

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RIASSUNTO: TEORIA DEL LINGUAGGIO

TESTO: Dì QUELLO CHE HAI IN MENTE

Capitolo 1

Due modelli della comunicazione

Esiste un'enorme differenza tra il significato letterale di un enunciato, che dipende dalle definizioni delle parole usate, e il significato del parlante, che riguarda ciò che effettivamente il parlante intende dire. Anche l'enunciato più semplice e trasparente può avere molteplici interpretazioni in base al contesto: si tratta del fenomeno della sottodeterminazione, per cui il significato letterale di un enunciato sottodetermina il significato del parlante. Fatta la distinzione tra i due tipi di significato, è possibile fare una distinzione tra due modelli della comunicazione: il modello del codice e il modello ostensivo-inferenziale.

MODELLO DEL CODICE

Secondo il modello del codice, la comunicazione è considerata uno strumento di trasmissione di informazioni attraverso un canale. L'informazione è codificata in un segnale e inviata lungo il canale per essere poi decodificata dal ricevente: se gli algoritmi per la codifica e la decodifica sono corretti, l'informazione codificata da chi produce il segnale è identica all'informazione decodificata da chi lo riceve. Il modello del codice combina due metafore sul funzionamento della comunicazione: la metafora del condotto, secondo cui i segnali contengono messaggi da confezionare e spedire attraverso un canale, per essere spacchettati al loro arrivo; il modello matematico della comunicazione (elaborato da Shannon), secondo cui i segnali sono stringhe da trasmettere lungo un canale e la sfida è creare una strategia che permetta la trasmissione aggirando eventuali rumori o errori. Il modello del codice è associativo: nel mittente certi stati del mondo sono associati alla produzione di particolari segnali, mentre nel ricevente la ricezione di tali segnali è associata a particolari comportamenti. Se la comunicazione è resa possibile da associazioni, allora è un caso di comunicazione che rientra nel modello del codice. Un esempio di comunicazione interpretabile secondo il modello del codice è il riso volontario (definito "sorriso di Duchenne"), la cui funzione comunicativa è quella di esprimere solidarietà agli altri. Stesso discorso vale per comportamenti, tra cui sorridere, sbuffare, accigliarsi, sospirare, imbronciarsi: la loro funzione comunicativa è legata alla gestione delle relazioni sociali. Il modello del codice è applicabile a gran parte della comunicazione animale.

MODELLO OSTENSIVO-INFERENZIALE

Il modello del codice si fonda su meccanismi associativi che tuttavia non riescono a spiegare alcuni aspetti della comunicazione. Tutti costruiamo delle rappresentazioni mentali del mondo, le quali possono assumere varie forme: credenze, supposizioni, scopi, conoscenze, eccetera. Queste rappresentazioni mentali possono cambiare (per esempio, quando riceviamo nuovi stimoli che suggeriscono di modificarle o cambiarle), ma molto spesso noi intendiamo cambiare le rappresentazioni altrui. Affinché ciò accada, forniamo all'interlocutore degli indizi (indicazioni, alzate di spalle, vocalizzazioni, eccetera), nella speranza che egli sia in grado di interpretare le nostre intenzioni e agire di conseguenza. Esistono due diversi tipi di intenzioni: intenzione informativa, che corrisponde all'intenzione che l'interlocutore riconosca cosa sto cercando di comunicare; intenzione comunicativa, che corrisponde all'intenzione che l'interlocutore riconosca che sto cercando di comunicare e, dunque, riconosca che ho un'intenzione informativa. I segnali attraverso cui si esprime l'intenzione comunicativa sono detti segnali ostensivi. Il modello ostensivo- inferenziale consiste proprio nell'espressione e nel riconoscimento di intenzioni informative e

comunicative. Da qui l'espressione "ostensivo-inferenziale": ostensione, intesa come offerta di indizi, e inferenza, intesa come interpretazione degli indizi. Mentre il modello del codice implica semplicemente l'abilità di formare associazioni, il modello ostensivo-inferenziale implica delle capacità ben più complesse: l'uso degli indizi appropriati per veicolate un certo significato non è una questione rigida e probabilistica. Esso dipende piuttosto da un insieme di fattori contestuali, soprattutto dalle credenze e conoscenze che il parlante ha delle credenze e conoscenze dell'ascoltatore. Di conseguenza, mentre il modello del codice si basa su meccanismi associazionistici, quello ostensivo-inferenziale si basa su meccanismi metapsicologici. È opinione comune considerare la comunicazione linguistica un caso riconducibile al modello del codice, ma in realtà qualsiasi ipotesi che pone il codice all'origine della comunicazione linguistica e considera i processi ostensivi e inferenziali un potenziamento di tale comunicazione è sbagliata. Sono, infatti, i processi ostensivi e inferenziali a rendere possibile la comunicazione, mentre lo sviluppo di associazioni segnale- significato rappresenta un potenziamento espressivo di tale forma di comunicazione. La comunicazione linguistica è, quindi, un esempio di comunicazione ostensivo-inferenziale, in cui quest'ultima è potenziata dal codice linguistico. Per questo motivo, è importante fare una distinzione tra codici naturali e codici convenzionali: i primi sono quelli che osserviamo nei sistemi che si comportano secondo il modello del codice; i secondi potenziano, invece, dal punto di vista espressivo, un sistema ostensivo-inferenziale già presente.

DUE ACCEZIONI DI SIGNIFICATO

Una nozione centrale nell'ambito degli studi sulla comunicazione, è quella di significato. Esistono due diverse accezioni di significato: una affonda la radici nella prospettiva pragmatica e si applica al modello ostensivo-inferenziale; l'altra affonda, invece, le radici nella biologia evoluzionistica e si applica al modello del codice. Per quanto riguarda la prima accezione, Grice distingue il significato naturale, che deriva dalla relazione tra un oggetto e un altro oggetto del mondo, dal significato non naturale, che corrisponde a quello che chiamiamo "significato del parlante". Il concetto di "significato non naturale" è stato ulteriormente sviluppato da Grice in tre stadi: il primo stadio riguarda l'abilità di capire che intendere qualcosa implica la manipolazione delle rappresentazioni mentali dell'interlocutore; il secondo stadio riguarda l'abilità di capire che l'interlocutore dovrà riconoscere tali intenzioni; il terzo stadio riguarda il fatto che, per veicolare significato, devo avere l'intenzione che il mio interlocutore creda qualcosa e, se riconosce la mia intenzione, l'interlocutore deve effettivamente crederlo almeno in parte. Nella biologia evoluzionistica, il termine "significato" è stato utilizzato, al contrario, in modo più vago e meno restrittivo rispetto alla concezione griceana. La nozione di significato, quindi, assume connotazioni diverse nei due modelli, ma in entrambi i casi l'idea è che "dire" sia "fare", ovvero modificare l'altro.

Capitolo 2

COMUNICAZIONE COMBINATORIA

Per comunicazione combinatoria si intende un processo che include due segnali di significato diverso e un terzo segnale la cui forma deriva dalla combinazione dei primi due, ma il cui significato non è la somma dei significati delle due parti: i primi due segnali sono olistici, mentre il terzo segnale è composizionale. Un esempio di comunicazione combinatoria è rintracciabile nei cercopitechi putty-nosed: essi possiedono due richiami di allarme, uno per i leopardi e l'altro per le aquile. Quando uno dei due richiami viene prodotto, le scimmie corrono subito ai ripari e si rifugiano sugli alberi nel caso del richiamo per i leopardi, o nei cespugli nel caso del richiamo per le aquile. Quando i due richiami vengono prodotti insieme, l'esito non è la

Capitolo 3

COMPETENZA PRAGMATICA E PRINCPIO DI COOPERAZIONE

Per competenza pragmatica si intende la capacità del mittente di sapere che tipo di indizi fornire per veicolare un certo significato e la capacità del destinatario di generare le giuste inferenze a partire dagli indizi (da non confondere con la fluenza, intesa come capacità di governare vari aspetti linguistici, come il lessico e la grammatica). Il ruolo della pragmatica all'interno del linguaggio è stato trattato, per la prima volta, da Grice: egli introduce il principio di cooperazione per spiegare il ruolo assunto dal parlante e dall'ascoltatore nell'interazione. Il principio di cooperazione dice: conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto dall'intento comune accettato o dalla direzione dello scambio verbale in cui sei impegnato. Tale principio è il risultato di quattro massime conversazionali che non rappresentano delle regole prescrittive, ma il comportamento ideale che dovrebbe avere chi partecipa ad uno scambio comunicativo: qualità (sii sincero), quantità (non essere reticente o ridondante), relazione (sii pertinente) e modo (evita l'ambiguità). Il principio di cooperazione, tuttavia, incontra alcune difficoltà: l'implausibilità psicologica ed empirica, la vaghezza di alcune nozioni centrali e di alcuni importanti aspetti del suo funzionamento, eccetera.

TEORIA DELLA PERTINENZA Nel tentativo di superare queste difficoltà, Sperber e Wilson sviluppano un approccio post-griceano alla pragmatica che, da un lato, riprende concetti cari a Grice e, dall'altro lato, mira alla creazione di un modello della comunicazione umana cognitivamente ed empiricamente plausibile. Tale approccio è chiamato teoria della pertinenza: la pertinenza di uno stimolo è data dall'equilibrio tra i cambiamenti prodotti dallo stimolo sulle rappresentazioni mentali di un individuo (gli effetti cognitivi positivi) e lo sforzo di elaborazione necessario a produrre quei cambiamenti. Alla base della teoria della pertinenza ci stanno due principi di pertinenza. Il primo è il principio cognitivo, secondo cui la cognizione umana tende a massimizzare la pertinenza (la cognizione mira a raggiungere gli effetti cognitivi maggiori con il minore sforzo cognitivo). Il secondo è il principio comunicativo, secondo cui ogni atto di comunicazione ostensivo comunica la presunzione della propria pertinenza ottimale (l'individuo si impegna a massimizzare la pertinenza dello stimolo, a partire dai suoi scopi e desideri personali e da ciò che sa sugli scopi e sui desideri dell'interlocutore).

MINDREADING

Dopo aver illustrato i principi senza i quali non ci sarebbe comunicazione ostensiva, è importante individuare anche i meccanismi che la rendono possibile. Il punto di partenza è la teoria della mente, ovvero la capacità di rappresentare mentalmente gli stati mentali altrui e di ragionare sui loro pensieri per comprenderne le intenzioni e poter adottare i nostri proferimenti. L'atto ostensivo, sia dal punto di vista della produzione che dal punto di vista della comprensione, è un esercizio di lettura della mente: il parlante fornisce indizi il più pertinenti possibili sulla base delle credenze e delle conoscenze dell'ascoltatore e del loro common ground; di contro, l'ascoltatore suppone che il parlante abbia tentato di fornire indizi il più pertinenti possibili ai fini di un corretto processo interpretativo. Tutte e due queste operazioni necessitano del mindreading ricorsivo, inteso come capacità di elaborare metarappresentazioni. Il test classico utilizzato per valutare le abilità di mindreading è il test di falsa credenza, in cui si usano generalmente due bambole: la prima (chiamata Sally) mette una palla dentro una scatola di metallo ed esce di scena; la seconda (chiamata Ann) trasferisce la palla dalla scatola di metallo ad una scatola di cartone, dopodiché esce di scena e rientra Sally. A questo punto, si chiede al soggetto: "Dove cercherà la palla Sally?". Se il soggetto è in grado di rappresentare gli stati mentali di Sally, risponderà che la cercherà nella scatola di

metallo (sebbene sappia che la palla si trova altrove). In assenza di questa capacità, sceglierà la scatola di cartone. I bambini sotto i 4 anni solitamente falliscono il test. Nella nuova versione del test sviluppata nel 2005, la domanda esplicita viene sostituita con un'inferenza circa la comprensione di quegli stati mentali da parte dei bambini a partire dall'osservazione del loro comportamento: se il test esplicito non viene superato prima dei 4 anni, il test implicito viene superato anche all'età di 12/18 mesi. Tali risultati indeboliscono l'idea secondo cui la lettura della mente sia un processo cognitivamente dispendioso.

COOPERAZIONE E COMUNICAZIONE

Per intenzionalità congiunta si intende la capacità unicamente umana di rappresentare mentalmente e di perseguire obiettivi comuni. Partendo da questo presupposto, Tomasello sviluppa la tesi della comunicazione cooperativa, secondo la quale la comunicazione funziona solo quando sia il parlante che l'ascoltatore trattano l'atto comunicativo come un'attività collaborativa. Ciò significa che la comunicazione ostensiva non è un caso di "io parlo a te" e "tu parli a me", ma piuttosto un caso di "noi comunichiamo insieme". È, inoltre, importante attuare una distinzione fra tre diversi tipi di cooperazione nella comunicazione: la cooperazione comunicativa (quella di cui parla Tomasello) riguarda l'uso del codice linguistico in termini convenzionali; la cooperazione informativa riguarda l'onestà o la disonestà di quanto viene detto; la comunicazione materiale riguarda i fini per cui è usata la comunicazione.

Capitolo 4

IL METODO COMPARATIVO

Il linguista più influente al tempo di Darwin era Müller, il quale non era un darwinista, anzi usò il linguaggio come prova a sfavore del darwinismo: secondo lo studioso, infatti, la teoria della seleziona naturale non poteva spiegare le origini del linguaggio. Müller osservò che l'apprendimento delle lingue non è possibile in nessun'altra specie: ricorrendo ad un esperimento mentale, egli affermò che, pur venendo allevata in un ambiente umano, nessuna scimmia avrebbe acquisito il linguaggio umano. Nel suo esperimento mentale, Müller utilizza il metodo comparativo, attuando una comparazione tra specie rispetto all'abilità di acquisizione del linguaggio. Le comparazioni attuali si basano sull'idea che il linguaggio non è un tratto monolitico, ma è costituito da vari elementi (produzione verbale, percezione verbale, elaborazione linguistica, memoria, imitazione, eccetera): il linguaggio, quale frutto della combinazione di tutti questi elementi, è unicamente umano, ma alcune singole parti sono condivise con altre specie. Bisognerebbe, dunque, scomporre il linguaggio in varie e parti e mettere a confronto ogni parte separatamente. Se il metodo comparativo funzione per effettuare comparazioni tra elementi anatomici di diverse specie, non funziona in altri ambiti. Per esempio, codici naturali e codici convenzionali non possono essere comparati, in quanto la loro discrepanza non è di ordine meccanico ma funzionale: i primi rendono possibile un tipo di comunicazione; i secondo permettono il potenziamento sul piano espressivo di un differente tipo di comunicazione. I richiami dei primati non umani sono codici naturali e non funzionano allo stesso modo delle parole: i codici naturali rendono possibile la comunicazione, mentre le parole sono parti di codici convenzionali la cui funzione è quella di potenziare la comunicazione ostensiva.

COMUNICAZIONE INTENZIONALE E COMUNICAZIONE OSTENSIVA

Va operata una distinzione tra comunicazione intenzionale e comunicazione ostensiva. Per quanto riguarda la comunicazione intenzionale, per determinate se un segnale è o non è usato intenzionalmente vengono impiegati diversi criteri: uso sociale (sensibilità alla natura del destinatario), alterazione dello sguardo

ostensivamente e, quindi, che la comunicazione ostensiva è esclusivamente umana. Secondo l'ipotesi del cervello sociale, ciò che rende incredibilmente intelligenti le scimmie non è un'intelligenza generale valida per qualsiasi dominio di conoscenze, ma un'intelligenza specifica che si è sviluppata per gestire la complessità dell'ambiente sociale. I primati hanno cervelli grandi rispetto alle dimensioni del corpo: ciò è la conseguenza del vivere in grandi gruppi di individui indipendenti capaci di tener conto delle intenzioni altrui e di gestire le relazioni con gli altri, decidendo di chi fidarsi e chi ingannare.

COMPARSA DELLA COMUNICAZIONE OSTENSIVA

Gli studiosi si chiedono che cosa ha determinato nella sola specie umana l'evoluzione di capacità cognitive che hanno permesso la comunicazione ostensiva. Si arriva alla conclusione che i cambiamenti nella dimensione dei gruppi umani hanno portato all'evoluzione di un'intelligenza sociale complessa: essa ha permesso di comunicare in modi fino ad allora sconosciuti, ovvero attraverso processi ostensivi-inferenziali, piuttosto che attraverso codici naturali. La comparsa di questa nuova forma di comunicazione ha, inoltre, avuto due principali conseguenze: la prima è la selezione naturale di meccanismi che rendono più efficiente la comunicazione ostensiva, tra cui la sclera bianca (che rende più semplice individuare la direzione dello sguardo) e i moduli mentali specifici per la comunicazione ostensiva; la seconda è la creazione di convenzioni responsabili di maggiore precisione e immediatezza delle interazioni comunicative. In seguito ad un uso ripetuto e alla diffusione culturale, queste convenzioni sono diventate linguaggio.

Capitolo 5

È necessario attuare una distinzione tra lingue e linguaggio: le lingue sono i codici convenzionali usati da una specifica comunità (per esempio, italiano, inglese, eccetera); il linguaggio fa riferimento all'insieme di tratti cognitivi che permettono di acquisire e utilizzare le lingue. Le convenzioni linguistiche possono cambiare in base a due modalità: la metafora, quando il parlante utilizza una forma esistente in un modo nuovo (per esempio, l'espressione inglese "going to" veniva inizialmente impiegata solo come verbo per esprimere movimento, mentre ora viene utilizzata anche per indicare il tempo futuro); la reinterpretazione, quando l'ascoltatore interpreta un'espressione in modo nuovo. Se i nuovi usi/interpretazioni vengono sufficientemente adottati da altri parlanti, la lingua si sarà modificata.

EVOLUZIONE DEL LINGUAGGIO (si collega all'intelligenza collettiva del capitolo 4) Una volta emersa l'intelligenza sociale indispensabile per cominciare a comunicare ostensivamente, gli esseri umani hanno utilizzato qualunque comportamento a disposizione per far funzionare la comunicazione nel miglior modo possibile. Icone e indici hanno chiaramente avuto un ruolo determinante: le icone sono segni la cui forma ha una somiglianza fisica con l'entità rappresentata; gli indici sono segni la cui forma ha una relazione causale con l'entità rappresentata. Per superare icone e indici, devono essersi sviluppate le prime convenzioni: esse erano olofrastiche, esprimibili in qualsiasi modalità (vocale o gestuale) adeguata alla trasmissione dell'intenzione e hanno contribuito a rendere la comunicazione ostensiva più potente dal punto di vista espressivo. In questo fenomeno, gioca un ruolo fondamentale l'interazione, in quanto le convenzioni non sono create da un individuo e adottate da un altro, ma sono il prodotto di un processo di uso e feedback (se manca tale relazione di interdipendenza, le convenzioni non emergono). Le prime convenzioni erano parole con significati determinati (come nomi e verbi), ma nel tempo sono diventate grammaticali attraverso un processo di grammaticalizzazione: una volta evolutisi nomi e verbi, da questi possono derivare parole di altre classi, attraverso processi di grammaticalizzazione. Un processo di attrazione culturale ha poi modellato le convenzioni in quelle che oggi chiamiamo lingue,

modificando queste ultime per renderle adatte alla mente e al comportamento umano. Nel processo di attrazione culturale, alcuni tratti tendono ad assumere forme specifiche rispetto ad altri: tali forme sono chiamate attrattori. L'attrazione culturale presenta delle analogie con il processo di selezione naturale, ma vi sono anche delle differenze. La differenza fondamentale riguarda il fatto che, mentre l'evoluzione biologica è replicativa, quella culturale è ri-produttiva: i fatti culturali, infatti, non sono semplicemente replicati come il DNA, ma sono ri-prodotti in modi ogni volta nuovi.

Capitolo 6

ADATTAZIONISMO

La teoria della selezione naturale di Darwin, che spiega come gli organismi si sono adattati agli ambienti in cui vivono, ha dato vita ad una serie di considerazioni che complessivamente definite adattazionismo. Due studiosi di nome Pinker e Bloom applicano il ragionamento adattazionista al linguaggio: la loro idea è che la grammatica è un meccanismo complesso progettato per la trasmissione di strutture proposizionali attraverso un canale seriale (dunque, il linguaggio deve essere un adattamento biologico). Allo stesso tempo, i due studiosi adottano una prospettiva chomskiana definendo il linguaggio un meccanismo cognitivo innato preposto all'acquisizione e all'elaborazione delle lingue (la Grammatica Universale). Per alcuni studiosi, tuttavia, il processo di attrazione culturale mette in dubbio queste due premesse su cui si fonda il pensiero di Pinker e di Bloom: tale processo, infatti, fornisce una spiegazione alternativa agli argomenti innatisti della Grammatica Universale perchè descrive in che modo le lingue possono essere molto simili tra loro in assenza di una GU.

LA COMUNICAZIONE LINGUISTICA COME ADATTAMENTO

Le caratteristiche di una buona comunicazione ostensiva comprendono: sistemi cognitivi in grado di massimizzare la pertinenza degli stimoli (scartando, per esempio, l'informazione non pertinente); abilità di produrre stimoli ostensivi pertinenti per l'ascoltatore. Seguendo il ragionamento adattazionista, questi dati dimostrano che la comunicazione ostensiva, dunque, si è evoluta come un adattamento per la navigazione sociale: la comunicazione ostensiva è una forma di navigazione sociale estesa, in cui il mittente tenta di manipolare il destinatario e quest'ultimo tenta di leggerne le intenzioni.

VIGILANZA E ARGOMENTAZIONE

La comunicazione ostensiva è una risorsa potenzialmente ricca di informazioni utili. Tuttavia, non è immune dal rischio che all'ascoltatore possano essere fornite informazioni sbagliate. Un parlante ostile (incline a ingannare) o incompetente (che non conosce ciò di cui sta parlando) può essere ignorato, laddove sia possibile rilevare in anticipo l'ostilità e l'incompetenza. Di fatto, l'ascoltatore è in grado di filtrare l'informazione in entrata e tale processo prende il nome di vigilanza epistemica: egli può accettare che il parlante intenda fargli capire di avere un'intenzione informativa ma, allo stesso tempo, può scegliere di non accettare il contenuto dell'intenzione informativa (esiste, dunque, una differenza tra comprensione e consenso). Per quanto riguarda il parlante, il suo scopo è quello di modificare le rappresentazioni mentali dell'ascoltatore. Chiaramente la vigilanza epistemica dell'ascoltatore costituisce una barriera agli scopi del parlante, in quanto è un impedimento alla manipolazione mentale. Per questo motivo, affinché il parlante possa spingere l'ascoltatore ad accettare ciò che dice, deve offrire delle buone ragioni e deve essere convincente. È qui che subentra la cosiddetta teoria argomentativa del ragionamento, che consiste nel produrre e valutare argomenti volti a persuadere. La comunicazione ostensiva può essere mantenuta stabile in vari modi: in alcune situazioni in cui la comunicazione non funziona perchè la veridicità dei segnali non può essere verificata, gli handicap possono rivelarsi uno strumento valido di stabilizzazione della

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Capitolo 1
Due modelli della comunicazione
Esiste un'enorme differenza tra il significato letterale di un enunciato, che dipende dalle definizioni delle
parole usate, e il significato del parlante, che riguarda ciò che effettivamente il parlante intende dire.
Anche l'enunciato più semplice e trasparente può avere molteplici interpretazioni in base al contesto: si
tratta del fenomeno della sottodeterminazione, per cui il significato letterale di un enunciato
sottodetermina il significato del parlante. Fatta la distinzione tra i due tipi di significato, è possibile fare una
distinzione tra due modelli della comunicazione: il modello del codice e il modello ostensivo-inferenziale.
MODELLO DEL CODICE
Secondo il modello del codice, la comunicazione è considerata uno strumento di trasmissione di
informazioni attraverso un canale. L'informazione è codificata in un segnale e inviata lungo il canale per
essere poi decodificata dal ricevente: se gli algoritmi per la codifica e la decodifica sono corretti,
l'informazione codificata da chi produce il segnale è identica all'informazione decodificata da chi lo riceve. Il
modello del codice combina due metafore sul funzionamento della comunicazione: la metafora del
condotto, secondo cui i segnali contengono messaggi da confezionare e spedire attraverso un canale, per
essere spacchettati al loro arrivo; il modello matematico della comunicazione (elaborato da Shannon),
secondo cui i segnali sono stringhe da trasmettere lungo un canale e la sfida è creare una strategia che
permetta la trasmissione aggirando eventuali rumori o errori. Il modello del codice è associativo: nel
mittente certi stati del mondo sono associati alla produzione di particolari segnali, mentre nel ricevente la
ricezione di tali segnali è associata a particolari comportamenti. Se la comunicazione è resa possibile da
associazioni, allora è un caso di comunicazione che rientra nel modello del codice. Un esempio di
comunicazione interpretabile secondo il modello del codice è il riso volontario (definito "sorriso di
Duchenne"), la cui funzione comunicativa è quella di esprimere solidarietà agli altri. Stesso discorso vale per
comportamenti, tra cui sorridere, sbuffare, accigliarsi, sospirare, imbronciarsi: la loro funzione comunicativa
è legata alla gestione delle relazioni sociali. Il modello del codice è applicabile a gran parte della
comunicazione animale.
MODELLO OSTENSIVO-INFERENZIALE
Il modello del codice si fonda su meccanismi associativi che tuttavia non riescono a spiegare alcuni aspetti
della comunicazione. Tutti costruiamo delle rappresentazioni mentali del mondo, le quali possono
assumere varie forme: credenze, supposizioni, scopi, conoscenze, eccetera. Queste rappresentazioni
mentali possono cambiare (per esempio, quando riceviamo nuovi stimoli che suggeriscono di modificarle o
cambiarle), ma molto spesso noi intendiamo cambiare le rappresentazioni altrui. Affinché ciò accada,
forniamo all'interlocutore degli indizi (indicazioni, alzate di spalle, vocalizzazioni, eccetera), nella speranza
che egli sia in grado di interpretare le nostre intenzioni e agire di conseguenza. Esistono due diversi tipi di
intenzioni: intenzione informativa, che corrisponde all'intenzione che l'interlocutore riconosca cosa sto
cercando di comunicare; intenzione comunicativa, che corrisponde all'intenzione che l'interlocutore
riconosca che sto cercando di comunicare e, dunque, riconosca che ho un'intenzione informativa. I segnali
attraverso cui si esprime l'intenzione comunicativa sono detti segnali ostensivi. Il modello ostensivo-
inferenziale consiste proprio nell'espressione e nel riconoscimento di intenzioni informative e

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