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Riassunto Potenziali di sviluppo e di apprendimento nelle disabilità intellettive. Indicazioni per gli interventi educativi e didattici - psicologia dello sviluppo e dell'educazione - a.a. 2015/2016

Corso

Psicologia dello Sviluppo e dell'Educazione (SF01107143)

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Anno accademico: 2015/2016
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Università degli Studi di Padova

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Potenziali di sviluppo e di apprendimento nelle disabilità intellettive (Renzo Vianello)

Capitolo 1 - Cosa mi hanno insegnato 40 anni d’integrazione: commento critico.

Percorso storico dell’integrazione. L’applicazione della legge 517 del 1977, che stabilì: a) L’abolizione delle classi differenziali e di aggiornamento; b) Forme di integrazione e sostegno a favore di alunni portatori di handicap sia nella scuola elementare sia media inferiore; c) Che le classi che accolgono portatori di handicap fossero costituite da un massimo di 20 alunni (oggi questa legge è superata); d) Che per gli alunni in situazioni di handicap fossero previsti anche insegnanti specializzati per il sostegno. Le esperienze di Vianello in quegli anni dimostrano che le conoscenze sulle varie sindromi erano estremamente limitate e raramente avevano il conforto di indagini genetiche che ci indicassero la presenza di disturbi specifici. Vianello ha sempre prestato particolare attenzione alla sindrome di Down, riscontrando che i minori con sindrome di Down italiani conseguivano nei test di intelligenza punteggi superiori rispetto ai minori con sindrome di down istituzionalizzati. I risultati a quei tempi erano discordanti, non dimostravano se inserire allievi con sindrome di Down in classi normali fosse positivo o negativo. Ora sappiamo che la risposta è positiva. In un articolo del 1978 si può constatare che l’età mentale media in soggetti con sindrome di Down a quei tempi non arrivava mai a 48 mesi (circa 4 anni). Inoltre fino agli 10-11 anni l’età mentale è sotto ai 3 anni. Le medie emerse da ricerche con allievi italiani ha dimostrato che le medie mentali si collocano fra i 5 e i 6 anni (a partire dai 10-12 anni di età cronologica). Quindi c’è un amento proporzionale attorno al 50%. Questi dati si riferiscono alla popolazione generale degli allievi italiani con sindrome di Down e non solo a quella di gruppi ben seguiti a livello educativo e abilitativo. Questi dati ci dicono che: - 4 minori con sindrome di Down su 6 forniscono ai test di intelligenza prestazioni paragonabili a quelle di bambini di età compresa fra i 4 e i 7 anni; - 1 su 6 evidenzia una età mentale inferiore; - 1 su 6 ha prestazioni superiori ai 7 anni. Quindi 5 su 6 hanno una intelligenza superiore a quella media valutata nel 1978 in allievi inseriti in scuole speciali. Secondo le opinioni di Vianello la grande maggioranza delle persone con Sindrome di Down avrebbe prestazioni superiori ai 7 anni. Attualmente la età mentale è raggiunta da una minoranza di loro, questo dimostra che c’è un ampio margine di progresso raggiungibile attraverso adeguati interventi educativi, scolastici, abilitativi e sociali. Vianello ritiene che in futuro si potrà raggiungere questo progresso, visti quelli avvenuti dal 1978 ad oggi. Però non tutta la totalità dei soggetti italiani con sindrome di Down sono compresi in questo progresso, perché alcuni presentano quadri sindromici più gravi. Anche se si è parlato solo di intelligenza, si può dire che è una buona base di partenza ma non basta, ci sono altri aspetti dello sviluppo da valutare in questi casi e che non sono sempre legati allo sviluppo dell’intelligenza. Vianello ha constatato che adeguati interventi educativi, scolastici, abilitativi e sociali permettono il raggiungimento di prestazioni scolastiche e di adattamento sociale anche con basi cognitive inferiori rispetto a quelle di norma utilizzate dai bambini con sviluppo tipico. Questo è l’effetto surplus. Le persone con sindrome di Down che hanno prestazioni nei test di intelligenza equivalenti a quelle dei bambini con sviluppo tipico di età superiore ai 7 anni hanno potenziali di apprendimento scolastico e adattivo che permettono di raggiungere prestazioni tipiche di ragazzi che frequentano la scuola secondaria di primo grado. L’inserimento di allievi con sindrome di Down in classi normali produce due effetti: - Gli effetti diretti che comprendono i progressi a livello di apprendimento scolastico e sociale. - Gli effetti indiretti ci sono ad esempio: o A livello extrascolastico c’è una maggiore accettazione sia nei confronti dell’individuo con disabilità che dei suoi familiari; o Si riducono i sentimenti di esclusione e aumenta la motivazione all’apprendimento e alla socializzazione da parte della persona con disabilità; o Diminuiscono i sentimenti di esclusione da parte dei familiari e questo permette loro una maggiore libertà sociale, maggiore accettazione delle difficoltà, un miglior rapporto educativo con il figlio o la figlia con disabilità, minor senso di colpa, ecc. Rispetto al passato quindi hanno raggiunto un livello intellettivo superiore e prestazioni scolastiche e adattamenti sociali superiori al livello intellettivo. Inoltre sono diminuiti i processi di esclusione e i processi inibitori collegati. Sono aumentato l’autodeterminazione e la motivazione sociale.

Vianello attribuisce molta importanza al ruolo educativo dei genitori, perché possano esprimersi in modo adeguato, senza lasciarli soli, ma fornendo un adeguato counseling. Alcuni genitori possono esprimere un eccesso di ottimismo o un eccesso di disperazione. Vianello in passato alcuni anni fa assieme a sette giovani psicologhe, hanno seguito una ventina di famiglie aventi un figlio/a con sindrome di Down, abitanti nel Veneto. È stata una ricerca longitudinale che prevedeva almeno 10 incontri annui con le famiglie. Questa esperienza ha dimostrato che se adeguatamente seguiti, i genitori evidenziano quasi sempre buone o ottime capacità educative, evitando errori che invece compiono se non sono seguiti, come quelli di sostituire insegnanti o professionisti, di iperstimolare o iperproteggere il figlio, di responsabilizzarsi troppo, ecc. Quindi Vianello ritiene che abbia un ruolo determinante il counseling ai genitori fin dalla nascita dei loro figli con disabilità intellettive. Questo in Italia non è ancora stato realizzato e Vianello spera in un miglioramento nelle istituzioni che possono permettere questi servizi. Infine è giusto “preparare l’inclusione” dei bambini con disabilità in classi normali, deve essere ben preparato. Anche se questo ha portato in Europa ancora in piccola percentuale (2%) l’utilizzo delle classi speciali. Le ricerche di Vianello sull’atteggiamento della popolazione, degli insegnanti e dei coetanei nei confronti della collocazione di allievi con disabilità intellettive in classe speciale e normale dimostrano che per migliorarlo bisogna vivere insieme in modo coinvolgente ai soggetti con disabilità.

Capitolo 2 - Fondamenti teorici.

Vygotskij e la zona di sviluppo potenziale. Ha introdotto il concetto di “zona di sviluppo prossimale”: secondo l’autore l’apprendimento del bambino si svolge con l’aiuto degli altri, di conseguenza la zona di sviluppo prossimale è definita come la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale che può essere raggiunto con l’aiuto di altri con competenze maggiori. Nel descrivere lo sviluppo del bambino, Vygotskij sintetizza l’interazione tra pensiero e linguaggio nelle seguenti tappe: 1) il comportamento del bambino è regolato dal linguaggio dell’adulto; 2) il bambino dice a se stesso cosa fare a voce alta; 3) il bambino parla a se stesso “nella mente” per regolare il proprio comportamento; 4) con il linguaggio il bambino struttura il suo modo di pensare. Per Vygotskij esistono però dei concetti fondamentali che si riferiscono allo sviluppo spontaneo: a) Concetto di tempi ottimali dell’apprendimento, che esplica il fatto che il bambino debba essere arrivato a un certo grado di maturità nello sviluppo affinché l’apprendimento di una materia diventi possibile; b) Concetto di periodi sensibili dello sviluppo, che esplica il fatto che per ciascun apprendimento sussistono delle scadenze ottimali, nel senso che eccedenze sia in un senso che nell’altro risultano sempre nocive. Bisogna determinare due livelli di sviluppo del bambino per trovare la relazione tra sviluppo e capacità potenziale di apprendimento: 1) lo sviluppo effettivo, che è il momento in cui si stabilisce l’età mentale del bambino con l’utilizzo di test; 2) l’area di sviluppo potenziale, cioè ciò che il bambino può fare oggi con l’aiuto dell’adulto e che domani farà da solo. Quindi i potenziali di sviluppo si realizzano solo se l’individuo ha raggiunto certi apprendimenti e se ci sono adeguati stimoli ambientali (si pone l’enfasi sulle potenzialità dell’individuo); invece i potenziali di apprendimento costituiscono ciò che l’individuo può imparare non solo spontaneamente ma anche grazie a educazione, istruzione e interventi attivi (si pone l’enfasi su ciò che l’individuo può imparare). Si dà per scontato che individui con disabilità intellettive abbiano un potenziale di sviluppo minore, ma un intervento, migliore qualitativamente e quantitativamente, può produrre non solo specifici apprendimenti ma anche un aumento dei potenziali di sviluppo. Un intervento abilitativo ed educativo che consideri la zona di sviluppo prossimale richiede di: - Comprendere la fase di sviluppo in cui si trova il bambino; - Conoscere la fase che di norma segue quella in cui si trova il bambino; - Individuare i potenziali di apprendimento. Quando si è in presenza di disabilità intellettive bisogna tenere presente che: - Per cause ambientali e potenzialità maturazionali le varie fasi possono realizzarsi a età diverse; - Gli effetti maturazionali e ambientali interagiscono tra loro; - Per individuare i potenziali di sviluppo e di apprendimento è opportuno interpretare prestazioni, abilità e competenze in termini di età equivalenti; - Lo sviluppo delle varie funzioni (linguaggio, memoria, capacità visuo-spaziali) tende ad avvenire in modo meno coerente, con punti di forza e di debolezza; - A parità di età equivalente, i potenziali di apprendimento tendono a essere minori.

che solo certi segni si possono leggere. In seguito differenzia le lettere dai numeri. Solo in scuola primaria e secondaria impara la differenziazione tra lettere e segni di punteggiatura. Interessante valutare che i bambini non si pongono il problema se si legge a destra o a sinistra.

Cosa c’è scritto?

All’inizio per il bambino non si scrive tutto quello che si può dire. Inizialmente scrivono i nomi, in seguito scoprirà e aggiungerà il predicato verbale, nominale, le preposizioni, gli articoli. Riguardo all’ordine con cui sono scritte le cose, i bambini si basano sull’ordine spaziale che non sempre corrisponde al linguaggio parlato.

Sillabazione e ulteriori divisioni.

Solo a partire dai 4-5 anni i bambini tendono a pensare che la parola singola sia scritta con più caratteri e solo con il passare del tempo, verso i 5-6 anni si avviano verso la suddivisione alfabetica e la comprensione che le parole sono divise da uno spazio bianco.

Primi tentativi di scrittura.

Già dai 2-3 anni i bambini incominciano a scrivere alcune lettere. Il primo soggetto si scrittura è il proprio nome. Dai 2- 3 ai 5-6 anni ci sono 5 livelli: - Primo livello: distinzione corsivo/stampatello. - Secondo livello: cerca di fare grafismi che somigliano a lettere. - Terzo livello: tende a scrivere una lettera per ogni sillaba. - Quarto livello: cerca di far corrispondere più di una lettera per ogni sillaba. - Quinto livello: impara a scrivere al livello che l’adulto considera il minimo perché si possa dire che il bambino sa scrivere. Come applicare queste ricerche sui potenziali di sviluppo e di apprendimento nei casi di disabilità intellettive? Importante tenere conto della “ricchezza già presente nel bambino (sia in casi di sviluppo tipico che non). Per trovarla bisogna tenere conto: - credere che questa ricchezza ci sia; - ricercarla se non la si è ancora trovata; - dare a ognuno i suoi tempi per farla emergere; - coordinare tale ricchezza con la programmazione.

Il testing dinamico come test del potenziale di apprendimento: la sintesi di Robert J. Sternberg e

Elena L. Grigorenko.

Sternberg e Grigorenko riprendono il concetto di zona potenziale di sviluppo per valorizzare l’uso dei test dinamici accanto a quelli statici. I test statici sono di gran lunga più usati (le Scale Wechsler ne sono un esempio): vengono somministrati agli individui per valutare il livello già raggiunto dal soggetto. I test dinamici si propongono invece di valutare il livello di conoscenze e competenze che il soggetto raggiunge se viene aiutato, in pratica si prefiggono di valutare anche i potenziali di apprendimento. Anche se l’utilizzo di test dinamici comportano delle problematiche è opportuno valutare lo studio dei test dinamici per valutare più obiettivamente i potenziali di apprendimento degli individui. I due autori fondano la loro proposta di potenziamento dell’uso dei test dinamici su una base teorica, le quali assunzioni cruciali sono: 1. Le abilità degli individui sono meno stabili di quanto si pensa e sono dovute a un processo continuo di acquisizione e consolidamento di abilità, in sintesi le abilità sono forme di expertise in sviluppo; 2. I test di abilità misurano aspetti molto ristretti di expertise in sviluppo e quindi sono limitate le generalizzazioni e le previsioni sulle prestazioni future; 3. Tutti i test misurano il profitto in tipi diversi di expertise in sviluppo; 4. Il costrutto fondamentale comune ai test è quello di expertise in sviluppo; 5. Nell’intelligenza possono essere distinti tre aspetti, quali analitico, creativo e pratico; 6. Tutte le abilità creative e analitiche risentono delle influenze ambientali. Il modello di expertise considera le interazioni fra sei diversi elementi: 1. Abilità metacognitive (l’identificazione, la definizione e la descrizione del problema, la formulazione della strategia, l’assegnazione delle risorse, il monitoraggio e la valutazione del problem solving); 2. Abilità di apprendimento (esplicite e implicite);

  1. Abilità di pensiero (le abilità di pensiero critico che includono l’analisi, la critica, il giudizio, la valutazione, il confronto e la contrapposizione e l’accertamento – le abilità di pensiero creativo che includono la creazione, la scoperta, l’invenzione, l’immaginazione, la supposizione e il fare ipotesi – le abilità di pensiero pratico che includono l’applicazione, l’uso, l’utilizzazione e la pratica);
  2. Conoscenza (la conoscenza dichiarativa, quella dei fatti, dei concetti, dei principi, delle leggi – la conoscenza procedurale, quella delle procedure e delle strategie);
  3. Motivazione (al risultato e alla competenza)
  4. Contesto (non è fisso e uniforme e bisogna tenere conto dell’influenza della lingua madre, dell’enfasi del test su una prestazione veloce, dell’importanza attribuita dal soggetto al successo e della familiarità con il materiale).

In sintesi per il potenziamento cognitivo è necessario che: 1. Ogni intervento di potenziamento cognitivo si concretizzi nella gestione di processi complessi che considerano le interazioni tra abilità metacognitive, di pensiero, di apprendimento, conoscenze, motivazione e contesto; 2. La motivazione abbia un ruolo centrale perché guida gli elementi; 3. Il potenziamento delle abilità intellettive richiede interventi equilibrati sui vari aspetti dell’intelligenza (creativa, analitica e pratica) poiché gli studenti che hanno appreso in modo triarchico hanno prestazioni migliori rispetto agli altri; 4. Si applichino interventi specifici perché i progressi in singoli ambiti hanno scarsa generalizzabilità; 5. Ogni apprendimento sia consolidato e mantenuto nel tempo.

Capitolo 3 - Potenziali di sviluppo e di apprendimento degli allievi con disabilità

intellettive: risultati della ricerca.

Lo sviluppo dell’intelligenza nelle persone con sindrome di Down nelle scuole speciali e in quelle

normali.

Individui con sindrome di Down inseriti in classi inclusive presentano un livello di intelligenza maggiore rispetto ai coetanei istituzionalizzati, inoltre studenti con sindrome di Down possono raggiungere prestazioni scolastiche e sociali superiori rispetto a quelle normalmente prevedibili dai test d’intelligenza: questi risultati sono dovuti ai processi di integrazione/inclusione o alle mutate condizioni di vita? Lo sviluppo dell’intelligenza nelle persone con sindrome di Down nelle scuole speciali e in quelle normali. L’età mentale media dei ragazzi con sindrome di Down è tra i 5 anni e mezzo e i 6 anni. Questo comporta le basi cognitive per l’apprendimento della lettura e della scrittura, l’apprendimento della basi aritmetiche elementari, un buon livello di aritmetica pratica, un buon livello di linguaggio espressivo e un maggior livello di giudizio morale: cruciale per questi risultati è l’inserimento dei ragazzi con sindrome di Down in classi inclusive/normali piuttosto che in scuole speciali.

Profili cognitivi in bambini e ragazzi con sindrome di Down, di X fragile, di Prader – Willi e di

Cornelia de Lange: deficit e surplus.

Lo studio dei profili cognitivi di soggetti con disabilità intellettive evidenziano che sono costituiti da punti di forza e di debolezza. I particolare prendiamo in considerazione la sindrome di Down, la sindrome dell’X fragile, la sindrome di Prader – Willi e la sindrome di Cornelia de Lange. Nella sindrome di Down, rispetto al livello intellettivo, le prestazioni linguistiche (escluse quelle pragmatiche) e quelle di memoria a breve termine verbale e di memoria di lavoro ad alto controllo risultano dei punti di debolezza; punti di forza invece risultano l’aspetto pragmatico del linguaggio e le abilità adattive. Nella sindrome di X fragile i deficit sono individuabili nella memoria di lavoro e in quella sequenziale e i punti di forza nell’elaborazione simultanea e nell’adattamento da adulti. Nella sindrome di Prader – Willi i punti di debolezza si riscontrano nella discriminazione uditivo-verbale, nell’attenzione uditiva, nell’integrazione degli stimoli verbali, nell’elaborazione sequenziale e nella memoria a breve termine; punti di forza sono invece la discriminazione visuo-motoria, l’attenzione visiva, l’integrazione degli stimoli spaziali, l’elaborazione simultanea e la memoria a lungo termine. Nella sindrome di Cornelia de Lange sono punti di debolezza le abilità attentive e linguistiche e punti di forza la memoria visuo-spaziale, l’organizzazione percettiva e la motricità fine. Le differenze in queste sindromi (inter-sindromiche e intra-sindromiche) sono dovute a differenze genetiche.

Inoltre confrontando la valutazione del livello intellettivo di 4 partecipanti con altri test è emerso che ci sono delle differenze nel livello intellettivo stimato. È quindi importante l’utilizzo di test che risentono meno delle influenze ambientali, che permettono di valorizzare al massimo le competenze dei soggetti.

Deficit e surplus rispetto all’età mentale nella sindrome di Prader – Willi.

Da una ricerca condotta da Vianello e altri con individui con sindrome di Prader – Willi sono emersi surplus nei comportamenti adattivi, in particolare nella comunicazione e nelle attività quotidiane e sia un surplus sia un deficit nella prestazioni scolastiche. È notevole anche la variabilità intrasindromica, con individui con intelligenza nella norma, con funzionamento intellettivo limite e con ritardo mentale moderato o grave.

Commento alle ricerche su deficit e surplus.

L’interpretazione di questi dati deve tenere conto un fatto importante: queste indagini non prevedevano alcun training e non selezionavano i partecipanti. Quindi indicano una sono indicativi di una realtà diffusa e non di gruppi con disabilità intellettive particolarmente seguiti. L’esistenza del surplus rispetto all’età mentale tende ad essere certamente presente nelle ricerche volte a valutare gli effetti di training specifici o di interventi mirati. Ci si chiede se questo avviene anche in altri paesi, i dati dimostrano che per quanto riguarda il surplus, esso caratterizza la realtà italiana molto di più di altri paesi probabilmente perché la quasi totalità degli allievi con disabilità intellettive sono inseriti in classi normali e non in classi speciali.

Apertura di un dibattito a livello internazionale.

Dalle ricerche si è aperto un dibattito fra gli studiosi. L’effetto surplus è maggiormente presente nelle classe inclusive rispetto che nelle classi speciali. Negli Stati Uniti solo il 16% degli studenti con disabilità intellettive riceve l’80% o più della propria educazione in classi normale. In Europa più del 2% della popolazione con disabilità intellettive frequenta ancora le scuole speciali In Italia meno dell’1% degli studenti con disabilità intellettive riceve un’istruzione nelle scuole speciali, infatti si è registrato un aumento del surplus.

L’effetto surplus è maggiormente presente nelle classi inclusive.

Complessivamente non c’è discordanza tra gli autori nel ritenere che l’effetto surplus nelle prestazioni scolastiche e adattive rispetto all’età equivalente d’intelligenza sia maggiormente presente nelle classi inclusive rispetto che nelle scuole speciali. Il dibattito ha comunque portato a un confronto tra scuole normali e speciali sul piano dei risultati riguardo allo sviluppo generale e in particolare sociale, alle prestazioni scolastiche, a quelle adattive, all’accettazione sociale e alle prestazioni scolastiche dei compagni di classe.

Le prestazioni scolastiche sono migliori nelle scuole inclusive.

Le ricerche hanno dimostrato che le prestazioni scolastiche sono migliori nella classi inclusive, evidenziando: - Le scuole speciali possono avere effetti negativi sullo sviluppo sociale e sui successi scolastici o produrre un deficit; - Le prestazioni scolastiche degli allievi con disabilità intellettive inseriti in classi normali sono uguali in caso di disabilità intellettiva grave o superiori in caso di disabilità intellettiva lieve rispetto a quelle dei proprio coetanei inseriti in classi speciali; - In contesti normali gli individui con disabilità intellettive esprimono meglio le proprie capacità, in particolare sono avvantaggiati gli allievi con disabilità intellettive lievi; - L’inserimento in classi inclusive permette di accedere a gradi di istruzione superiori.

Lo sviluppo sociale raggiunge livelli superiori nelle scuole inclusive.

Le ricerche indicano che lo sviluppo sociale raggiunge livelli superiori nella classi normali. In particolare è merso che gli allievi inseriti in classi normali: - Hanno più interazioni con i compagni di classe; - Hanno più amicizie; - Hanno un miglior concetto di sé; - Manifestano livelli più elevati di benessere quando interagiscono con i compagni normodotati; - Hanno meno comportamenti disadattivi.

L’accettazione sociale è maggiore nelle classi inclusive.

Le ricerche dimostrano che l’accettazione sociale è maggiore nelle classi inclusive: infatti l’accettazione sociale è positivamente correlata al tempo trascorso con i coetanei normodotati, anche se è più bassa quando ci si riferisce al rendimento scolastico ma più alta nelle situazioni di aiuto. Ci sono opportuni training per insegnanti e allievi per favorire l’accettazione sociale.

I compagni di classe degli allievi con disabilità intellettive non imparano meno.

I compagni di classe di allievi con disabilità intellettiva non imparano meno. Da una ricerca emerge infatti che l’apprendimento di studenti normodotati in classi normali o speciali non differiva e ciò fa pensare che la presenza di allievi con disabilità intellettiva non influisca negativamente sull’apprendimento di studenti normodotati. Da un’altra ricerca emerge addirittura che studenti normodotati con compagni di classe con disabilità intellettiva hanno prestazioni scolastiche migliori rispetto ai normodotati che non hanno in classe studenti con disabilità intellettive.

Quali classi inclusive?

Anche se le ricerche evidenziano i vantaggi dell’inserimento in classi normali rispetto all’inserimenti in classi speciali, non sempre questi vantaggi si verificano. Per questo è importante valutare quali siano le condizioni delle scuole che ottengono risultati maggiori. È importante un adeguata programmazione e modifica dell’istruzione generale per adattarla anche ai bisogni dello studente.

Le scuole inclusive, per raggiungere risultati migliori hanno però delle caratteristiche specifiche: - Atteggiamento accogliente nei confronti di tutti gli allievi; - Assistenti all’insegnamento come gli insegnanti di sostegno; - insegnamento flessibile; - didattiche flessibili; - Ritenere che l’istruzione degli allievi con disabilità intellettiva sia una normale responsabilità dell’insegnante; - Permettere agli allievi con disabilità intellettiva di partecipare a esperienze di apprendimento complesse. Le ricerche dimostrano che è importante non trattarli come eterni bambini, permettendo loro di essere partecipi a esperienze di apprendimento complesso.

Discussione e problemi aperti.

Sicuramente sono suggestive le seguenti 2 ipotesi: - La collocazione in classi normali favoriscono maggiormente, rispetto alle scuole speciali, lo sviluppo cognitivo e sociale, le prestazioni scolastiche e adattive - Le classi normali permettono prestazioni scolastiche e adattive superiori a quelle prevedibili dall’età equivalente dell’intelligenza rispetto a quanto avvenga nella scuole speciali. C’è anche da dire però che l’effetto surplus fa parte del profilo tipico di alcune sindromi, quindi per poter accreditare il risultato all’inserimento degli individui con disabilità intellettive in classi normali è necessario che il surplus sia maggiore nelle classi inclusive rispetto a quanto avviene nelle scuole speciali. Inoltre il fatto che lo sviluppo cognitivo e sociale e le prestazioni scolastiche siano maggiori nelle classi inclusive italiane rispetto alle scuole speciali al di fuori dell’Italia evidenzia che è importante valutare quali siano le variabili implicate. Secondo le ricerche italiane potrebbe non essere dovuto all’inserimento in classi normali piuttosto che speciali, ma a un particolare atteggiamento degli insegnanti italiani rispetto a quelli di altri Paesi. Dalle ricerche di altri studiosi bisogna dare importanza alle seguenti condizioni: - L’atteggiamento più o meno accogliente nei confronti di tutti gli allievi; - Flessibilità nell’insegnamento; - Didattiche di buon livello per tutti; - Capacità di programmazione dettagliata e personalizzata; - Supporto agli insegnanti.

Le speranze dell’autore sono che siano effettuate più ricerche su questi aspetti. La sua ipotesi è di fronte ad un atteggiamento complessamente positivo da parte degli insegnanti dovrebbero emergere delle lacune nella programmazione dell’attività didattica e nel supporto dato ai docenti. Questo significa che i nostri allievi con disabilità intellettive hanno ancora ampi margini di miglioramento e se si troverà come potenziare ulteriormente il loro sviluppo e le loro prestazioni, potremo proporre una scuola migliore per tutti gli allievi indipendentemente dalle loro diversità.

Un allievo protagonista del proprio apprendimento.

Gli approcci teorici presentati dimostrano che sono concordi sulla valorizzazione di un insegnamento rispettoso dell’allievo e in particolare della sua iniziativa, della sua attività, del suo punto di vista, delle conoscenze già acquisite, del suo modo di ragionare, dei suoi interessi, delle sue motivazioni dei suoi valori. Quindi il primo protagonista del rapporto insegnamento-apprendimento non è l’insegnante ma l’allievo. Un insegnamento risulta efficace, anche per i bambini con disabilità intellettive, se si colloca nella loro zona di sviluppo potenziale. La storia dell’educazione speciale però dimostra che questo rispetto non è sempre presente neanche con soggetti con sviluppo tipo e quindi ancora di meno per i soggetti con sviluppo atipico, dove è ancora più importante. Controproducente è un approccio passivizzante, che tra i vari effetti negativi ha anche quello di creare iperdipendenza e riduzione della motivazione all’apprendimento. Cruciale è l’offerta di proposte di apprendimento e di sviluppo adeguate alle loro età equivalenti e non all’età cronologica.

Importanza della motivazione e dei valori.

Non sempre nel rapporto con bambini e ragazzi con disabilità intellettive si tiene conto del fatto che ogni comportamento ha una necessaria componente motivazionale e che senza di essa l’individuo non mette, o non abbastanza, a disposizione le sue energie. Sternberg e Grigorenko evidenziano che la motivazione è guidata dai valori. Tenerne conto non significa solo cercare di creare un ambiente sereno, accattivante o promettere dei gettoni come premio, ma significa considerare come l’individuo si proietta nel futuro, la sua filosofia di vita, ciò che per lui è importante.

Insegnamento differenziato e conduzione della classe in cui è inserito un alunno in situazione di

disabilità.

Tutti gli insegnanti sanno che l’allievo con disabilità intellettive necessita di un insegnamento individualizzato, quindi spesso l’insegnante di sostegno lo porta fuori dalla classe per avere le condizioni ideali per insegnargli qualcosa al suo livello. Questa soluzione però comporta molti pericoli, tra i quali: 1) Gli altri insegnanti rischiano di essere deresponsabilizzati, nel senso che si rafforza la convinzione che insegnare all’allievo con disabilità non sia compito di tutti i docenti ma solo dell’insegnante di sostegno; 2) Gli altri insegnanti non imparano dal confronto con ciò che fa l’insegnante di sostegno perché non lo vedono in azione e di conseguenza si trovano in difficoltà quando l’insegnante di sostegno non è presente; 3) Il bambino fuori dalla classe non usufruisce degli stimoli che provengono dai compagni e di norma diminuisce la sua motivazione all’apprendimento. Sembra quindi opportuno tenerlo in classe, facendolo in due modi: A. L’insegnante di sostegno segue l’allievo con disabilità proponendogli un insegnamento del tutto individualizzato. B. L’insegnante di sostegno segue l’allievo con disabilità proponendogli attività semplificate coerenti con ciò che in quel momento sta facendo la classe. La seconda è la modalità preferibile, è quindi opportuno ricordare che nella situazione in cui si hanno bambini e ragazzi di età tra loro diverse risulta conveniente proporre a tutti lo stesso argomento ma aiutando ciascuno a svolgere compiti adeguati alle proprie capacità.

Ruolo dell’insegnante di sostegno.

Un buon insegnante di sostegno dovrebbe avere adeguate conoscenze sulle caratteristiche dell’allievo (sulle eventuali disabilità sensoriali o motorie o intellettive o di personalità) e competenze didattiche specialistiche, ma ciò non basta: cruciale è infatti la capacità di collaborazione con gli altri insegnanti in modo da favorire un adeguato insegnamento anche quando l’allievo con disabilità non può usufruire della sua presenza. Ideale è la situazione in cui favorisce interventi coerenti da parte di tutti i docenti. La sua funzione di favorire la collaborazione dovrebbe estendersi anche oltre il rapporto con gli altri insegnanti, infatti dovrebbero essere presi in considerazione almeno tre livelli: - Costante dovrebbe essere un coordinamento dell’intervento educativo con i genitori e i familiari quando sono coinvolti altri componenti della famiglia ed evitare un atteggiamento da docente anche nei loro confronti. ideale è un atteggiamento di ascolto che favorisca in loro la trasmissione di informazioni. - Con gli operatori sociosanitari è spesso necessario saper prendere l’iniziativa, contattandoli per chiedere un appuntamento, per sollecitare un aggiornamento della diagnosi, per chiedere chiarificazioni. - Con gli insegnanti di un ordine di scuola inferiore e superiore per favorire il più possibile il passaggio del soggetto da un ordine di scuola a quello successivo. Fondamentale è la trasmissione per iscritto di tutte le informazioni a disposizione (diagnosi e profilo dinamico funzionale, piano educativo individualizzato).

La cooperazione con i compagni di classe favorisce il realizzarsi dei potenziali di sviluppo.

L’apporto di un compagno tende a collocarsi nella zona di sviluppo potenziale più facilmente di quello di un adulto: nella situazione con un allievo con disabilità intellettive, l’offerta di stimoli che si collocano nella zona di sviluppo potenziale risulta agevolata dall’insegnante differenziato. Spesso è opportuno organizzare la classe in gruppi: - La numerosità del gruppo dipende dal lavoro che gli allievi devono svolgere, ma tendenzialmente gruppi di 2- 3 bambini per un lavoro esecutivo e gruppi di 4-5 bambini in caso di confronto di opinioni; - I bambini risentono della confusione ed è compito dell’insegnante invitare a non esagerare; - La formazione dei gruppi dovrebbe essere solo in parte spontanea perché sta all’insegnante: o evitare che si formino gruppi di più bravi e di meno bravi. o evitare che rimanga escluso qualcuno. o evitare che più ragazzini agitati siano nello stesso gruppo. o trovare i compagni più adatti per l’alunno con disabilità. o trovare tra essi almeno uno che svolga il ruolo di tutor. - Cruciale è la traccia che dovrebbe guidare il lavoro dovrebbe essere impostata in generale dall’insegnante e presentata e costruita insieme agli allievi; - In alcuni casi può essere opportuno che non tutti i gruppi abbiano la stessa traccia, ma che vi siano più compito, fra loro complementari. - È importante che i risultati del lavoro siano materiali (ad esempio scritti) e quindi è necessario trovare chi li trascrive; - Fondamentale è garantire confronti e discussioni dove ciascuno possa esprimersi; - L’attività dei gruppi deve essere controllata per favorire il coinvolgimento di tutti e un’equa distribuzione del lavoro. - Nel passare da un gruppo a un altro all’insegnante verrà chiesto un coinvolgimento nel lavoro.

Strutturazione dell’ambiente ... in aula con i compagni.

È importante che l’ambiente sia: - Ben strutturato; - Non rumoroso; - Privo di distrazioni; - Caratterizzato da una routine costante che permetta la prevedibilità di ciò che verrà fatto. Molta importanza ha l’arrivo a scuola: cruciali sono l’accoglienza e l’iniziare la giornata scolastica in modo prevedibile e cioè facendo le solite cose nel solito modo perché l’accoglienza ha una forte valenza sociale e la routine soddisfa nel bambino o nel ragazzo con disabilità la motivazione di competenza poiché si sente bravo a fare queste cose. Una buona accoglienza non è intrusiva ma lascia all’allievo il tempo di ambientarsi. È possibile far stare inoltre il ragazzo su un tavolino vicino all’insegnante, che può essere la migliore fonte di tranquillità e fiducia. Ancora migliore è la situazione in cui in parte al bambino con disabilità c'è un compagno, o più, che è sono dimostrato capace di trasmettergli tranquillità. Per tutti i bambini con disabilità intellettive è molto importante sentirsi in un ambiente familiare e prevedibile. Se un bambino ha difficoltà a gestire i cambiamenti è essenziale fare un intervento in questa fase della vita perché successivamente sarà ancora più difficile. È possibile rendere più facile i cambiamenti: - Informando la classe in anticipo su eventuali cambiamenti; - Prendendosi del tempo per discutere le eventuali implicazioni con il bambino e informando i genitori affinché essi diano le stesse informazioni e ci sia un approccio coerente al problema; - Usando un calendario per mostrare eventi futuri; - Avendo un promemoria delle attività giornaliere sul muro o sulla lavagna; - Presentando i cambiamenti imprevisti come una bella sorpresa. Uno strumento utile può essere una scheda degli orari, scritta o meglio ancora figurata, che ricordi il ritmo fisso della giornata scolastica. Per aiutare i bambini a non smettere di svolgere una certa attività troppo presto c’è chi utilizza un orologio di cartone con le lancette posizionate al punto in cui è previsto il cambio di attività oppure una clessidra. Infine, con gli allievi particolarmente instabili, è opportuno coinvolgerli attivamente e lasciare loro una certa libertà di movimento.

Complessità di ogni intervento volto a realizzare i potenziali di sviluppo.

  • Il potenziamento delle abilità sociali e comunicative;
  • La valorizzazione dell’autodeterminazione;
  • La promozione di una corretta ed emotivamente positiva concettualizzazione su di sé che permette una buona qualità della vita extrascolastica durante la frequenza scolastica, sociale e lavorativa. Nei casi più gravi con grossi deficit intellettivi gli obiettivi restano gli stessi, ma in generale bisogna tenere conto che questi obiettivi devono essere modificati per modelli evolutivi inferiori, perché nel caso di disabilità gravi le competenze dell’allievo saranno relative fasi di età inferiori.

Disabilità intellettive e autismo.

Vi sono allievi che hanno una doppia diagnosi: di disabilità intellettive e autismo. L’autismo si caratterizza per la presenza di disabilità almeno a tre livelli: - Interazione sociale; - Comunicazione; - Presenza di interessi, comportamenti e attività ristretti o stereotipati. Molto spesso il disturbo autistico è associato a disabilità intellettive non lievi. Si è cercato di valutare quali siano le aree del funzionamento cognitivo più danneggiate: - Teoria della Mente; - Funzioni esecutive; - Coerenza centrale. La teoria della mente riguarda le credenze e i desideri che gli individui attribuiscono alle menti altrui. Consiste nel credere che gli altri possono avere credenze false, prevedere il oro comportamenti. Le funzioni esecutive sono molto studiate in ambito psicologico e neurologico. Le funzioni esecutive permettono operazioni complesse finalizzate a uno scopo che può essere raggiunto utilizzando in modo nuovo dei mezzi. In particolare permettono di: - Individuare l’obiettivo che si vuole raggiungere; - Pianificare le operazioni mentali e le eventuali azioni comportamentali da compiere; - Monitorare l’esecuzione e se il risultato corrisponde a ciò che si era previsto; - Modificare uno o più punti elencati sopra per un nuovo comportamento nel caso il risultato non sia quello previsto. Gli studiosi considerano queste operazioni atti di intelligenza. Nello studio delle funzioni esecutive è importante il monitoraggio e i processi inibitori, cioè le operazioni mentali che permettono di escludere e controllare azioni non appropriate (affettive o mentali). Le funzioni esecutive sono particolarmente carenti nel disturbo autistico. La coerenza centrale è stata studiata molto da Uta Frith, che ritiene che il nucleo delle difficoltà autistiche è costituito «dall’incapacità di mettere insieme le informazioni in modo da generare idee coerenti e significative. C’è una falla nella predisposizione della mente a dare un senso al mondo». L’aspetto cruciale sarebbe costituito da una disfunzione che comporta carenze nella ricerca di coerenza fra le informazioni L’ipotesi della presenza di queste 3 disfunzioni non si escludono a vicenda e non escludono la presenza di ulteriori carenze. Altre ricerche hanno ricercato i punti di forza e di debolezza con i test di intelligenza. I risultati dimostrano che il linguaggio verbale è un punto di debolezza, l’organizzazione è un punto di forza mentre ha una posizione intermedia la concentrazione. Inoltre risulta che i soggetti con autismo ottengono migliori prestazioni in prove che richiedono memoria simultanee rispetto a quelle che richiedono la memoria sequenziale. A livello educativo, scolastico e riabilitativo è molto importante tenere conto dei punti di forza e di debolezza. Ci sono molti approcci abilitativi e educativi. Il più famoso è il metodo TEACCH (Treatment and Education of Autistic an related Communication Handicapped Children), utilizzato da più di 40 anni, nato in California del Nord e diretto da Eric Schopler. Riflessioni sugli interventi: 1. Ogni intervento richiede il coordinamento di tre diversi tipi di conoscenze: lo sviluppo normale, quello che degli individuo con disabilità intellettive e quello che caratterizza l’autismo. 2. È utile un ambiente strutturato e familiare, che sia fonte di tranquillità che permette una buona comunicazione 3. Rispetto a molte situazioni di disabilità intellettive è necessaria una competenza specifica nelle modalità di comunicazione aumentativa e alternativa, al fine di ovviare alle carenze linguistiche con comunicazioni che si realizzino con la mediazione di figure, simboli o azioni. 4. Importante è la strutturazione delle attività tipiche con comportamenti, figure o simboli che forniscano i tempi dell’inizio e della fine del lavoro, riducendo l’imprevedibilità e scandendo il dosaggio di energie.

  1. Sono necessarie competenze e sensibilità particolari per dare significato a molti comportamenti che sembrano assurdi e non collegati con il contesto.
  2. Bisogna considerare l’ipotesi che l’allievo autistico rischi di essere molto disturbato da quello che è per lui un “bombardamento sensoriale” mentre per altri richiede un semplice coordinamento di percezioni legate a sensi diversi.
  3. Bisogna considerare che il linguaggio verbale è molto impegnativo per soggetti con autismo. Quindi si deve essere attenti non parlare troppo e/o troppo velocemente.
  4. Nelle proposte didattiche si privilegia la memorizzazione simultanea rispetto a quella sequenziale.
  5. Il comportamento del soggetto autistico non deve ingannare e farci sottovalutare la presenza di sentimenti ed emozioni per molti aspetti paragonabili ai nostri.

Disabilità intellettive gravi.

Molte sono le sindromi genetiche che causano disabilità intellettive gravi o gravissime. Ci si riferisce in particolare a un QI inferiore a 25-40 oppure un età mentale inferiore ai 4 anni. Tra le sindromi genetiche più conosciute ritroviamo: - La sindrome di Angleman; - La sindrome di Patau; - La sindrome di Rett; - 5p- (delezione del cromosoma 5); - Fenilchetonuria; - Sindrome di Edwards. Altre sindromi comportano disabilità intellettive gravi sopra il 10% sono: - La sindrome di Down; - La sindrome di X fragile; - La sindrome tuberosa; - La sindrome di Prader – Willi. Non ci sono dati a disposizione su quanti siano gli allievi con disabilità intellettive gravi o gravissime. Un’ipotesi può essere di una percentuale superiore al 20%, cioè un allievo ogni 500. Per ogni insegnante è un compito difficile avere in classe un bambino con queste difficoltà. Comporta delle difficoltà, sconforto e dubbi sull’inserimento in classi normali. Quindi è opportuno che l’insegnante sia competente e si tenga aggiornato in particolare sullo sviluppo tipico dei primi 4 anni di vita, cercando di vedere la diagnosi dell’allievo, coinvolgendo colleghi, cercando di tenere l’allievo insieme agli altri e programmando un insegnamento differenziato.

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Riassunto Potenziali di sviluppo e di apprendimento nelle disabilità intellettive. Indicazioni per gli interventi educativi e didattici - psicologia dello sviluppo e dell'educazione - a.a. 2015/2016

Corso: Psicologia dello Sviluppo e dell'Educazione (SF01107143)

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Potenziali di sviluppo e di apprendimento nelle disabilità intellettive (Renzo Vianello)
Capitolo 1 - Cosa mi hanno insegnato 40 anni d’integrazione: commento critico.
Percorso storico dell’integrazione. Lapplicazione della legge 517 del 1977, che stabilì:
a) Labolizione delle classi differenziali e di aggiornamento;
b) Forme di integrazione e sostegno a favore di alunni portatori di handicap sia nella scuola elementare sia
media inferiore;
c) Che le classi che accolgono portatori di handicap fossero costituite da un massimo di 20 alunni (oggi questa
legge è superata);
d) Che per gli alunni in situazioni di handicap fossero previsti anche insegnanti specializzati per il sostegno.
Le esperienze di Vianello in quegli anni dimostrano che le conoscenze sulle varie sindromi erano estremamente
limitate e raramente avevano il conforto di indagini genetiche che ci indicassero la presenza di disturbi specifici.
Vianello ha sempre prestato particolare attenzione alla sindrome di Down, riscontrando che i minori con sindrome di
Down italiani conseguivano nei test di intelligenza punteggi superiori rispetto ai minori con sindrome di down
istituzionalizzati. I risultati a quei tempi erano discordanti, non dimostravano se inserire allievi con sindrome di Down in
classi normali fosse positivo o negativo. Ora sappiamo che la risposta è positiva.
In un articolo del 1978 si può constatare che l’età mentale media in soggetti con sindrome di Down a quei tempi non
arrivava mai a 48 mesi (circa 4 anni). Inoltre fino agli 10-11 anni l’età mentale è sotto ai 3 anni.
Le medie emerse da ricerche con allievi italiani ha dimostrato che le medie mentali si collocano fra i 5 e i 6 anni (a
partire dai 10-12 anni di età cronologica). Quindi c’è un amento proporzionale attorno al 50%. Questi dati si riferiscono
alla popolazione generale degli allievi italiani con sindrome di Down e non solo a quella di gruppi ben seguiti a livello
educativo e abilitativo.
Questi dati ci dicono che:
4 minori con sindrome di Down su 6 forniscono ai test di intelligenza prestazioni paragonabili a quelle di
bambini di età compresa fra i 4 e i 7 anni;
1 su 6 evidenzia una età mentale inferiore;
1 su 6 ha prestazioni superiori ai 7 anni.
Quindi 5 su 6 hanno una intelligenza superiore a quella media valutata nel 1978 in allievi inseriti in scuole speciali.
Secondo le opinioni di Vianello la grande maggioranza delle persone con Sindrome di Down avrebbe prestazioni
superiori ai 7 anni. Attualmente la età mentale è raggiunta da una minoranza di loro, questo dimostra che c’è un ampio
margine di progresso raggiungibile attraverso adeguati interventi educativi, scolastici, abilitativi e sociali. Vianello
ritiene che in futuro si potrà raggiungere questo progresso, visti quelli avvenuti dal 1978 ad oggi.
Però non tutta la totalità dei soggetti italiani con sindrome di Down sono compresi in questo progresso, perché alcuni
presentano quadri sindromici più gravi.
Anche se si è parlato solo di intelligenza, si p dire che è una buona base di partenza ma non basta, ci sono altri
aspetti dello sviluppo da valutare in questi casi e che non sono sempre legati allo sviluppo dell’intelligenza. Vianello ha
constatato che adeguati interventi educativi, scolastici, abilitativi e sociali permettono il raggiungimento di prestazioni
scolastiche e di adattamento sociale anche con basi cognitive inferiori rispetto a quelle di norma utilizzate dai bambini
con sviluppo tipico. Questo è l’effetto surplus.
Le persone con sindrome di Down che hanno prestazioni nei test di intelligenza equivalenti a quelle dei bambini con
sviluppo tipico di età superiore ai 7 anni hanno potenziali di apprendimento scolastico e adattivo che permettono di
raggiungere prestazioni tipiche di ragazzi che frequentano la scuola secondaria di primo grado.
L’inserimento di allievi con sindrome di Down in classi normali produce due effetti:
Gli effetti diretti che comprendono i progressi a livello di apprendimento scolastico e sociale.
Gli effetti indiretti ci sono ad esempio:
oA livello extrascolastico c’è una maggiore accettazione sia nei confronti dell’individuo con disabilità
che dei suoi familiari;
oSi riducono i sentimenti di esclusione e aumenta la motivazione all’apprendimento e alla
socializzazione da parte della persona con disabilità;
oDiminuiscono i sentimenti di esclusione da parte dei familiari e questo permette loro una maggiore
libertà sociale, maggiore accettazione delle difficoltà, un miglior rapporto educativo con il figlio o la figlia con
disabilità, minor senso di colpa, ecc.
Rispetto al passato quindi hanno raggiunto un livello intellettivo superiore e prestazioni scolastiche e adattamenti
sociali superiori al livello intellettivo. Inoltre sono diminuiti i processi di esclusione e i processi inibitori collegati. Sono
aumentato l’autodeterminazione e la motivazione sociale.
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