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Acquisizioni e fusioni Aziendali

Appunti di acquisizioni e fusioni d'azienda, corso di Alfonso Di Carlo
Corso

Acquisizioni e fusioni d’azienda (SECS-P/07)

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Anno accademico: 2020/2021
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ACQUISIZIONI E FUSIONI D’AZIENDA

23-02-

ASSETTI INFORMATIVI: I CONTESTI DI RIFERIMENTO (EUROPEO E INTERNO)

Funzione informativa aziendale : l’azienda deve elaborare informazioni con una duplice finalità: interna (supporto di decisioni) e quantitativa (bisogna capire di QUANTO variano). Questa funzione oggi si svolge anche sull’esterno perché anche gli stakeholder hanno bisogno di ricevere informazioni  lo stato di salute dell’azienda deve essere leggibile all’esterno, sia per l’impatto ambientale, economico, che perché il suo impatto può essere rilevante sul territorio (es. ILVA). Queste circostanze rendono indispensabile che l’azienda mandi un flusso informativo adeguato all’esterno e assicuri che certi comportamenti siano in linea con quelle che possono essere le direttive di carattere economico sia a livello nazionale che a livello europeo. Bisogna riflettere su un’altra circostanza: la fusione non è sempre una strategia aggressiva ma spesso è difensiva, perché senza questi processi di aggregazione le sorti delle aziende sarebbero negative  le aziende si accorpano per garantire un equilibrio duraturo nel tempo, quindi è indispensabile prendere decisioni. Queste decisioni devono avere la caratteristica della TEMPESTIVITA’ : si devono avere delle informazioni adeguate sulla base delle quali deve essere possibile prendere decisioni. La stabilità dell’azienda finisce quindi per essere un bene da tutelare a beneficio di tutti (stakeholder, finanziatori, ecc). Sotto il profilo operativo si è diffuso un atteggiamento capovolto rispetto al passato. In passato la chiusura di un’azienda (per fallimento, insolvenza, non volontaria) era giudicata come un fatto deplorevole e quindi perseguibile per danno arrecato a dipendenti, lavoratori e creditori. Negli ultimi 20-25 anni il fenomeno (iniziato negli anni ’90) il risultato si è capovolto e si assiste al tentativo di salvare le imprese piuttosto che intervenire penalizzandole. Sotto questo profilo ci sono stati una serie di contributi economici soprattutto col fallimento dei “Lehman Brothers” e la letteratura era spaccata in due, tra chi propendeva per il fallimento e chi voleva salvare la società. La motivazione che ha portato alla decisione non è particolarmente condivisibile perché non coerente con la disciplina aziendale, per cui alla fine prevalse la tesi di chi voleva il fallimento per “dare una lezione” cioè non nascondere il fallimento alla società. Questo atteggiamento di nascondere i fallimenti ha scosso anche l’Italia con il caso Parmalat; a livello internazionale il fallimento che ha scosso la società è stato quello della Enron. Dopo questo evento si è creato anche un detto “too big to fail”. Tutto ciò ha infervorato il processo iniziato negli anni ‘90: nel ‘95 ci fu la riforma del diritto fallimentare americano cui seguì quello inglese; 10 anni dopo seguì l’Italia  il tentativo era salvare le imprese che stavano fallendo. Tutto il discorso trova elementi su cui appoggiare perché si è stabilito, ribaltando l’atteggiamento persecutorio, di dare all’imprenditore una seconda chance (potrebbe essere stato travolto dalle circostanze quindi merita una seconda possibilità). Si è quindi codificato il principio per cui la crisi deve emergere quanto prima possibile nel convincimento che il tempestivo intervento possa agevolare il buon esito del processo. Questo è il contesto in cui si muove l’Europa per salvaguardare le imprese del territorio. Si distingue quindi tra stato di crisi e insolvenza e complica la situazione il fatto che questi due termini appartengono a discipline diverse (stato di crisi = situazione di disequilibrio  disciplina aziendale; insolvenza  concetto di carattere giuridico sviluppato a seguito della legge del ’42). Come si è comportata l’Europa? Ha tenuto conto di quello che è uno dei capisaldi del processo di recupero dell’azienda, che vuole che il successo di un intervento di questo tipo si realizza con più probabilità se si interviene cambiando il management. Quindi si è concessa a livello europeo una condizione premiale : se l’azienda avvisa per tempo della possibile crisi, può mantenere il management e la dirigenza (che spesso in casi familiari coincidono creando problemi). Questo discorso ha senso perché ha la finalità ben precisa di far emergere la crisi il prima possibile così da prendere le decisioni più opportune.

Queste misure premiali, in Italia sono concesse comunque “a prescindere”, anche se la situazione di crisi emerge quando è ormai irreversibile. Questo allontana la normativa europea da quella italiana. C’è una difformità tra Francia, Italia, Germania ecc che non giova in generale all’economia. Dobbiamo quindi fare delle considerazioni di carattere generale che riguardano sia l’economia generale , che l’economia aziendale che il diritto. Il fatto che l’Italia intervenga all’ultimo su aziende ormai spacciate crea una serie di problemi e di situazioni che spesso creano più danni che altro.  Impostazione Europea : Nelle procedure di recupero delle aziende in crisi la procedura deve essere uguale in tutti i Paesi dell’UE; le procedure d’insolvenza/liquidazione invece possono essere diverse. Ratio della disposizione è che se l’impresa deve chiudere, il Paese può procedere come meglio crede, ma se un’azienda è recuperabile può avere conseguenze anche sugli altri Paesi quindi la normativa deve essere coerente e condivisa. L’altro elemento fondamentale è quello della stabilità. L’euro è una C con 2 segmenti all’interno. Queste due linee rappresentano la stabilità monetaria nel corso del tempo, perché attraverso la stabilità si vuole raggiungere l’efficienza produttiva che a sua volta porta al benessere economico. L’instabilità monetaria (inflazione) produce una serie di effetti distorsivi sulla misurazione dei fenomeni economici e distorce l’informazione. Es. passaggio dalla lira all’euro: una casa di 5.000 negli anni ’ valeva 50.000 negli anni ’80 e dava l’illusione di un plusvalore, ma in realtà c’è stato un minusvalore perché 5 lire negli anni ’60 valgono quanto 50 lire negli anni ’80 a causa dell’effetto inflattivo. Un’instabilità monetaria porta le imprese a indebitarsi sempre di più, e le conseguenze presentano livelli di rischiosità molto più alti. Questo crea instabilità a livello economico: se le imprese sono instabili ad esempio, il loro fallimento preclude di emettere pensioni in futuro. In un contesto che cambia continuamente quindi c’è uno stimolo alla speculazione e non alla produttività. La produttività è quindi l’essenza della UE ed è alla base della globalizzazione  implica la specializzazione delle produzioni tipiche di ogni paese. I beni possono essere prodotti a prezzi competitivi a vantaggio del consumatore, grazie alla globalizzazione. L’aumento della produttività vuol dire quindi prezzi più bassi per i consumatori (salari reali), conseguimento di utili e crescita dimensionale per le imprese (competizione a livello globale), aumento dell’occupazione. Anche per questo in Italia si spinge molto su settori come moda, macchine, ecc (su cui siamo leader) per avere a prezzi vantaggiosi altri beni che non abbiamo o su cui non siamo specializzati  si produce per la rotazione delle merci. Una produzione europea può essere portata a livello globale ed avere vantaggi per tutti. Le imprese che non rispettano le condizioni di produttività ecc, peggiorano i costi dell’intero paese e di tutte le imprese del paese. Le imprese che vanno male non pagano imposte e tasse perché non hanno i redditi sufficienti, non hanno utili  impatto negativo sull’intera economia. Es. in Italia il 6% dei crediti non produce nulla  non produce interesse  aumentano i tassi di interesse  maggiori costi per la collettività delle imprese italiane  costi per la clientela. L’economia cresce se aumenta la dimensione dell’impresa, non se si incentivano i consumi. Es. grazie ad una fusione posso intercettare un mercato maggiore. Gli incentivi sui consumi hanno semplicemente un impatto momentaneo. Negli anni ’80 venne elaborata la teoria della crescita 0 (non bisogna stressare l’economia per la crescita) e fu coniato il detto “piccolo è bello” come conseguenza delle perdite di grandi imprese (anni ’70). La crescita dell’economia a 0 non è sostenibile perché non si genera maggiore ricchezza da distribuire ai salariati. Esempio di Joan Robinson : si chiede quale può essere l’effetto se parte con dei salariati/minatori che guadagnano 3 sterline a settimana e gli dà un bonus di una settimana di 6 sterline. L’effetto che si produce è che incidendo sul comportamento del minatore  dopo una giornata stressante berrà una pinta in più di birra per rilassarsi, ma il barista non potrà dargli una pinta in più perché ha sempre la stessa quantità di birra  aumenterà i prezzi della birra  inflazione. Quindi un aumento del salario senza maggiore produttività genera inflazione (aumento dei prezzi).

crisi  tempestiva individuazione della crisi; permanere della continuità aziendale; assunzione di obbligazioni proporzionali alle proprie capacità patrimoniali. Tutto ciò ha delle implicazioni per gli organi sociali , nel senso che è loro la RESPONSABILITA’ civile e penale, che scatta solo se questi non hanno avuto comportamenti conformi alle norme.

PRESIDI ORGANIZZATIVI

CdA e revisore verificano gli indicatori di allerta e segnalano indizi della crisi; entro 30 gg dalla segnalazione, L’organo amm riferisce le soluzioni individuate e le iniziative intraprese. Se entro 60 gg non si adottano misure, il revisore segnala l’allerta all’Ocri (organismo di risoluzione della crisi d’impresa) pena la responsabilità solidale  c’è una responsabilità per ognuno. Se ad esempio l’agenzia delle entrate non fa la segnalazione bisogna capire perché il funzionario addetto non l’ha fatta ed individuare la responsabilità. La segnalazione (che è un obbligo di legge) può essere fatta da: imprenditore (organo amm), revisore o creditori qualificati (Agenzia delle Entrate, INPS, Agente per la riscossione) in presenza di scaduti oltre la soglia di rilevanza quantitativa. Una volta che l’Ocri riceve la segnalazione, entro 15 gg può archiviare il fascicolo se l’imprenditore ha risolto i suoi problemi. Nel caso di non archiviazione l’Ocri fissa un termine non superiore a 3 mesi e prorogabile fino a 6 mesi per la ricerca di una soluzione concordata  l’Ocri si comporta come mediatore tra debitore, creditore e clienti per trovare una soluzione ideale. La trattazione continua nel corso del tempo e in questo tempo l’Ocri deve essere costantemente aggiornato sull’andamento della trattazione. Se l’imprenditore non compare/la situazione non si risolve, si deve passare attraverso fasi previste dalla normativa: accordi di ristrutturazione (forma che sarà completamente rivista), concordato preventivo (verrò modificato un po’) o liquidazione giudiziale (modifica il fallimento cambiando l’espressione letterale). Se l’Ocri ravvisa lo stato di insolvenza, deve darne comunicazione al p. , cioè se l’imprenditore richiede l’intervento in ritardo quando ormai è troppo tardi, deve comunicarlo al p., il quale avvia l’azione penale (motivi: debiti/situazioni scomode verso i clienti; la letteratura sottolinea che si assiste ad una mutazione nei comportamenti dell’imprenditore quando la crisi sopraggiunge e quindi l’intervento tempestivo serve ad evitare che si sconfini in reati penali).

I TEMPI Dall’emersione dell’indicatore di allerta il debitore ha 3 mesi di tempo per attivare misure idonee. Entro questo lasso di tempo è difficile trovare accordi con i fornitori per cui scatterà la segnalazione all’Ocri  si hanno 7 mesi per redigere il piano e avviare negoziazioni con i creditori + altri 3 mesi per chiudere l’accordo. Se non si raggiunge l’accordo, il debitore ha 5 mesi per depositare l’accordo di ristrutturazione per la sua omologazione o un piano e una proposta di concordato preventivo.

ASSETTO ORGANIZZATIVO

Al fine di rispettare l’art. 2086 (rilevazione tempestiva della crisi), occorre predisporre un adeguato assetto organizzativo con i seguenti punti: A. Organo deputato alla redazione del piano e al controllo di gestione B. Regole di redazione, principi  situazione attuale e obiettivi; coerenza e fattibilità degli obiettivi; ragionevolezza delle assunzioni di fondo; comprensibilità del piano C. Formazione e approvazione del piano da parte dell’organo amm D. Regole di report (es. ogni 3 mesi si controlla che l’andamento delle vendite sia conforme al piano), informazione agli organi aziendali (cda e revisore).

11-03-

Una delle applicazioni del concetto di capitale, è che finisce per essere un parametro di valutazione per l’azienda, concetto diverso invece dal valore di trasferimento dell’azienda (che dipende da altre variabili soggettive dell’acquirente, all’interno delle quali si crea il prezzo di trasferimento).

Il livello di informazione che un soggetto ha rispetto all’altro: in particolare il livello di informazione che il venditore ha del capitale economico dell’acquirente  cercherà di approssimarsi quanto più possibile al valore massimo in fase di negoziazione/trattativa. Questo ragionamento è applicabile in tutti i casi di trasferimenti: cessioni, fusioni, ecc. cioè sono riconducibili a questi due tipi di capitali economici. Se il capitale dell’acquirente è < capitale del venditore  negoziazione impossibile. Secondo l’acquirente l’azienda vale troppo e secondo il venditore il prezzo è troppo basso (esprime le relazioni tra trasferimento d’azienda e valore economico del capitale VEC  domanda d’esame).

Passiamo alla VALUTAZIONE DELL’AZIENDA (propedeutico allo studio delle operazioni straordinarie ). Le operazioni straordinarie sono accomunate dal fatto che l’azienda cambia la base societaria per mezzo di un passaggio di mano e questo trasferimento implica l’attribuzione di un valore, derivato dal valore economico. Prima di determinare il prezzo della trattativa è indispensabile la formazione/esplicitazione del valore, cioè l’azienda deve avere la sua individuazione del valore economico. In tutte le operazioni straordinarie infatti c’è una fase strutturale e di studio per arrivare ad individuare i valori oggettivi per valutare l’azienda. Da qui parte la trattativa per arrivare ai valori effettivi che saranno posti in essere per effettuare l’operazione. I motivi dell’operazione saranno affrontati di volta in volta. METODI PER LA VALUTAZIONE DELL’AZIENDA : solitamente si propone una possibile classificazione di natura concettuale ed estensiva perché i metodi riscontrati nella pratica sono molto numerosi e difficili da classificare analiticamente (es. in alcuni casi cambiano i tassi o la determinazione di alcuni componenti), così da aderire meglio al caso concreto. Due metodi di classificazione (NON ELENCO MA SOLO CLASSIFICAZIONE), con cui o guardi il lato patrimoniale o guardi più il lato economico: - Patrimoniale (singolare e non plurale): è uno solo  semplice - Basati sui flussi attesi : di tipo reddituale  concetto di base: reddito; misti  concetto di base: sia patrimonio che reddito, ma restano comunque di tipo economico; finanziari  concetto base: flussi di cassa finanziari - Altri , che possono derivare dall’osservazione empirica. Es. tutti quelli che si basano sull’individuazione di un indice di riferimento moltiplicato per un certo numero. Occorre tenerli in considerazione perché sono molti diffusi in pratica, sia nelle aziende più grandi che nelle aziende non grandissime.

METODO PATRIMONIALE

Che relazione c’è tra tutto ciò che abbiamo detto fin qui (VEC, funzione del reddito, ecc) con il metodo patrimoniale semplice? Questo metodo non avrebbe ragione di essere inserito in un discorso di determinazione del valore dell’azienda (?). Concettualmente questo metodo consiste in una valutazione analitica del capitale, attribuendo ad ogni elemento dell’attivo e del passivo un valore, calcolando per differenza il valore patrimoniale  è praticamente la negazione del concetto ispiratore del VEC. Ha senso perché è un metodo definito “non razionale”, cioè non è coerente con le finalità ispiratrici dell’economia, tuttavia, siccome in pratica viene applicato per esigenze di carattere empirico, va considerato e visto nelle sue componenti. Ci sono due componenti del metodo patrimoniale: 1. Semplice 2. 2. Complessa. La differenza tra le 2 è che attribuiscono valori diversi ai beni immateriali non contabilizzati (vi si riferiscono entrambi ma attribuiscono valori diversi). Quello che viene determinato in questo modo viene chiamato comunque capitale economico dell’azienda anche se non è coerente col ragionamento del VEC  è un capitale ricalcolato “capitale netto rettificato”. In via generale questo metodo non è accettabile: non vede l’unitarietà dell’azienda, né la sua dinamicità. In simboli abbiamo W (valore economico del capitale) = K (capitale dell’impresa). Se si volesse trovare un collegamento reddituale, bisogna verificare che il reddito atteso dal capitale K sia congruo rispetto al rendimento del capitale investito, cioè che quel capitale, applicato un certo tasso di rendimento dia corrispondenza ad un certo r.

SI inseriscono in queste valutazioni i valori dell’attivo (considerati al valore di realizzo se destinati allo scambio o al valore di sostituzione se destinati al realizzo indiretto) ed i valori del passivo (considerati ai valori di presunta estinzione). Per le immobilizzazioni tecniche , se costituiscono beni strumentali all’attività d’impresa  valori correnti = valori di sostituzione. Il valore di sostituzione è difficile da applicare in pratica perché si intende il valore dello stato d’uso della tecnologia utilizzata nell’impresa. A volte gli esperti riescono ad individuare il numero di volte che un macchinario può essere utilizzato potenzialmente, ma di fatto la tecnologia può cambiare quindi è difficile comparare un autocarro vecchio di 10 anni con un autocarro di oggi. In questo caso è bene che l’aziendalista non improvvisi e piuttosto se i beni rispondono al requisito della materialità (incidenza sensibile sulla stima del PN), è bene assicurarsi che il committente dia relazioni formulate da esperti (architetto, ingegnere, geometra ecc). Riguardo i beni in leasing , si tratta di vedere il valore del bene e paragonarlo al prezzo di riscatto: cioè devo vedere se ho pagato solo l’uso o se quanto è stato pagato è > di quanto è stato usato  il prezzo di riscatto è > o < a quanto pagato e si determina il valore residuo. Sui valori immateriali : se non sono inseriti in contabilità o non derivano da attività materiali non vanno inseriti nel metodo patrimoniale. Le partecipazioni : se sono di controllo  natura strategica e vanno valutate o in gruppo o analiticamente; se non sono di controllo  non hanno natura strategica e possono essere valutate o al valore di realizzo o al PN contabile. Se su queste partecipazioni c’è la possibilità di recesso, allora si attribuisce un valore in fase di liquidazione. Invece è diverso se le part fanno parte di un gruppo di società: in questo caso vanno valutate all’interno del gruppo. Invece con la valutazione analitica si applica il VEC alla partecipazione. Il problema c’è se hai una part di controllo ma al 70%  in assemblea non posso dire che il valore di quella part sul capitale è il 70% ma è in realtà più alto perché il residuo 30% non corrisponde al 30% effettivo del VEC dell’azienda, a meno che non vi siano degli accordi di carattere particolare. Quindi il discorso è complicato perché non può esserci una corrispondenza tra VEC e % della part. Riguardo il magazzino : sono beni destinati alla vendita il cui valore massimo non può superare il presumibile valore di realizzo. Se ho beni in lavorazione  non ho parametri di mercato da seguire e quindi sono valutati al costo di produzione (quanto costerebbe oggi il bene); se ho materie prime  valutazione al costo di acquisto più recente. Molte volte nel magazzino emerge la riserva lifo. Cos’è la riserva lifo? - Lifo : last in first out. Si assume su base convenzionale che l’ultimo bene entrato in magazzino sia il primo uscito. Si fa sia nelle aziende industriali che nelle imprese mercantili. In questo modo se io faccio 3 acquisti: 50, 60 e 70 per le medesime quantità, se io avessi venduto una sola quantità devo assumere come se mi fossero rimaste quella che ho pagato a 50 e quella che ho pagato a 60. Sotto il profilo del reddito giova perché confronto l’ultimo ricavo con il primo costo. Quindi la rimanenza in questo caso sarà 50 + 60 = 110. Su inventato questo metodo non per valutare il bilancio ma per la contabilità industriale in cui era molto utile perché faceva uscire dal magazzino l’ultimo bene che era arrivato in produzione, avendo valori più attendibili. Quindi se l’azienda ha funzionato per vari anni e ha acquistato tante quantità quante ne ha vendute, si ha una sottostima del magazzino che si ripercuote sul VEC. Un esempio rilevante è quello di un orafo che in magazzino aveva 1000 kg di oro e ne acquistava quanto ne vendeva  nel corso degli anni aveva sempre 1000 kg d’oro in magazzino. Interviene una legge che lo obbliga a fare l’inventario  si trovava ad avere un magazzino con 1 mld di lire. Interviene poi un’altra legge (se nel bilancio la valorizzazione al costo porta a valori distanti dalla realtà va dichiarato nella nota integrativa)  il prezzo dell’oro al grammo era passato da 1000 lire a 17000 lire, quindi doveva dichiarare un magazzino di 17 mld di lire: problema perché aveva sempre 1000 kg d’oro e rischiava di lasciarne almeno la metà in tasse. Quindi negli anni si era trovato ad accumulare una riserva di 16 mld di lire  questa è la riserva lifo. E’ difficile comunque trovare una riserva lifo in beni soggetti a deperimento ma non impossibile. Quello che lo determina è la variazione dei prezzi che interviene. Qual è l’importanza aziendale? Il fatto che non c’è stato cambiamento d’azienda, ma semplicemente un cambiamento a parità di condizioni (il tizio non è diventato più ricco ma si è trovato a pagare una sorta di tassa sull’inflazione, anche se il prezzo è salito comunque lui aveva sempre la stessa quantità di oro). Se la riserva lifo dà origine ad un’imposta, l’imposta va calcolata perché se liquida l’impresa i 17 mld si

realizzano  deve pagare le tasse. Se la moneta è stabile nel corso del tempo queste tasse non vanno pagate quindi conviene al cittadino che viene tassato in misura più equa e non sull’inflazione. I crediti possono essere valutati al valore di presumibile realizzo oppure al valore attuale. Quest’ultima è una mera complicazione perché parliamo spesso di tassi minimi e quindi non fa una grande differenza. I debiti bisogna considerare come sono espressi. Cioè se hanno un tasso non di mercato, vanno espressi con questo tasso secondo le regole di matematica finanziaria. Particolari condizioni come fondi rischi vanno considerati es. se avevi un fondo rischio per una causa ma poi hai vinto la causa. Discorso diverso per i capitali accessori, es. se hai un terreno con una valutazione autonoma  va inserito in bilancio e va valutato. I metodi misti invece considerano sia la componente economica che reddituale, dalla cui combinazione si ricava il VEC.

15-03-

Tassazione  IMPOSTE INDIRETTE : 1. Imposta di registro : l’aliquota è determinata con riferimento al valore complessivo dei singoli beni materiali ed immateriale dell’azienda – le passività esistenti al momento del traferimento. E’ un’imposta proporzionale pari al 3% del valore dell’azienda, ma solo in generale, altrimenti si fa riferimento al TUIF. Ad es. se le parti hanno pattuito un corrispettivo unico l’imposta si calcola

Vediamo la componente dell’affitto di azienda , che si sostanzia in un contratto per mezzo del quale il locatore cede all’affittuario il godimento di un’azienda. Abbiamo quindi un’azienda composta di beni organizzati, cioè elementi attivi e passivi che anche in questo caso andiamo a trasferire. Il locatore trasferisce il diritto di godimento dell’azienda a fronte del pagamento di un canone periodico per un periodo determinato. Differenze tra cessione, affitto e conferimentodenarocessione e affitto = denaro. Al termine dell’affitto il godimento dell’azienda torna in capo al locatore. Il contratto determina diritti e doveri in capo all’affittuario. Il codice civile non detta una disciplina articolata dell’affitto d’azienda, cioè non c’è un’area del c. titolata “affitto d’azienda”, ma si limita a rinviare con l’art. 2562 all’art. 2561 sull’usufrutto. Sono poi applicabili gli artt. 2556-2557-2558 relativi sempre all’usufrutto, oltre agli artt. 1615 e segg. + norme di locazione art. 1571 e segg. + art. 1453 sull’inadempimento. Quindi non c’è una normativa specifica ma c’è una disciplina articolata che fa riferimento a vari articoli:

  • art. 2561 usufrutto : la ditta è l’elemento che contraddistingue l’azienda e identifica i beni relativi all’azienda di riferimento. Non è possibile trasformare la destinazione e devo conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti. Altrimenti si applica l’art. 1015.
  • art. 2562 affitto : le disposizioni dell’art. precedente si applicano anche in caso di affitto d’azienda e vengono richiamati gli artt. 1615 (locazione), 2112 (trasferimento del personale), 2556, 2557 e 2558 (tutti e 3 cessione d’azienda). Anche per l’affitto d’azienda dobbiamo vedere i profili fiscali delle imposte dirette. In sintesi, l’elemento che deve essere posto a tassazione è il canone di affitto che per il locatario è un reddito e per l’affittuario è un costo. A seconda della tipologia di soggetti coinvolti e della qualificazione del reddito abbiamo una diversa classificazione : -se il soggetto concedente è una società o imprenditore individuale con più aziende  reddito d’impresa  rilevazione per competenza -imprenditore individuale che affitta azienda unica  reddito diverso  rilevazione per cassa -affittuario  reddito di impresa  rilevazione per competenza. Riguardo le imposte indirette invece abbiamo sempre la suddivisione: -concedente società o imprenditore individuale con più aziende  IVA ordinaria sul canone maturato periodicamente + imposta di registro -imprenditore individuale che affitta unica azienda  IVA fuori campo + imposta di registro (a seconda delle componenti mobiliari e immobiliari dell’azienda. Se nel contratto non sono stabilite, si applica il 3% a tutto, altrimenti si applica il 3% alle componenti mobiliari e il 3% sulle altre)

empirica che k + beni immateriali abbia un suo senso. Se non ha senso e ad es. k + beni imm. > R  non ha significato e sto attribuendo un eccesso di valore al capitale che sto valutando. Ad es. se diciamo che un capitale deve rendere del 6% e ho k + beni imm. =10  dovrò avere R = 6000, altrimenti devo rifare i calcoli o rifare la stima dei componenti. Visto che la stima sui componenti di capitale di solito è oggettiva, è probabile che io abbia ecceduto con la valutazione dei beni immateriali.

Se invece vado sul reddituale ho un discorso sintetico per cui tutti gli elementi materiali e immateriali

sono riflessi all’interno del reddito. Vado quindi per differenze, vedo qual è il reddito e assumo che tutto ciò che l’impresa fa si scatena all’interno del reddito. In un primo approccio il reddituale prevede n infinito e reddito medio normale  W (VEC) è l’attualizzazione di tutti i redditi futuriW = R/i, cioè il VEC è direttamente proporzionale ad R ed è inversamente proporzionale al tasso di attualizzazione. Maggiori sono i tassi di remunerazione sul mercato e minore è il VEC. Stima analitica di R : non riesco a stabilire un reddito medio per periodo perché l’attualizzazione è sempre diversa. I redditi hanno un campo di oscillazione elevata. Reddito medio normale : riesco ad avere un reddito per periodo, cioè nella media ho fatto un ragionamento per cui ho eliminato, nella mia sequenza di redditi, le punte minime e le punte massime, cioè l’ho normalizzata in modo da eliminare le condizioni di peggior sfavore o particolare vantaggio  prendo in considerazione le condizioni normali di produzione. Perché VEC è inversamente proporzionale ai tassi di mercato? Il tasso di interesse è il tempo che impiega il capitale per essere ricostruito, ad es. se ho un tasso del 20% mi servono 5 anni per ricostruire il capitale, se ho un tasso del 10% mi servono 10 anni  in sostanza vale di più qualcosa che impiega meno anni per essere ricostruito. Se la n è finita abbiamo R moltiplicato per il fattore di attualizzazione  per come è articolata la formula, il VEC è sempre funzione diretta del reddito e funzione inversa del tasso. Vediamo come si calcola il VEC : es. con una n = 4-5 anni, bisogna determinare il valore dei 4-5 anni di reddito e determinare il valore finale. Si procede a determinare alla fine del 5 anno quale sarà il possibile reddito che si verificherà e si procede con la capitalizzazione infinita. La I viene solitamente scelta sulla base del Capital Asset Price Model che individua il rendimento dell’investimento che deve essere assicurato e che serve come elemento di congiunzione tra reddito e capitale. Abbiamo varie componenti :

  • tasso privo di rischio : non esiste l’assenza di rischio quindi intendiamo il rischio più basso possibile (es. buoni del Tesoro)
  • tasso di premio per il rischio : se ho un capitale e lo investo in un settore privo di rischio vivo di rendita. Cioè il tasso mi premia per il rischio economico che corro per effettuare l’investimento. Questa i si presenta come somma di più rischi, sia rischi da investimenti azionari che investimenti privi di rischio. Devo considerare anche i rischi associabili al singolo investimento: faccio l’investimento in un settore particolare che quindi ha le sue specificità di rischio (es. il settore tecnologico è più aleatorio  più rischioso  più remunerativo). Quindi, esprimendo su base formula quanto appena detto, viene la seguente: il premio di mercato viene corretto da un fattore che esprime l’andamento di mercato rispetto l’andamento del settore. Possiamo avere b>1  se le cose vanno bene, vanno bene rispetto all’intero andamento di mercato. B dipende dalla differenza tra tasso privo di rischio e tasso di premio per il rischio, da cui si personalizza i sul settore di appartenenza  B rappresenta una sintesi del settore specifico di riferimento all’interno dell’intero mercato azionario.

Tornando ai metodi misti, abbiamo una sorta di mediazione tra capitale e reddito perché voglio porre

in risalto la circostanza per cui l’azienda che sto valutando non è data solo dal reddito ma anche da un’importante presenza del capitale che finisce per avere una sua autonoma valorizzazione. Il metodo misto è più una tipologia che un singolo metodo e infatti ha varie tipologie : del valore medio, patrimoniale/reddituale e EVA.

MISTI DEL VALORE MEDIO : è il più semplice ed è dato dalla formulazione: ½ del capitale e ½ del

reddito. Quindi calcolo la metà di k e calcolo la metà del reddito, li sommo e ottengo il VEC. Oppure posso far pesare l’uno in più rispetto all’altro, ad es. prendo k e ci aggiungo la differenza tra il VEC e il capitale

semplice, posto che questo possa essere anche negativo e dia luogo ad una soluzione che riduce il VEC perché le aspettative di reddito non superano le aspettative del capitale.

17-03-

- Applicazione pratica del Metodo Patrimoniale Semplice  aspetti pratici della valutazione

d’azienda con questo metodo che sta alla base dei metodi di valutazione. Parliamo di Metodi Indiretti basati su grandezze stock: -patrimoniale semplice -patrimoniale complesso. Parliamo nella sostanza di VEC rettificando gli elementi attivi e passivi, partendo sempre dalla differenza attivo – passivo. Uno degli elementi fondamentali è la continuità aziendale (prospettiva di continuamento aziendale). Nella sostanza l’impresa viene rivalutata esprimendo tutte le poste attive e passive del bilancio da valori contabili a valori correnti. Alcune caratteristiche di questa valutazione: -analitica -valori correnti -sostituzione. Questi sono gli elementi alla base della valutazione. Questo metodo è adatto alle aziende con forte patrimonializzazione, cioè con ingenti attività immobilizzate  immobilizzazioni: impianti, macchinari, terreni, uffici, ecc. Uno dei vantaggi è che è meno soggettiva, perché richiede un minor numero di ipotesi fatte dal soggetto che valuta l’azienda e nella sostanza richiede meno competenze, quindi è uno dei metodi meno complessi perché non richiede la valorizzazione della redditività o dei flussi di cassa e quindi riduce il grado di incertezza del risultato della valutazione  -meno elementi soggettivi, meno analisi prospettiche. Se vogliamo individuare vantaggi: -bassa incidenza di ipotesi soggettive -basso grado di incertezza -buona attendibilità complessiva -notevole diffusione (usata molto di frequente) -facilità di applicazione (non richiede straordinarie competenze) -garanzia di cautela e di prudenza (non si basa su dati prospettici) ... e svantaggi: -scindibilità degli elementi patrimoniali -assenza di dati di valutazione reddituale -prescindono dall’efficienza produttiva dell’azienda. Il metodo patrimoniale quindi si può utilizzare e viene utilizzato come metodo di valutazione dei metodi basati sulle grandezze di flusso  in prima battuto utilizzo, nella valutazione dell’azienda, dei metodi più adeguati alle finalità dell’attività di valutazione e poi utilizzo il metodo patrimoniale come una grandezza di controllo di metodi più complessi, oppure utilizzo il metodo patrimoniale semplice quando non posso utilizzare/sono inutilizzabili gli altri metodi. Quindi è un metodo che posso usare nella prassi in cui ho ad es. delle imprese operanti in un gruppo, imprese con modesti flussi reddituali o che operano costantemente in perdita, ecc. Se i metodi sono inapplicabili quindi uso il metodo patrimoniale semplice che ci dà una maggiore garanzia di coerenza. Nella sostanza schematicamente abbiamo che il nostro VEC è pari al PN rettificato k’ (cioè il capitale netto contabile rettificato adeguando le componenti del patrimonio a valori correnti)  c’è la possibilità di scindere gli elementi che compongono il patrimonio aziendale che è dato da A-P. Come procedere : -sottrarre le P alle A (entrambe integrate e rettificate) -identifico il PN contabile -nuova valorizzazione degli elementi patrimoniali secondo i criteri (prezzi di mercato, ecc.)

-valutazione PN e rettifiche -stima del valore patrimoniale corrente -valutazione del risultato della frazione d’esercizio -valore dell’azienda. In sostanza partiamo dalla SP e arriviamo al valore patrimoniale corrente, cui + o – le rettifiche e otteniamo il valore dell’azienda. La fase della rettifica, cioè le analisi del valutatore sulle A e P, è una fase fondamentale per passare dai valori contabili ai valori correnti di stima. Se facciamo riferimento ad uno schema di SP, possiamo metterlo su un foglio excel con una colonna di valori contabili, una colonna di rettifiche e una colonna di valori correnti. Abbiamo valori contabili al 31 con alcuni valori  attivo = 5180 e PN = 1080

Se consideriamo le voci di immobilizzazioni immateriali , sono quei costi capitalizzati di carattere non

ricorrente  il valutatore deve valutarne la ricorrenza per l’incidenza sul PN Passaggi: -verifica valori -verifica corretta contabilizzazione -valutazione (metodi analitici o empirici)  riteniamo che tale valore non abbia espressione futura e quindi lo rettifichiamo a 100 (lo sottraiamo). Nella stragrande maggioranza le imm. Imm hanno dificile cap futura.

Le imm materiali rappresentano una delle componenti di bilancio più rilevanti. Per procedere alla

valutazione bisogna avere: -inventario fisico delle imm per riscontrare la contabilità con quello che effettivamente esiste (se in contabilità ho indicato capannoni, macchinari e imm civili per 1000, 500 e 2000, in contabilità avrò dei conti con saldi corrispondenti  inventario fisico significa che devo andare a verificare fisicamente se esiste il capannone, il macchinario, ecc) -non è sufficiente l’esistenza fisica delle imm ma è necessario che siano di proprietà della società (non posso valutare un bene che non è di proprietà dell’azienda, quindi dovrò fare delle misure perché le imm devono essere iscritte al catasto e quindi dovrò fare le relative verifiche per capannoni, terreni, mentre per macchinari, automezzi devo controllare il contratto di acquisto e il pra) -devo accertare la libera disponibilità e l’assenza di vincoli ad es. ipoteche (se accerto che il capannone è di proprietà ma c’è un’ipoteca, nel momento in cui vado a cederlo devo tenere conto di questi vincoli) -eventuali beni presso terzi, cioè se ho macchinari ecc. disponibili verso terzi, devo anche il controllo della funzionalità (gli automezzi devono essere in funzionamento) -verifica della corretta esposizione contabile (correlazione tra ciò che risulta in contabilità e ciò che effettivamente è) -corretta determinazione amm e fondi sval -verifiche competenze di periodo (riferite a amm e fondi sval)  questo è il processo per valutare un bene materiale: -patrimonio tangibile -valutazione (valore corrente; costo di ricostruzione o costo di sostituzione cui sottraggo deperimento e obsolescenza tecnica, economica o funzionale) Ipotizziamo che per il capannone sia necessaria una rettifica +500 e per i macchinari una -400. Per arrivare a questi +500 e -400 il valutatore deve seguire i passaggi.

Tra le imm materiali ci sono anche le imm civili , che non fanno parte dell’imm dell’azienda ma

sono patrimonio accessorio dell’impresa. Vengono valutate da esperti specializzati e quindi il valutatore dovrà reperire alcuni dati. In molte aziende, hanno investito le aziende generate negli anni in acquisto di beni immobili come terreni edificabili che ristrutturavano e rivendevano, quindi non usati per l’attività operativa ma come semplice investimento. Questo elemento dell’attivo va considerato quindi vanno indicate ubicazione, ecc, affiancate dalla relazione di un esperto come geometra o architetto  Quindi: -patrimonio accessorio -valutazione (fabbricati al criterio del costo

-es. rettifica +2000 = nuovo valore 4000 Se l’azienda ha acquistato un terreno 20 anni fa e con i piani regolatori è diventato edificabile, il geometra valuta ad es. a 1, faccio 100 con rettifica -99.

Valutazione partecipazioni :

-titolarità -corretta esposizione -determinazione costo e valore attuale -%capitale sociale -settori attività -quotazione -ecc. Sono tutti elementi da tenere in considerazione per il valutatore che posso reperire da contabilità, bilanci e mercato. Se facciamo riferimento alle part abbiamo questo schema: -valutazione -capitale della partecipata (valore  per quelle di controllo valutazione sintetica o autonoma; PN contabile per le non di controllo)

Riguardo titoli e attività finanziarie dobbiamo considerare: tipologia, titoli di proprietà, disponibilità,

ecc Quindi abbiamo: -titoli quotati -titoli non quotati. Ipotizziamo una terrifica di attività non finanziarie rettificate per -40.

Vediamo le rimanenze : rappresentano dei beni materiali che sono nella disponibilità dell’azienda,

acquistati o prodotti dall’impresa per essere trasformati in altri beni o per essere rivenduti. Il valutatore, prima della stima, dovrà vedere l’esistenza fisica: inventario, utilizzo attuale e futuro, giacenza presso terzi, titoli di proprietà e possesso, ecc + altre informazioni: rotazione del magazzino, grado di obsolescenza, ecc + valutazioni contabili: corretta esposizione e valutazione in bilancio, uniformità criteri di valutazione nel tempo, ecc. Schematicamente: -patrimonio in rotazione -valutazione a valore corrente (scorte speculative: separatamente; commesse pluriennali: costi di produzione e corrispettivi maturati; prodotti finiti e merci: prezzo corrente di mercato – oneri commerciali; semilavorati: costo ultimo di produzione; ecc). Ipotizziamo che i valori contabili al 31 siano rettificati per 10 materie prime, 10 prodotti in corso e 5 prodotti finiti

Crediti : diritto di esigere una certa somma a una certa data da soggetti clienti o debitori. Viene applicata

un % forfetaria di abbattimento perché c’è un rischio implicito sull’espressione di quel credito al valore corrente. Dobbiamo avere: garanzie e impegni, concessione di dilazioni, fidelizzazione clientela, solvibilità, ecc. Schema: -patrimonio semi-liquido -valutazione al valore di presunto realizzo (cred. In valuta estera, acconti, ecc) Ipotizziamo: rettifica -100 complessiva perché sono più clienti quindi più conti in contabilità e ogni cliente ha un credito (debito per noi), quindi posso rettificare complessivamente un valore per 100.

Disponibilità liquide : elemento patrimoniale direttamente utilizzabile, cioè in sostanza il denaro che

abbiamo in cassa o in banca. Dobbiamo verificare: accertamento disponibilità, calcolo valori, analisi documentale, corretta contabilizzazione, esposizione in bilancio, ecc. Schema: -cassa  denaro liquido, valori bollati, assegni  riscontro contabile  richieste di conferma -banche  valore contabilità = saldo contabile  + o – operazioni non ancora registrate

  • ri  vedi slides.

Se R/i – K mi dà l’avviamento (o parte)  K, a seconda della configurazione che assume, individua o meno alcune componenti di carattere immateriale e modifica l’espressione finale del valore economico che vado ad attribuire a quel complesso. Se considerassi K’ come capitale del metodo patrimoniale semplice, aggiungerei semplicemente la metà dell’avviamento e avrei una media specifica tra capitale semplice e capitale complesso. Se K è semplice  K’ è semplice. Es. K semplice =100 e K complesso = 120  uso la formula differenziale e stabilisco quanto far pesare nella formula il differenziale di 20. Es. semplice: K=100  100 – ½ (125)  ho un VEC di 125 Es. complesso: K=120  120 + ½ (150-120)  120 + ½ (30) = 135  VEC = 135 Se R/i – K < 0  VEC < capitale semplice  il capitale non ha aspettative di carattere reddituale. Ho un capitale calcolato sulla base dei redditi futuri inferiore rispetto al capitale che ho quando lo calcolo secondo il metodo patrimoniale. Amplifica la riduzione che vado a fare. Gli elementi che ho aggiunto di carattere immateriale non hanno aspettative future. Il capitale che esprimo all’interno del VEC è maggiore rispetto alle aspettative reddituali, quindi in questo caso usare il metodo del valore medio significa rettificare il valore del capitale tenendo conto dei redditi futuri che incidono sul capitale. Quindi dovrei trovarmi davanti ad un’impresa che ha capitale oggettivo e che non riesce ad esprimere questa oggettività, quindi vado a rettificare il capitale sulla base di queste perdite. E’ quindi inutile aggiungere le componenti di carattere immateriale sulle quali non ho prospettiva di redditività. Caratteristiche del capitale: oggettivamente rilevante, con aspettative di reddito non adeguate  rettifico il capitale sulla base delle aspettative future di reddito, inferiori rispetto a quanto dovrebbe rendere quel capitale. Quindi è inutile inserire il K con componenti immateriali perché vado ad aggiungere qualcosa che non ha riscontro reddituale. Se R/i – K > 0  VEC > capitale semplice  R/i – K dice che devo prendere il K semplice e quindi inserisco una certa quantità di avviamento, caso esempio 120 e 100. 120  è immateriale non solo l’avviamento ma anche alcune componenti immateriali. La caratteristica per cui posso calcolare alcuni elementi immateriali è che stiamo parlando di elementi separabili dall’impresa e che abbiano un’autonoma trasferibilità. Se gli elementi che sto trasferendo nell’azienda hanno queste caratteristiche  posso considerare un K complesso. Se invece non ci sono queste caratteristiche  devo usare K semplice. Questa è la dimostrazione che il valutatore non sceglie il metodo ma adatta il metodo sulla base di elementi oggettivi. Quindi K’ è semplice o complesso? Dipende dalla composizione dei beni dell’impresa. Se non sono valutabili separatamente è inutile inserirli, se invece sono separabili posso orientarmi anche verso il capitale complesso. Se scelgo il valore medio sto cercando di ammorbidire la grandezza del capitale mediandola sulla base del VEC che non considera aspetti immateriali. Quindi è una circostanza in cui non riesco a dare pieno significato al capitale perché magari ci sono elementi di capitale che non tornano. Es. ciò che è successo alla new economy quando aziende che avevano grandi possibilità di crescita ma basso capitale e applicando il valore del capitale venivano dei valori esasperati, ed è quello che è stato fatto nei primi 2000 avendo delle iper-valutazioni. Quando poi ci siamo accorti che il mondo non accoglie velocemente questi cambiamenti i valori sono stati frenati. Quindi quando ci sono grandi possibilità di investimento che non corrispondono al capitale si usa il valore medio che rapporta un valore piccolo del capitale con grandi possibilità di reddito  cioè aziende che hanno grandi aspettative di reddito, ma a fronte di piccoli capitali investiti. Queste grandi aspettative ci sono solo in alcuni settori, per gli altri settori le aspettative di reddito sono generalmente proporzionate al capitale. Quindi fare la media significa riflettere sul significato dei valori e quale valore viene fuori. Nel primo caso la media è brutale, mentre nel secondo caso si cerca di mediare la partecipazione al reddito. Nelle situazioni concrete bisogna riflettere su quale può essere la più adeguata da seguire.  R – iK = sovrareddito. Capacità dell’impresa di produrre reddito in misura più che normale. Se i viene moltiplicata per K ottengo un rendimento di equilibrio, se R è maggiore, mi esprime un reddito maggiore rispetto a ciò che dovrei aspettarmi dall’investimento. Se la differenza è negativa ho un investimento che mi remunera meno di quello che mi dovrebbe dare. L’equazione è di equilibrio quando la differenza è zero, cioè il capitale che sto investendo mi remunera adeguatamente l’investimento. Il metodo fondamentale a cui fare riferimento è la formula del fattore di attualizzazione che permette di riportare una grandezza futura ad oggi. E’ molto

importante R - iK (sovrareddito cioè rendimento più che normale dell’impresa) + K. Se non aggiungo K, ottengo una grandezza autonomamente definibile cioè la formula del metodo reddituale puro. Quindi inserisco il capitale e relativo rendimento, vado ad attualizzare non tutto il reddito ma solo quella parte di reddito che eccede il VEC. Infatti nella formula ci sono due diverse i. Nel fattore di attualizzazione ho i’ cioè la i che mi deve portare indietro ad oggi il reddito per trasformarlo in capitale; i semplice è accanto a K. La i’ rappresenta la i calcolata secondo il CAPM cioè la i del rischio, la i accanto a K cosa rappresenta? Ipotesi: sono la stessa cosa secondo alcuni; se invece si differenziano è meglio e la formula è più aderente alla realtà. La i’ è sempre la i calcolata nel CAPM (rischio); la i semplice vicino a K? K è il capitale dell’impresa  i mi dice quanto è stato investito nell’impresa. Quindi quel capitale investito è paragonabile ad una somma di denaro (investimento), e posso dire che se ho una somma di denaro da investire, mi aspetto da quella somma una certa altra somma di denaro. Quindi i è la somma del rendimento atteso dell’azienda e potrebbe variare secondo le aspettative. Se è un capitale inteso in senso liquido il riferimento è invece ai valori di mercato. Un’altra formulazione invece dice che il capitale non è liquido ma è investito in beni che hanno una loro collocazione quindi il capitale si esprime in termini monetari di un certo tipo ma poi ha un suo significato  i diventa la i del rendimento del singolo settore quindi la redditività media espressa dal settore. Quindi a seconda di come è espresso il mercato di riferimento, la i è settoriale e prende l’investimento di aziende similari (es. redditività di supermercati della stessa dimensione collocati nella stessa zona del territorio). A seconda di quale scelgo ottengo un iK che varia e che posso attribuire al sovrareddito, che se è attuale è il valore dell’avviamento. R – iK è il sovrareddito e il sovrareddito/i è l’avviamento. Se R < iK  ho un sottoreddito ed ho luogo ad un avviamento negativo e la formula di attualizzazione mi rettifica a negativo il valore del K. Un altro elemento da tenere presente nella formula è il tempo di riferimento di K: ad inizio anno K non include il reddito dell’esercizio, K a fine anno lo include. Spesso si usa il K medio cioè K fine anno – K inizio anno tutto diviso due. Questo perché il reddito comunque non si produce alla fine dell’anno ma nel corso dell’anno e considero che nel corso dell’anno si produce la metà del K quindi con K/2 tengo conto del reddito che si sta producendo nella relativa organizzazione. Non tutti i mesi sono considerati anzi c’è il fenomeno della stagionalità e in alcuni mesi pago di più (13esima a dicembre e 14esima a luglio) e devo tenerne conto in alcuni casi, ma normalmente i costi hanno andamento correlabile al tempo, mentre è più difficile che i ricavi abbiano andamento correlabile al tempo. Es. se confrontiamo i consumi alimentari nel 1° semestre e li confrontiamo col 2° semestre sono diversi. Quale è maggiore? 2° semestre  la produzione avviene più verso fine anno che all’inizio. Quindi inserisco un K che tiene conto di questi elementi. Nel caso del supermercato sono quindi poco incline ad inserire un K medio e preferirò inserire un K che tenga conto della maggiore produzione verso fine anno: posso fare una media ponderata oppure mi oriento per K ad inizio anno se il reddito si produce negli ultimi 2 mesi. i è quindi il tasso di rendimento del settore e su K valgono le considerazioni (K semplice o complesso in base agli elementi immateriali), i deve essere rapportato alle considerazioni su K e tutto mi influenza R – iK. i’ è un compenso finanziario in ipotesi di assenza di rischio. Se i > i’  impatto positivo; i = i’ e i < i’ (vedi slides). n = tempo  la stima di sovrareddito ha un arco temporale comunque ridotto, quindi normalmente questa formulazione tende a valutare l’azienda nel suo complesso cui aggiunge l’avviamento, cioè la quantità di reddito che si produrrà in tempi futuri per avere una sua velocità, una sua attualizzazione.

22-03-

-RISORSE INTANGIBILI

-METODO PATRIMONIALE COMPLESSO

Esempi di beni immateriali non contabilizzati sono la qualità del capitale umano, la rete di vendita, l’immagine aziendale, ecc. Sono beni che non hanno un valore materiale ma che vanno espressi con una

quantificazione, che si può fare con il metodo patrimoniale complesso.

Esempi :

  • criterio del valore empirico rapportato al costo degli affitti : è uno dei parametri ai quali il valutatore può fare riferimento per svolgere un’ipotesi di valutazione della licenza per quanto riguarda un’attività commerciale o industriale che viene svolta in quel determinato immobile  valore licenza = canone affitto x coefficiente settore. Il coefficiente di settore è rilevabile dal mercato, es. 900 x 3 = 2.700. Se facciamo la media semplice tra i 3 siamo a 2.900 che è il valore della licenza. Si usa la media semplice perché i 3 criteri hanno vantaggi e svantaggi a seconda della tipologia di attività industriale o commerciale in cui l’azienda opera, quindi potrebbero esserci delle discordanze in base alla tipologia se uso sempre lo stesso criterio.

METODO PATRIMONIALE COMPLESSO 

Ho una rettifica in aumento rispetto alla situazione precedente  l’utile avrà un incremento delle componenti attive per 2  ho un PN incrementato di 2. Quindi ho la stessa metodologia del patrimoniale semplice ma considerando anche gli elementi intangibili. Questo esempio è relativo alle licenze, ma possiamo estendere l’esempio a tutte le componenti (capitale umano, rete di vendita, immagine dell’azienda, quote di mercato). A questo punto dobbiamo sempre tenere presente l’effetto degli oneri tributari e di conseguenza ho il PN rettificato finale che esprime il valore dell’azienda. Per l’onere tributario devo considerare sempre la rettifiche sia positive che negative  avrò un PN rettificato a cui sottraggo l’onere tributario ed ottengo il valore dell’azienda. Questo ci dà il livello del valore dell’azienda col metodo patrimoniale complesso e cioè aggiunge al valore semplice dell’azienda il valore degli elementi intangibili dell’azienda.

Un’altra rappresentazione è la valutazione col metodo reddituale. L’ipotesi fondamentale è di valutare

l’azienda per cederla a terzi (operazione di cessione). Dobbiamo quindi vedere la storia della società (ad es. industriale con clienti aziende pubbliche e Comuni, crediti quasi totalmente incassabili e a medio-termine). Vediamo il metodo sintetico reddituale, dobbiamo individuare il tempo di riferimento (durata indefinita) e poi: -tasso di attualizzazione: es. tasso dei BOT dell’anno n-1 (tasso di inflazione: es. dell’anno n-1; tassazione 12,5%;  tasso netto deflazionato 2%; spread per la minor liquidità dell’investimento in azienda rispetto ai titoli di Stato  incremento pari al 2%; determinazione dello spread per il rischio economico dovuto all’investimento in azienda - settore di attività -  stabile  spread per il rischio economico generico 5%). In conclusione il tasso di attualizzazione è 9% (2+2+5+0). -reddito normalizzato, riferito ad almeno 2 periodi amministrativi precedenti n-2. Quindi per il metodo patrimoniale complesso è fondamentale considerare gli elementi intangibili che non avevamo considerato con il metodo patrimoniale semplice e che mi vanno a determinare un VEC più alto. Per quanto riguarda il metodo reddituale normalizzato dobbiamo tenere conto di 3 elementi: tempo (anni di riferimento della valutazione); tasso di attualizzazione (4 componenti di cui sopra); normalizzazione del reddito (riferita a 2 anni anteriori rispetto all’anno di valutazione rispetto al quale stiamo operando).

23-03-

METODI MISTI : mediano tra le grandezze di reddito e capitale, cercano di arrivare ad un risultato che sia

significativo sia sotto un aspetto che sotto l’altro. Ciò che deriva dal metodo misto non potrà mai essere >

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Acquisizioni e fusioni Aziendali

Corso: Acquisizioni e fusioni d’azienda (SECS-P/07)

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ACQUISIZIONI E FUSIONI D’AZIENDA
23-02-2021
ASSETTI INFORMATIVI: I CONTESTI DI RIFERIMENTO (EUROPEO E INTERNO)
Funzione informativa aziendale: l’azienda deve elaborare informazioni con una duplice finalità: interna
(supporto di decisioni) e quantitativa (bisogna capire di QUANTO variano). Questa funzione oggi si svolge
anche sull’esterno perché anche gli stakeholder hanno bisogno di ricevere informazioni lo stato di salute
dell’azienda deve essere leggibile all’esterno, sia per l’impatto ambientale, economico, che perché il suo
impatto può essere rilevante sul territorio (es. ILVA).
Queste circostanze rendono indispensabile che l’azienda mandi un flusso informativo adeguato all’esterno e
assicuri che certi comportamenti siano in linea con quelle che possono essere le direttive di carattere
economico sia a livello nazionale che a livello europeo.
Bisogna riflettere su un’altra circostanza: la fusione non è sempre una strategia aggressiva ma spesso è
difensiva, perché senza questi processi di aggregazione le sorti delle aziende sarebbero negative le
aziende si accorpano per garantire un equilibrio duraturo nel tempo, quindi è indispensabile prendere
decisioni.
Queste decisioni devono avere la caratteristica della TEMPESTIVITA: si devono avere delle informazioni
adeguate sulla base delle quali deve essere possibile prendere decisioni.
La stabilità dell’azienda finisce quindi per essere un bene da tutelare a beneficio di tutti (stakeholder,
finanziatori, ecc). Sotto il profilo operativo si è diffuso un atteggiamento capovolto rispetto al passato. In
passato la chiusura di un’azienda (per fallimento, insolvenza, non volontaria) era giudicata come un fatto
deplorevole e quindi perseguibile per danno arrecato a dipendenti, lavoratori e creditori.
Negli ultimi 20-25 anni il fenomeno (iniziato negli anni ’90) il risultato si è capovolto e si assiste al tentativo
di salvare le imprese piuttosto che intervenire penalizzandole.
Sotto questo profilo ci sono stati una serie di contributi economici soprattutto col fallimento dei “Lehman
Brothers” e la letteratura era spaccata in due, tra chi propendeva per il fallimento e chi voleva salvare la
società.
La motivazione che ha portato alla decisione non è particolarmente condivisibile perché non coerente con
la disciplina aziendale, per cui alla fine prevalse la tesi di chi voleva il fallimento per “dare una lezione” cioè
non nascondere il fallimento alla società.
Questo atteggiamento di nascondere i fallimenti ha scosso anche l’Italia con il caso Parmalat; a livello
internazionale il fallimento che ha scosso la società è stato quello della Enron.
Dopo questo evento si è creato anche un detto “too big to fail”.
Tutto ciò ha infervorato il processo iniziato negli anni ‘90: nel ‘95 ci fu la riforma del diritto fallimentare
americano cui seguì quello inglese; 10 anni dopo seguì l’Italia il tentativo era salvare le imprese che
stavano fallendo.
Tutto il discorso trova elementi su cui appoggiare perché si è stabilito, ribaltando l’atteggiamento
persecutorio, di dare all’imprenditore una seconda chance (potrebbe essere stato travolto dalle circostanze
quindi merita una seconda possibilità). Si è quindi codificato il principio per cui la crisi deve emergere
quanto prima possibile nel convincimento che il tempestivo intervento possa agevolare il buon esito del
processo.
Questo è il contesto in cui si muove l’Europa per salvaguardare le imprese del territorio.
Si distingue quindi tra stato di crisi e insolvenza e complica la situazione il fatto che questi due termini
appartengono a discipline diverse (stato di crisi = situazione di disequilibrio disciplina aziendale;
insolvenza concetto di carattere giuridico sviluppato a seguito della legge del ’42).
Come si è comportata l’Europa? Ha tenuto conto di quello che è uno dei capisaldi del processo di recupero
dell’azienda, che vuole che il successo di un intervento di questo tipo si realizza con più probabilità se si
interviene cambiando il management. Quindi si è concessa a livello europeo una condizione premiale: se
l’azienda avvisa per tempo della possibile crisi, può mantenere il management e la dirigenza (che spesso in
casi familiari coincidono creando problemi).
Questo discorso ha senso perché ha la finalità ben precisa di far emergere la crisi il prima possibile così da
prendere le decisioni più opportune.

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