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Diritto Penale

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Diritto penale

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DIRITTO PENALE

1- PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA

Perché il fatto commissivo sia punibile non deve essere solo tipico e antigiuridico, ma anche colpevole. La colpevolezza è, quindi, il terzo elemento costitutivo del reato.

Il ruolo della colpevolezza:

Il ruolo centrale del principio di colpevolezza è confermato dalla sua rilevanza costituzionale, come si desume:

 dall’art. 27, comma 1° Cost. che sancisce il principio della personalità della responsabilità penale. Inoltre, secondo un’interpretazione diffusa, tale principio va inteso non solo nel significato minimo di divieto di responsabilità per fatto altrui, ma nel senso più pregnante di responsabilità per fatto proprio colpevole. Il legislatore ha quindi, espresso il principio secondo cui, l’applicazione della pena presuppone l’attribuzione psicologica del singolo fatto di reato alla volontà antidoverosa del soggetto. Come ha chiarito la Corte Cost. in una serie di sentenze, il fatto criminoso può essere imputato al suo autore solo se il fatto stesso gli sia attribuibile almeno a titolo di colpa; ove non vi sia né dolo né colpa, viene meno il carattere personale dell’addebito, ed un’eventuale attribuzione di responsabilità si porrebbe in contrasto con l’art. 27 della Cost.  dall’art. 27 comma 3° che sancisce il finalismo rieducativo della pena. Se fosse sufficiente, ai fini dell’assoggettamento a pena, il semplice fatto di cagionare materialmente un evento lesivo, senza poter rivolgere all’agente nessun rimprovero, neppure di mera disattenzione, la pretesa rieducativa dello Stato non avrebbe più senso. Infatti, chi agisce senza dolo o colpa non manifesta nessuna volontà di ribellione o indifferenza nei confronti dei beni protetti, per cui manca l’elemento psicologico di contrasto con l’ordinamento giuridico che giustificherebbe la necessità di educare al rispetto delle regole di convivenza. Inoltre, la punizione finirebbe con l’essere arbitraria, verrebbe vista come ingiusta e ciò anziché disporre l’agente psicologicamente alla prospettiva di rieducazione, provocherebbe l’effetto contrario di rafforzare in lui i sentimenti di ostilità verso l’ordinamento. La Corte Cost. nella sent. 364/88 ha affermato che comunque si intenda la funzione rieducativa, essa postula almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Non avrebbe senso la rieducazione di chi, non essendo almeno in colpa, non ha bisogno di essere rieducato. L’idea della colpevolezza presuppone il rifiuto della fattispecie della responsabilità oggettiva: subordinare la punibilità alla colpevolezza equivale cioè a bandire ogni forma di responsabilità per accadimenti dovuti al mero caso fortuito. Inoltre, risulta inammissibile la figura della colpa d’autore; la colpevolezza può solo significare colpa per il fatto (lesivo di un bene penalmente protetto) e non colpevolezza per il carattere o per la condotta di vita.  La teoria della colpevolezza per il carattere pretende che all’agente si possa muovere l’addebito di non avere frenato in tempo le pulsioni antisociali, in modo da formarsi un carattere meno propenso a delinquere.  La teoria per la colpevolezza della condotta di vita pretende di incentrare il giudizio di disapprovazione sullo stesso modello o stile di vita e sulle scelte esistenziali del reo, che sarebbero all’origine della inclinazione al delitto. Una colpevolezza così ancorata alla personalità dell’agente contribuirebbe a spiegare la struttura di alcuni reati (come lo sfruttamento di prostitute) nonché la recidiva o i casi di ubriachezza abituale.

Obiezioni:

L’orientamento tipico del nostro diritto impone di individuare il nucleo centrale del disvalore penale nel fatto offensivo di un interesse tutelato; ne discende che anche la colpevolezza deve assumere a punto di riferimento il singolo fatto di reato. In secondo luogo, la tendenza a ravvisare il carattere personalistico della

responsabilità penale in un giudizio di colpevolezza basato sull’atteggiamento spirituale del reo, rischia di collocare il centro di gravità sul modo di essere dell’agente, sulla sua minore o maggiore malvagità.

Colpevolezza e pericolosità sociale:

Il concetto di colpevolezza si contrappone a quello di pericolosità sociale: il primo, che riguarda solo i soggetti capaci di intendere e di volere, esprime un rimprovero per la commissione di un fatto delittuoso; il secondo, privilegia la personalità dell’autore e fa riferimento, più che a un fatto di reato già commesso, alla probabilità che l’autore continui a delinquere in futuro. Mentre la colpevolezza costituisce presupposto dell’applicazione della pena in senso stretto, la pericolosità giustifica l’applicazione di una misura di sicurezza. Tale distinzione, chiara sotto il profilo teorico, tende a sfumare dal punto di vista pratico, sia perché i giudici tendono ad emettere giudizi unitari sull’autore del reato, che finiscono col non distinguere tra atteggiamento psicologico riferito al singolo reato commesso e personalità complessiva del soggetto; sia perché esistono vari istituti che presentano una natura ibrida, nel senso che possono essere ricostruiti privilegiando o il piano della colpevolezza o il piano della pericolosità (es. capacità a delinquere).

2- TENTATIVO

Le fasi dell’iter criminis e il delitto tentato:

Nella commissione del reato la condotta delittuosa attraversa normalmente diverse fasi che integrano il cd. iter criminis, e la frazionabilità di questo iter costituisce il presupposto essenziale per la configurabilità del tentativo. Sotto tale profilo si è soliti distinguere in dottrina tra i differenti momenti dell’ideazione, della preparazione, dell’esecuzione e della consumazione.

La fase dell’ideazione si sviluppa tutta all’interno della psiche del soggetto e di per sé non è punibile, come si ricava dall’art. 115 c. che costituisce espressione del generale principio ossia: a nessuno può infliggersi una pena per i suoi pensieri.

La fase della preparazione può aversi, per sua stessa natura, soltanto nei reati a dolo di proposito, diversamente dalla fase dell’esecuzione che consiste nel compimento della condotta richiesta per l’integrazione del reato. Integrazione che sarà perfetta e completa, però, soltanto quando siano presenti tutti gli elementi previsti dalla legge per l’esistenza del reato, e cioè quando il fatto concreto si dimostri pienamente conforme all’ipotesi astratta delineata dal legislatore (fase della consumazione).

Questa scissione analitica dei momenti dell’iter criminis non ha scopo puramente accademico, perché consente di affrontare il problema principale in materia di tentativo: l’individuazione, cioè, del momento dell’iter criminis a partire dal quale il soggetto è punibile.

In astratto, sono adottabili due diverse soluzioni: per la prima, il soggetto andrebbe considerato punibile sulla base della mera volontà malvagia e per la mera intenzione di commettere il reato comunque manifestata e dimostrata (e si tratta di una soluzione coerente con i gli orientamenti dottrinali che incentrano la pena sull’atteggiamento psicologico del reo); per la seconda, il soggetto è punibile soltanto quando la sua intenzione criminosa si sia in concreto tradotta in un comportamento prossimo all’esecuzione e alla consumazione del reato, tale da presentarsi idoneo a realizzarlo con probabile lesione del bene protetto dalla norma (e si tratta della soluzione adottata dalla maggior parte dei sistemi penali contemporanei, tra i quali il nostro).

Presupposti per la punibilità del tentativo:

Il tentativo individua la volontà di commettere un reato e si dispiega nell’azione diretta alla commissione dello stesso, con la non trascurabile circostanza che però l’azione rimane senza successo per cause indipendenti dalla volontà del soggetto. Ciò posto, affinché possa parlarsi di tentativo punibile occorre che gli atti compiuti siano di per sé idonei a realizzare il reato e a porre in pericolo il bene protetto, nonché tali

giunta ad uno stadio tale da far ritenere assolutamente improbabile che il soggetto la interrompa desistendo dal proposito criminoso.

L’ultimo requisito fondamentale del tentativo è l’idoneità degli atti a commettere il delitto.

Il previgente codice Zanardelli parlava di idoneità dei mezzi, mentre oggi l’idoneità è riferita all’atto. E l’innovazione è quantomai opportuna perché, da un punto di vista scientifico, non esiste un mezzo in sé idoneo o inidoneo, e il giudizio di idoneità va necessariamente riferito all’attività di impiego del mezzo.

Così, ad esempio, un fucile è un mezzo idoneo in sé, ma può risultare del tutto inidoneo qualora sia utilizzato per uccidere una persona che si trova al di là della portata dell’arma.

In definitiva, il giudizio di idoneità non va formulato in astratto, ma operato in concreto prendendo in considerazione tutte le circostanze nelle quali si svolge l’attività, oltre alle conoscenze dell’uomo medio e quelle eventualmente maggiori dell’agente. Così, se l’uso di una certa dose di zucchero non è in astratto idonea a cagionare la morte di una persona, può tuttavia esserlo in concreto se la persona è gravemente diabetica e tale circostanza sia nota al reo. In ogni caso, l’idoneità non va valutata ex post bensì ex ante, nel senso che occorre riportarsi al momento dell’azione.

La desistenza ed il recesso:

Desistenza e recesso presuppongono entrambi che il soggetto abbia posto già in essere un tentativo punibile, ma che, cambiando idea, faccia in modo che il delitto non giunga a consumazione: nella desistenza, interrompendo l’azione delittuosa; nel recesso attivo, tenendo una contro condotta in modo da evitare che si produca l’evento.

Quindi la mancata consumazione del reato è dovuta alla mutata volontà del soggetto.

Ciò presuppone ovviamente che, al momento dell’azione impeditiva del soggetto, sussistessero ancora la possibilità e il pericolo di consumazione del reato (se tale possibilità fosse già venuta meno, si avrebbe infatti tentativo fallito ma come tale interamente punibile: MANTOVANI).

Entrambi gli istituti hanno una evidente connotazione premiale, in quanto assicurano al soggetto, che volontariamente impedisce la consumazione del reato, l’impunità (nel caso della desistenza e sempreché gli atti già compiuti non costituiscano di per sé reato: ad esempio, chi desiste dal furto dopo essersi introdotto in casa altrui mediante effrazione della serratura non risponderà di tentato furto, ma potrà comunque rispondere di violazione di domicilio e danneggiamento), o un’attenuazione di pena (nel caso del recesso attivo).

3- ASSENZA DI SCUSANTI

Per considerare colpevole l’agente non basta che abbia commesso un fatto antigiuridico con dolo o per colpa: un compiuto rimprovero di colpevolezza non può muoversi quando l’agente ha commesso il fatto in presenza di scusanti, cioè di circostanze anormali che, nella valutazione legislativa, hanno influito in modo irresistibile sulla sua volontà o sulle sue capacità psicofisiche. Il tratto comune di queste ipotesi viene espresso il concetto di inesigibilità, nel senso che da chi ha agito sotto la pressione di quelle circostanze anormali non si poteva esigere un comportamento diverso.

IL CARATTERE TASSATIVO DEL CATALOGO DELLE SCUSANTI

Solo in via di eccezione espressa gli ordinamenti danno rilievo all’umana fragilità per scusare il compimento di ingiustificati fatti offensivi di beni giuridici commessi con dolo e per colpa. Vi è un catalogo tassativo delle scusanti espressamente previste dalla legge (art. 384, comma 1 c.) ed eventuali lacune in materia di scusanti possono essere colmate dal legislatore. Le scelte del legislator in materia di scusanti sottostanno al

vaglio della Corte costituzionale, in particolare sotto il profilo del rispetto del principio di eguaglianza- ragionevolezza ex art. 3 Cost.

LE SCUSANTI DEI REATI DOLOSI

Tra le principali ipotesi di scusanti, si segnala la provocazione nei delitti contro l’onore: a norma dell’art. 599, comma 2 c. “non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 594 e 595 (ingiuria e diffamazione) nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”.

È scusato inoltre chi commette fatti antigiuridici dolosi di falsa testimonianza, falsa perizia o interpretazione, favoreggiamento personale ecc., “per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da una grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore” (art. 384, comma 1 c.).

Non è colpevole chi agiste in stato di necessità determinato da forze della natura (art. 54, comma 1 c.) o dall’altrui minaccia (art. 54, comma 3 c.), essendo costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona.

LE SCUSANTI DEI REATI COLPOSI

Anche sul terreno dei reati colposi il legislatore prevede delle circostanze anormali che scusano la violazione di una regola di diligenza, perché la loro presenza influisce in modo normale irresistibile sulle capacità psicofisiche dell’agente, impedendo anche all’agente modello di rispettare la regola di diligenza violata. Si tratta di una gamma tassativa di circostanze concomitanti all’azione o all’omissione che viola una regola di diligenza, valorizzabili come scusanti di quella violazione sulla base delle disposizioni sul caso fortuito (art. 45 c.), sulla forza maggiore (art. 45 c.), sul costringimento fisico (art. 46 c.) e sulla coscienza e volontà dell’azione o dell’omissione (art. 42, comma 1 c.):

  • A cominciare dai reati commissivi colposi, rilevano come scusanti, ai sensi della norma sul caso fortuito, circostanze interne come l’insorgenza di un malore rapido e improvviso che colpisca chi è alla guida di un’auto. In casi del genere, la violazione delle regole di diligenza è incontestabile, com’è incontestabile che la violazione è stata realizzata in circostanze anormali imprevedibili che la scusano.

  • Scusano la violazione di questa o quella regola di diligenza, ai sensi della disposizione sulla coscienza e volontà dell’azione o dell’omissione, circostanze interne come le reazioni da terrore o spavento, che paralizzano le normali funzioni di controllo della coscienza e volontà.

  • Circostanze anormali esterne, che possono scusare la violazione di una regola di diligenza, sono la forza maggiore e il costringimento fisico.

  • Anche i reati omissivi colposi fanno spazio, ai sensi delle disposizioni su caso fortuito, forza maggiore, costringimento fisico e coscienza e volontà dell’omissione, a circostanza concomitanti anormali, interne ed esterne, che scusano l’oggettiva violazione di un dovere di diligenza.

Le disposizioni su forza maggiore, costringimento fisico, caso fortuito e assenza della coscienza e volontà dell’azione od omissione non hanno nessun rilievo autonomo nei reati dolosi: sono altrettante ipotesi di assenza di dolo, cioè di assenza di rappresentazione o di volizione del fatto. Si tratta di situazioni di non dolo, per difetto del momento rappresentativo o volitivo.

  • La scusante dello stato di necessità determinato dall’altrui minaccia (art. 54, comma 3 c.) trova applicazione anche per i reati colposi.

4- CONCORSO DI PERSONE NEL REATO

1-se il numero delle persone che sono concorse nel reato è di 5 o più, salvo che la legge disponga diversamente;

2-per chi, anche al di fuori dei casi preveduti dai n seguenti, ha promosso o organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo;

3-per chi, nell’esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza, ha determinato a commettere un reato persone ad esso soggette (i n. 3/4 riguardano i rapporti incube/succube => il fatto che uno dei compartecipi esercitasse, sulla realizzazione del fatto collettivo, una particolare «signorìa», un dominio qualificato, o dalla sua posizione autoritativa, o comunque dalla sua superiorità o dal ruolo svolto nella vicenda).

4-per chi, fuori dal caso preveduto dall’art, ha determinato a commettere il reato un minore di 18 anni o una persona in stato di infermità o deficienza psichica, ovvero si è comunque avvalso degli stessi nella commissione di un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza.

Co. 2 => la pena è aumentata fino alla metà per chi si è avvalso di persona non imputabile, non punibile, a cagione di una condizione o qualità personale, nella commissione di un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza.

Co. 3 => se chi ha determinato altri a commettere il reato o si è avvalso di altri nella commissione del delitto ne è genitore esercente la potestà, nel caso previsto dal n. 4 co. 1 di questo art. la pena è aumentata fino alla metà e in quello previsto dal co. 2 la pena è aumentata fino a due terzi.

6- REATI OMISSIVI

Il reato omissivo è l’illecito posto in essere da un soggetto che, pur avendo l’obbligo di compiere una determinata azione, rimanga inerte. Il reato omissivo può essere proprio o improprio. Nel primo caso, la semplice omissione del soggetto è sufficiente per ritenere quest’ultimo penalmente responsabile di quanto accaduto (ad esempio l’omissione di soccorso). Nel reato omissivo improprio, invece, è altresì richiesto che dall’omissione del responsabile derivi un evento che la legge mira ad evitare (ad esempio la morte di una persona).

Il reato omissivo proprio:

Quando pensiamo alla commissione un reato, subito immaginiamo l’azione fisica del soggetto che l’ha causato. Se consideriamo l’omicidio, ad esempio, prendiamo in considerazione il comportamento attivo del colpevole che ha portato alla morte della vittima: un colpo di pistola, una serie di pugni, un avvelenamento e così via. Un reato, tuttavia, può configurarsi anche a seguito di un’omissione del colpevole: si parla a questo proposito di reato omissivo. Ora, nel nostro sistema penale esistono due tipi di reati:

  • i reati di mera condotta;
  • i reati di evento.

Nei reati di mera condotta, come si intuisce, basta un semplice comportamento del colpevole affinché l’illecito venga ad esistenza. Si pensi all’omissione di soccorso [1]. Ai fini della responsabilità penale, la legge richiede semplicemente che chiunque trovi un corpo umano che sembri inanimato (oppure una persona ferita o in pericolo) e rimanga inerte, commette un reato. La semplice omissione è sufficiente per far scattare la responsabilità penale: la legge non richiede che dall’omissione stessa derivi la morte della persona trovata ferita o in pericolo. In questo caso, quindi, si parla di reato omissivo proprio, in quanto è punita l’inerzia dell’agente che aveva il dovere di attivarsi.

Il reato omissivo improprio:

Il concetto di reato omissivo improprio, invece, si ricollega ai cosiddetti «reati di evento». Si pensi ancora all’omicidio: la legge, ai fini della responsabilità penale, non richiede solo che l’autore attui una condotta illecita. È infatti indispensabile il verificarsi di un evento: la morte della vittima. Avremo quindi:

  • condotta del colpevole (colpo di pistola);
  • evento (morte della vittima);
  • nesso causale tra condotta ed evento (la morte è stata causata dal colpo di pistola).

Generalmente, i reati di questo tipo sono delineati dal Codice penale nella loro forma attiva. Ciò non toglie, tuttavia, che essi possano configurarsi anche come reati omissivi (si pensi all’omicidio colposo derivante dall’omissione di un medico). Si parla infatti di «reati commissivi mediante omissione» (o reati omissivi impropri). Il nostro Codice penale, infatti, afferma espressamente che «non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». Il nostro ordinamento è ispirato al principio di solidarietà, sancito a livello costituzionale. In questo senso, esistono situazioni in cui alcuni soggetti hanno il dovere giuridico di compiere un’azione specifica, al fine di evitare il prodursi di un evento pregiudizievole per qualcun altro. Ad esempio, il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre tutte le misure di sicurezza necessarie a salvaguardare l’incolumità dei dipendenti; il medico deve fare tutto quanto necessario per tutelare la salute del paziente; il guidatore di un’auto deve adoperarsi per far allacciare le cinture di sicurezza ai suoi passeggeri, al fine di ridurre il rischio di lesioni in caso di incidente.

In tutti questi casi, i soggetti coinvolti (come si è visto può trattarsi sia di individui qualificati che di persone comuni) si trovano in una situazione in cui hanno l’obbligo di fare qualcosa: se non agiscono e da tale omissione deriva un evento penalmente rilevante, essi risponderanno di reato omissivo. Ciò che rileva è il fatto di trovarsi in una posizione di garanzia per qualcun altro, l’avere il potere (e l’obbligo) di impedire un evento dannoso. Nel caso dell’automobilista, ad esempio, la Cassazione è ormai solida nell’affermare che, anche se non esiste una norma specifica che imponga al guidatore di assicurarsi che tutti abbiano allacciato le cinture di sicurezza, egli debba esigere che i passeggeri indossino le cinture stesse, anche a costo di rifiutare la marcia. Se l’automobilista omette tutto ciò, sarà responsabile delle lesioni subite dai passeggeri (o della morte degli stessi) in caso di incidente.

Si noti che l’automobilista si trova in una posizione del tutto particolare, tale per cui egli è garante della sicurezza dei passeggeri. Il guidatore ha infatti il potere di impedire il verificarsi di un evento dannoso. Proprio la sussistenza di questi poteri giustifica il fatto che chi non li esercita risponda penalmente della propria omissione. Lo schema tipico del reato omissivo improprio, quindi, è il seguente:

  • esistenza di una posizione di garanzia, tale per cui un soggetto ha il potere di impedire un evento dannoso;
  • omissione dell’agente, che non attua la condotta che era obbligato a tenere;
  • nesso causale tra omissione ed evento: in poche parole, l’evento (ad esempio la morte) deriva proprio dall’omissione dell’agente. 7- DOLO

Dolo: definizione normativa

Il dolo viene definito dall'articolo 43 del codice penale, il quale stabilisce che "Il delitto è doloso o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione". Si parla di dolo quando si ha a che fare con reati che vengono commessi da soggetti che li commettono intenzionalmente, ben sapendo quali sono le conseguenze delle loro azioni. Elementi, quelli della volontà e della consapevolezza che tuttavia, come vedremo, possono essere presenti in misura più o meno ampia, a seconda del tipo di dolo con il quale il soggetto agisce.

generico si ha pertanto quando il soggetto vuole realizzare il fatto descritto dalla norma incriminatrice senza che assuma rilievo la finalità. Tanto per fare un esempio, se un soggetto cosparge della benzina su un'auto in sosta, non rilevano le ragioni per le quali lo compie, il soggetto è solo per questo responsabile del reato di incendio doloso.

Il dolo specifico, invece, si ha quando è necessario qualcosa in più, ovverosia il perseguimento da parte dell'agente di un determinato fine (che, in ogni caso, non deve essere necessariamente raggiunto affinché il reato si configuri).

  • Dolo di danno e di pericolo

Nel dolo di danno l'agente ha l'intenzione di ledere il bene protetto dalla norma penale.

Nel dolo di pericolo l'agente solo l'intenzione di minacciare il bene protetto.

  • Dolo iniziale, concomitante e successivo

Se il dolo si ha solo quando viene avviata la condotta illecita, si dice iniziale; se accompagna lo svolgimento dell'intera condotta sino alla causazione del danno, si dice concomitante; se invece si manifesta dopo l'azione o l'omissione, si dice successivo.

  • Dolo d'impeto e di proposito

Il dolo d'impeto si verifica quando l'agente decide di compiere il reato in maniera improvvisa e tra tale decisione e la sua attuazione non vi è alcun intervallo di tempo.

Il dolo di proposito, invece, si verifica quando l'agente formula la sua intenzione criminosa con anticipo rispetto alla commissione dell'azione o dell'omissione (rientra nel dolo di proposito la premeditazione).

  • Dolo eventuale e colpa cosciente

Tipo di dolo piuttosto problematico e spesso difficile da identificare perché si pone al confine con la colpa cosciente.

Il dolo eventuale si realizza nel momento in cui il soggetto si rappresenta l'evento della sua condotta non come una certezza, ma come un'eventualità, accettando però il rischio che lo stesso si verifichi.

La colpa cosciente si caratterizza anch'essa per l'accettazione, da parte del soggetto agente, delle conseguenze della propria condotta, che prevede. La differenza è che in questo caso il soggetto ritiene erroneamente che lo stesso si possa realizzare. L'esempio più tipico è quello del conducente che, pur superando i limiti di velocità e pur rappresentandosi la possibilità che la sua condotta possa cagionare un sinistro stradale, lo esclude perché ritiene che grazie alla sua abilità l'evento non si verificherà.

8- MISURE DI SICUREZZA

Misure di sicurezza: presupposti

Le misure di sicurezza possono affiancarsi o sostituirsi alla pena principale e si applicano in presenza di due presupposti:

-il destinatario deve essere socialmente pericoloso (requisito soggettivo)

-il destinatario deve aver commesso un fatto previsto dalla legge come reato (requisito oggettivo).

Durata delle misure di sicurezza:

La durata dell'applicazione delle misure di sicurezza è fissata dalla legge solo nel minimo, in misura variabile per ciascuna di esse.

Circa il termine massimo di applicazione delle misure di sicurezza, invece, il Codice penale non dice nulla, in quanto è impossibile determinare in anticipo la cessazione della pericolosità del soggetto destinatario delle stesse. Ai sensi dell'art. 207 c., del resto, tali misure non possono essere revocate se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose. Se, alla scadenza, la pericolosità persiste, la misura viene rinnovata; in caso contrario (ovvero in caso di cessazione) essa può essere revocata dal Tribunale di Sorveglianza competente anche prima della scadenza (ma mai prima della sua durata minima).

Misure di sicurezza: tipologie

Le misure di sicurezza sono di due tipi:

a) personali: limitano la libertà personale del soggetto;

b) patrimoniali: incidono solo sul patrimonio del soggetto.

Misure di sicurezza personali:

Le misure di sicurezza personali, a loro volta, si distinguono in misure detentive e misure non detentive, a seconda che il soggetto cui le stesse sono destinate sia detenuto in un istituto o sia sottoposto a un regime di libertà vigilata, al divieto di soggiorno o al divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche. È una misura di sicurezza personale non detentiva anche l'espulsione dallo Stato dello straniero.

Tra gli istituti nei quali è possibile "scontare" una misura di sicurezza personale detentiva troviamo, oggi, la colonia agricola, la casa di lavoro e le cc. REMS (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza). Queste ultime hanno sostituto le case di cura e custodia e gli ospedali psichiatrici giudiziari, chiusi definitivamente il 31 marzo 2015.

Misure di sicurezza patrimoniali:

Le misure a carattere patrimoniale sono invece la cauzione e la confisca di beni o strumenti utilizzati per commettere il reato oppure prodotti dal reato stesso.

Si distinguono dalla pena in quanto le misure di sicurezza non hanno funzione strettamente punitiva ma solo ed esclusivamente una funzione di rieducazione del reo.

Per tale ragione si applicano anche ai non imputabili (la pena invece si applica solo a soggetti imputabili), non hanno una durata fissa (caratteristica invece della pena) e la loro applicazione presuppone l'accertamento in concreto della pericolosità sociale del soggetto.

Misure di sicurezza e misure di prevenzione:

Le misure di sicurezza devono essere tenute ben distinte dalle misure di prevenzione, che sono dei provvedimenti special-preventivi che perseguono il fine di evitare che determinati soggetti, considerati socialmente pericolosi, commettano dei reati.

La differenza sta nel fatto che, mentre le misure di sicurezza, come visto, hanno tra i presupposti la commissione da parte del destinatario di un fatto di reato, le misure di prevenzione non richiedono tale condizione ma "solo" la sussistenza di specifici indizi di pericolosità individuati dalla legge.

9- RESPONSABILITÀ MEDICA

La responsabilità penale del medico è quella forma di responsabilità che può derivare a tale professionista o ad altri sanitari in connessione con lo svolgimento della propria prestazione professionale nel caso in cui, al ricorrere di precisi requisiti sui quali ci soffermeremo più avanti, da un suo determinato comportamento, attuato mediante errore ed omissione, derivino lesioni di una certa gravità o addirittura il decesso del paziente.

professione sanitaria si applicano le pene ivi previste, specifica che "qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico- assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto".

Analizzando la norma si rileva che viene eliminato ogni riferimento al grado della colpa, con soppressione di qualsiasi riferimento alla colpa lieve e rinvio generico all'imperizia del sanitario e al rispetto delle linee guida previste dalla legge o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali.

Chiaro è insomma l'intento di combattere in maniera più radicale il fenomeno della medicina difensiva e di supportare il lavoro della magistratura, introducendo fattispecie di reato tassative e definizioni chiare e dettagliate.

10- RESPONSABILITÀ OGGETTIVA

Si parla di responsabilità penale oggettiva quando la legge punisce una persona anche se in assenza dell’elemento soggettivo, cioè del legame psicologico (dolo o colpa) tra il fatto e l’evento. In effetti, forme di responsabilità oggettiva non dovrebbero trovare spazio in ambito penale, visto che la Costituzione dice espressamente che la responsabilità penale è solamente personale. Ciononostante, esistono delle ipotesi in cui l’evento criminoso è posto a carico di un soggetto solamente in ragione del nesso causale. Per giustificare tali situazioni, si ritiene che anche la responsabilità penale oggettiva presupponga un minimo di riconducibilità psicologica all’agente, quantomeno a titolo di colpa.

Casi:

  • Il reato preterintenzionale

Una prima forma di responsabilità senza colpa si ha nel caso del reato preterintenzionale, che si configura quando dalla propria azione deriva un evento ben più grave di quello voluto. Classica ipotesi è quella dell’omicidio preterintenzionale, che si configura ogni volta che un uomo perda la vita a seguito delle percosse o delle lesioni subite, anche se il soggetto che ha inferto le ferite non voleva provocare la morte: pensa a chi, in preda alla collera, sferri un pugno in pieno viso ad un altro, cagionando il suo decesso pur non volendolo.

  • I reati a mezzo stampa

Altra forma di responsabilità penale oggettiva è quella del direttore nel caso dei reati commessi a mezzo stampa. Secondo la legge, il direttore (o il vicedirettore) è responsabile degli eventuali delitti realizzati con la stampa anche se commessi dai dipendenti del periodico, quando abbia omesso il necessario controllo sugli articoli stessi. In pratica, se un giornalista di un quotidiano pubblica un articolo che lede l’onore di un personaggio famoso, risponde di diffamazione anche il direttore della testata, per il solo fatto di non aver impedito la pubblicazione.

  • I reati aggravati dall’evento

Infine, tra le ipotesi di responsabilità oggettiva penale troviamo anche i cosiddetti reati aggravati dall’evento, che sono quelli in cui è prevista una certa pena per il fatto base, ma tale pena viene aggravata se, oltre al fatto, si verifica un evento ulteriore. Esempi di questa particolare fattispecie sono l’omissione di soccorso, la cui pena è aumentata se dall’omissione deriva una lesione o la morte della persona non aiutata, e la calunnia, se dalla propria menzogna derivano conseguenze pregiudizievoli per la persona ingiustamente accusata. Nelle ipotesi di reati aggravati dall’evento, quindi, si verifica una forma di responsabilità penale oggettiva perché l’evento aggravante è collegabile oggettivamente alla propria condotta, ma in realtà non è voluta dall’autore del fatto.

11- FATTO

Concetti di parte generale:

Gli elementi costitutivi essenziali delle singole fattispecie criminose emergono dalle singole norme penali reali dettate dal legislatore. Dall’analisi di fattispecie criminose risulta che tutte presentano elementi comuni e facendo astrazione di questi elementi otteniamo gli elementi costitutivi essenziali con cui costruire il modulo ideale di reato. Le regole di parte generale si incentrano su modelli a cui devono adeguarsi gli elementi davvero richiesti in una figura di reato. Quindi esempio: termini come “azioni” o “omissioni” sono semplici parole che si limitano a delineare i profili dei comportamenti umani che saranno di volta in volta classificati sotto queste parole. Ci sono però poi anche formulazioni che ipotizzano un dato contenutisticamente descritto che è suscettibile di verificarsi relativamente a un numero illimitato di ipotesi oggetto di previsione normativa (esempio: 41 parla di rapporto di causalità ma anche generalmente di ogni processo causale rilevante per il diritto penale).

Requisiti inderogabili della fattispecie criminosa:

Partiamo dalle regole che all’apice (riferimento a regole costituzionali) disegnano la struttura minima e inderogabile della fattispecie criminosa. Il 25 II Costituzione enuncia più e diversi principi fondamentali del diritto penale: la riserva assoluta di legge penale, la irretroattività della legge incriminatrice, il generale principio tra due leggi del “favor rei”, principio per cui si può esser chiamati a rispondere solo per un “fatto”. Dall’art 27 I Costituzione si evince che la responsabilità penale è personale: quindi il fatto deve esser riferibile alla coscienza e volontà del soggetto sia in quanto effettivamente esplicate sia in quanto non attuate ma potenzialmente attuabili. Da tutto ciò deduciamo che gli elementi di imputazione soggettiva fanno parte della struttura del fatto e se ciò non fosse vero dovremmo applicare una legge sopravvenuta che estendesse la punibilità di un certo fatto dalla realizzazione dolosa a quella colposa a chi detto fatto avesse commesso senza dolo, ma imprudentemente, sotto il regime della legge precedente. Ciò per Gallo è assurdo.

La tipicità del fatto:

Per Gallo la rilevanza centrale che il “fatto” possiede per la determinazione dell’area in cui incide il principio di irretroattività ci ha portato a considerare inclusi nella nozione gli elementi soggettivi i quali si pongono come inderogabili criteri di imputazione della condotta al suo autore. Ex 25 Costituzione anche le scriminanti sono ricomprese nel fatto come elementi la cui mancanza è necessaria perché questo sia un illecito penale. Per dimostrare ciò si può anche ricorrere al 2 C. per cui “nessuno può esser punito per un fatto che secondo la legge del tempo in cui fu commesso non costitutiva reato” ed è fuori discussione che la disposizione che prevedeva la scriminante poi abrogata impedisse che il fatto potesse considerarsi reato. Ma la regola costituzionale si deve poi confrontare con la legge ordinaria. Dobbiamo quindi ringraziare la cos: pensiamo a prima della sua entrata in vigore, quando l’art 1 poteva esser derogata da una legge dello stesso rango. Si parlava infatti di reati di mero sospetto cioè reati non imperniati su un fatto umano ma su una situazione che giustifica il sospetto di commissione di futuri o passati reati (esempi tipici di ciò:707 e 708 ma nessuna delle due fattispecie ignora un fatto umano quale elemento costitutivo e il fatto sarà nel possesso di determinati oggetti)

12- CONOSCENZA O CONOSCIBILITÀ DELLA LEGGE PENALE VIOLATA

Circa la complessa struttura della colpevolezza, la concezione normativa richiede:

a) l’imputabilità.

b) la conoscenza o, quantomeno, la conoscibilità del precetto penale.

c) il dolo o la colpa.

a) errore-motivo, che cade nel momento ideativo del fatto, ossia sul processo formativo della volontà che nasce dunque viziata da una falsa rappresentazione del reale;

b) errore-inabilità, che interviene invece nella fase esecutiva del reato (es.: Tizio intende esplodere più colpi di fucile all’indirizzo di Caio, ma per un errore di mira colpisce Sempronio che passava nei paraggi).

Solo l’errore-motivo, tuttavia, è una vera e propria causa di esclusione della colpevolezza.

L’errore sul fatto e l’errore sul divieto:

L’art. 47 c. dispone che:

  • l’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente; tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa quando il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo;

  • l’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso;

  • l’errore su una legge diversa da quella penale esclude la punibilità quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato.

La ragione per la quale l’errore esclude la punibilità va ricercata nel fatto che, avendo l’agente una falsa rappresentazione della realtà, la sua condotta non può essere considerata dolosa poiché vuole un fatto diverso da quello che costituisce reato, salvo che, riscontrandosi elementi di colpa nel suo comportamento, gli si possa addebitare un delitto colposo (ad esempio se un cacciatore, vedendo muoversi i rami di un cespuglio, spara ritenendo che ivi ci sia una lepre, mentre invece vi è un altro cacciatore che muore a seguito dei colpi che lo hanno attinto, l’agente non risponderà di omicidio volontario ex art. 575, difettando il momento rappresentativo del dolo, ma potrà essere chiamato a rispondere di omicidio colposo in quanto è stato avventato e imprudente ex art. 589).

Inoltre, la mancata o inesatta percezione di un dato materiale (error facti) e l’ignoranza o l’erronea percezione del precetto penale o extrapenale richiamata dalla norma penale incriminatrice (error iuris) possono incidere sull’elemento soggettivo del fatto tipico, in quanto l’errore stesso preclude all’agente la coscienza e la volontà di porre in essere un fatto materiale conforme ad una determinata fattispecie criminosa.

È evidente che l’errore, per escludere il dolo, deve cadere su un elemento essenziale della fattispecie, sicché sono irrilevanti errori che incidono su circostanze marginali. Così, se Tizio uccide Caio al buio, erroneamente ritenendo che si tratti di Sempronio, suo nemico, tale errore non rileva perché l’art. 575 c. punisce chi cagiona la morte di un «uomo», ed è irrilevante la precisa rappresentazione della sua identità da parte dell’agente.

Errore determinato dall’altrui inganno:

L’art. 48 c. stabilisce che le disposizioni dell’art. 47 si applicano anche se l’errore sul fatto che costituisce reato è determinato dall’altrui inganno, ma che in tal caso del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinato a commetterlo.

La dottrina riconduce tale disciplina alla figura dell’autore mediato, ossia di chi si serve di un’altra persona come strumento per la commissione di un reato con qualsiasi mezzo di persuasione o suggestione idoneo.

La disciplina dell’art. 48 c. non è difforme da quella generale dettata dall’art. 47 c., e di conseguenza l’errore determinato dall’altrui inganno sarà idoneo ad escludere il dolo solo quando ricade sul fatto e non anche quando investa il precetto. Inoltre, permarrà in capo all’ingannato (deceptus) una responsabilità colposa se l’errore è dovuto anche a colpa a lui imputabile ed il fatto sia punibile, appunto, a titolo di colpa.

14- PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO

Tenuità del fatto:

È una particolare forma di improcedibilità dell'azione penale che può essere dichiarata nel procedimento innanzi al giudice di pace, allorché emerga che il fatto commesso è scarsamente offensivo, il danno o il pericolo cagionato è lieve, la condotta tenuta è del tutto occasionale, che l'ulteriore corso del processo determinerebbe uno sproporzionato pregiudizio alle sue esigenze di lavoro, di studio, familiari etc.

Ulteriore presupposto applicativo dell'istituto è costituito dalla carenza di un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento, per valorizzare la funzione conciliativa-punitiva del giudice di pace, che è un organo di mediazione e di composizione di microconflitti sociali. Una pronuncia di improcedibilità che non tenesse conto delle esigenze della persona offesa avrebbe snaturato la funzione del giudice di pace, senza una reale contropartita sotto il profilo deflattivo dei procedimenti penali. Tale causa di improcedibilità può essere pronunciata dal giudice di pace con decreto, nel corso delle indagini; con sentenza, dopo l'esercizio dell'azione penale.

Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69.

La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.

15- CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE/ANTIGIURIDICITÀ

Sono cause di giustificazione espressamente previste dal codice penale:

  • Il Consenso dell’avente diritto: l’articolo 50 del codice penale stabilisce che non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne.
  • Esercizio di un diritto: l’articolo 51 del codice penale considera non punibile colui che abbia realizzato una condotta astrattamente sussumibile in una fattispecie di reato esercitando una facoltà riconosciutagli dall’ordinamento giuridico nel suo complesso.
  • Adempimento di un dovere: a norma dell’articolo 51 del codice penale è esclusa la punibilità se una condotta astrattamente prevista come reato sia realizzata in adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità.

Siccome non sono neanche norme eccezionali, è possibile applicare alle stesse per analogia: Le cause di giustificazione sono conformi ai principi dell’ordinamento e sono espressione del principio di razionalità della legge.

L’articolo 59 del codice penale prevede che le cause di giustificazione si applichino al reo: anche se da lui non conosciute o per errore ritenute inesistenti.

Hanno valenza oggettiva, indipendentemente dalle conoscenze e dal fine perseguito dall’agente, in presenza di una causa di giustificazione, un fatto diventa lecito anche se si perseguono fini illeciti.

Le cause di giustificazione escludono la sanzionabilità anche del fatto dei concorrenti, perché il fatto commesso è ritenuto lecito dall’ordinamento.

L’articolo 119 comma 2 del codice penale prevede che: le circostanze che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato.

A questa regola fanno eccezione le cossiddette cause di giustificazione personali, quelle relative esclusivamente ad alcune categorie di soggetti, come ad esempio, l’utilizzo legittimo delle armi (ex art 53 c.) si applica ai pubblici ufficiali.

  • L’erronea supposizione e l’errore

L’articolo 59 del codice penale al comma 4 prevede che: Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

L’articolo 55 del codice penale prevede invece che: Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54,(cioè le cause di giustificazione) si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

Se l’eccesso nelle cause di giustificazione è colposo, vale a dire, dovuto cioè a negligenza, imprudenza o imperizia o a violazione di norme, regolamenti, ordini o discipline) il fatto sarà punibile solo come delitto colposo. La colpa può essere presente sia nella valutazione della situazione scriminante sia nella fase esecutiva della condotta, non invece la norma che contiene la causa di giustificazione (vedi errore inescusabile sulla legge penale).

Se invece l’eccesso è volontario (doloso), la ‘causa di giustificazione’ non avrà nessun effetto sull’agente.

Se l’eccesso è incolpevole l’agente non è punibile a nessun titolo.

  • L’antigiuridicità

Posto che l’istituto delle scriminanti è strettamente connesso alla nozione di antigiuridicità, quest’ultima viene meno se si è in presenza della prima, ossia nell’ipotesi in cui una norma, diversa da quella incriminatrice, facoltizza o impone un determinato fatto tipico al fine di salvaguardare un bene ritenuto preminente rispetto a quello tutelato dalla norma penale incriminatrice.

Se il principio di non contraddizione è, dunque, il fondamento logico-giuridico delle cause di giustificazione, il loro fondamento sostanziale ovvero politico è sempre da individuare in un’esigenza di equo contemperamento tra almeno due interessi in conflitto: l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice e un altro interesse che, nella situazione definita dalla norma giustificante, viene privilegiato dall’ordinamento giuridico. Dunque, tali cause di giustificazione, impediscono che il reato sorga, per venir meno non già un

suo elemento soltanto, ma la stessa illiceità del fatto, i, quanto per esse, appunto, manca il contrasto tra il fatto e l’ordinamento giuridico.

Di talchè, le medesime escludono la responsabilità o la colpevolezza per difetto dell’imputazione o dello scopo criminoso o per il movente.

Per quanto concerne le conseguenze applicative delle cause di giustificazione, poichè le norme che le prevedono non sono di diritto eccezionale ma di diritto regolare, risultano notevoli come, ad esempio, l’ammissibilità della loro applicazione analogica.

Dipoi, il fatto che le scriminanti possano trarsi dall’intero ordinamento giuridico ha come risultato che le norme che le prevedono non hanno carattere specificamente penale, sicchè non sono assoggettabili al principio della riserva di legge che vige in ambito penale, oltre che al divieto di analogia come detto in precedenza.

Per quanto riguarda l’ambito processuale ai fini della decisione, sempre tale carattere lecito del fatto posto in essere in presenza di una situazione che scrimina, fa sì che la formula assolutoria sia quella perché il fatto non costituisce reato e non perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, poiché il fatto, al di fuori della situazione scriminante, è reato, né perché il fatto non sussiste, visto che in rerum natura il fatto esiste.

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Diritto Penale

Corso: Diritto penale

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DIRITTO PENALE
1- PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA
Perché il fatto commissivo sia punibile non deve essere solo tipico e antigiuridico, ma anche colpevole. La
colpevolezza è, quindi, il terzo elemento costitutivo del reato.
Il ruolo della colpevolezza:
Il ruolo centrale del principio di colpevolezza è confermato dalla sua rilevanza costituzionale, come si
desume:
dall’art. 27, comma 1° Cost. che sancisce il principio della personalità della responsabilità penale.
Inoltre, secondo un’interpretazione diffusa, tale principio va inteso non solo nel significato minimo
di divieto di responsabilità per fatto altrui, ma nel senso più pregnante di responsabilità per fatto
proprio colpevole. Il legislatore ha quindi, espresso il principio secondo cui, l’applicazione della pena
presuppone l’attribuzione psicologica del singolo fatto di reato alla volontà antidoverosa del
soggetto. Come ha chiarito la Corte Cost. in una serie di sentenze, il fatto criminoso può essere
imputato al suo autore solo se il fatto stesso gli sia attribuibile almeno a titolo di colpa; ove non vi
sia né dolo né colpa, viene meno il carattere personale dell’addebito, ed un’eventuale attribuzione
di responsabilità si porrebbe in contrasto con l’art. 27 della Cost.
dall’art. 27 comma 3° che sancisce il finalismo rieducativo della pena. Se fosse sufficiente, ai fini
dell’assoggettamento a pena, il semplice fatto di cagionare materialmente un evento lesivo, senza
poter rivolgere allagente nessun rimprovero, neppure di mera disattenzione, la pretesa rieducativa
dello Stato non avrebbe più senso. Infatti, chi agisce senza dolo o colpa non manifesta nessuna
volontà di ribellione o indifferenza nei confronti dei beni protetti, per cui manca l’elemento
psicologico di contrasto con l’ordinamento giuridico che giustificherebbe la necessità di educare al
rispetto delle regole di convivenza. Inoltre, la punizione finirebbe con l’essere arbitraria, verrebbe
vista come ingiusta e ciò anziché disporre l’agente psicologicamente alla prospettiva di
rieducazione, provocherebbe l’effetto contrario di rafforzare in lui i sentimenti di ostilità verso
l’ordinamento. La Corte Cost. nella sent. 364/88 ha affermato che comunque si intenda la funzione
rieducativa, essa postula almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi della
fattispecie tipica. Non avrebbe senso la rieducazione di chi, non essendo almeno in colpa, non ha
bisogno di essere rieducato. L’idea della colpevolezza presuppone il rifiuto della fattispecie della
responsabilità oggettiva: subordinare la punibilità alla colpevolezza equivale cioè a bandire ogni
forma di responsabilità per accadimenti dovuti al mero caso fortuito. Inoltre, risulta inammissibile la
figura della colpa d’autore; la colpevolezza può solo significare colpa per il fatto (lesivo di un bene
penalmente protetto) e non colpevolezza per il carattere o per la condotta di vita.
La teoria della colpevolezza per il carattere pretende che all’agente si possa muovere l’addebito di
non avere frenato in tempo le pulsioni antisociali, in modo da formarsi un carattere meno propenso
a delinquere.
La teoria per la colpevolezza della condotta di vita pretende di incentrare il giudizio di
disapprovazione sullo stesso modello o stile di vita e sulle scelte esistenziali del reo, che sarebbero
all’origine della inclinazione al delitto. Una colpevolezza così ancorata alla personalità dell’agente
contribuirebbe a spiegare la struttura di alcuni reati (come lo sfruttamento di prostitute) nonché la
recidiva o i casi di ubriachezza abituale.
Obiezioni:
Lorientamento tipico del nostro diritto impone di individuare il nucleo centrale del disvalore penale nel
fatto offensivo di un interesse tutelato; ne discende che anche la colpevolezza deve assumere a punto di
riferimento il singolo fatto di reato. In secondo luogo, la tendenza a ravvisare il carattere personalistico della