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Le piante tintorie

cenni storici sull'utilizzo delle piante tintorie fin dall'antichità,...
Corso

Biologia Vegetale

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Anno accademico: 2019/2020

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Le piante tintorie

Cenni storici

Gli uomini primitivi erano soliti utilizzare coloranti vegetali prima in occasione delle battute di caccia, poi anche in occasioni di feste religiose poiché attribuivano al colore potere propiziatorio e magico”. I primi documenti scritti relativi alla tintura sono stati ritrovati in Cina e datati 2600 a., ma tra le rovine della civiltà della valle dell’Indo risalente al 3500 a. sono stati ritrovati reperti di indumenti colorati e tracce di tintura con robbia. Durante l’impero egizio, le mummie venivano avvolte da bende di lino sulle quali sono state ritrovate tracce di coloranti. In particolare, nella tomba del faraone Tutankhamon è stata rinvenuta l’alzarina, un pigmento naturale estratto dalla robbia. Le tecniche primitive di tintura e di estrazione del colore sono diventate sempre più evolute con l’evolversi delle popolazioni. I coloranti più noti erano il rosso ottenuto dalle radici della robbia (Rubia tinctorum L.), il blu dalle foglie delle pianta conosciuta come indaco (Indigofera tinctoria L.) e il giallo ricavato dagli stimmi dello zafferano (Crocus sativus L.) e dalla curcuma (Curcuma longa L.). Per la posizione geografica i greci godevano di un grande scambio di contatti e di informazioni con i popoli del Mediterraneo, riuscendo così ad apprendere diverse conoscenze sull’arte tintoria. Con l’espandersi dell’Impero Romano e il contatto dei popoli conquistati, i Romani cominciarono ad utilizzare tuniche rosse e aranciate che divennero il simbolo del benessere socio- economico e che venivano tinte con l’utilizzo del Kermes e della robbia. Con la caduta dell’Impero Romano iniziò un periodo di grandi migrazioni di popoli e il fiorire di scambi e commerci, che fecero dell’attività tintoria un’attività stabile con coltivazioni programmate sul territorio.

Nel medioevo ai colori venivano attribuiti significati particolari: il rosso era destinato ai lebbrosi, alle prostitute o ai boia, il giallo a musulmani ed ebrei. Intanto all’interno delle botteghe le ricette di tintura venivano trasmesse gelosamente di generazione in generazione (ingredienti, colori, tecniche di mordenzatura). Le regole di segretezza furono infrante da Giovanventura Rossetti che nel 1540 pubblicò un trattato contenente procedimenti e ricette che saranno punto di riferimento per molti tintori. Con l’avvento dei macchinari e la Rivoluzione Industriale si assiste al perfezionamento delle tecniche e alla sostituzione dei telai in legno con quelli metallici. Si utilizzano processi e matrici che possano rendere la tintura più durevole. Processo che si espanderà nell’epoca moderna grazie a processi di tintura chimicamente consapevoli e basati su indagini scientifiche.

Le ricerche e indagini di raccolta delle informazioni per le attività laboratoriali ci hanno permesso di toccare diverse parti del programma di Biologia Vegetale, in particolare l’energia cellulare attraverso i pigmenti, l’organografia delle piante e la sistematica.

Le Piante tintorie più diffuse

Le piante in grado di fornire coloranti naturali comprendono oltre 1000 specie presenti in tutti gli Ordini e in numerose famiglie botaniche (Vetter et al., 1999) e presentano caratteristiche botaniche, biologiche e areali diversi tra loro (Cardon, 2007). Tra le numerose specie in grado di fornire coloranti vegetali ve ne sono alcune, che più di altre, presentano una buona adattabilità ad un ampio range di condizioni climatiche, elevate potenzialità produttive ed un più facile inserimento nei tradizionali ordinamenti culturali (Angelini,

2008; Vetter et al., 1999). Tra le specie di importanza storica per le quali in passato furono avviate vere e proprie filiere produttive, possiamo citare l’indigofera (Indigofera tinctoria L.) e il guado (Isatis tinctoria L.) per il blu- indaco, la reseda (Reseda luteola L.), la ginestra dei tintori (Genista tinctoria L.), il cartamo (Carthamus tinctorium L.), la camomilla dei tintori (Anthemis tictoria L.) per il colore giallo, ed infine la robbia (Rubia tinctorum L.) in grado di fornire il rosso. Il colore blu si ottiene dall’indaco (che contiene indigotina) che si ricava da numerose specie vegetali come il guado e la persicaria dei tintori [Persicaria tinctoria (Ait.) Spach]. L’indaco è un colorante di origine vegetale già noto in Asia 4000 anni fa ed il suo nome deriva infatti dall’India, principale produttore. L’indaco è inoltre utilizzato per la tintura dei jeans e trova numerose altre applicazioni. Difatti, le piante tintorie permettono moltissime applicazioni: alimentare, cosmetico, per colorare, per la tintura di tessuti e filati, per la fabbricazione di candele di cera colorate, per la colorazione di oli essenziali e altri distillati.

Considerata la vastità dell’argomento e il numero delle piante tintorie è stato necessario adoperare dei criteri di selezione che permettessero di restringere l’indagine; abbiamo quindi privilegiato le piante diffuse nel nostro territorio e facilmente reperibili, sia spontanee, sia coltivate, organizzando le piante ricavate da questa selezione in chiave evolutiva: pteridofite e angiosperme (Dicotiledoni e Monocotiledoni). Le gimnosperme non sono state qui considerate in quanto non sono state trovate informazioni riguardo piante tintorie presenti alle nostre latitudini.

I pigmenti vegetali

I pigmenti vegetali sono molecole che hanno la capacità di assorbire o riflettere le diverse lunghezze d’onda della luce. In una pianta sono presenti diversi tipi di pigmenti che possono essere raggruppati a seconda della loro funzione. Esistono infatti pigmenti che operano la fotosintesi nei cloroplasti ed altri che hanno il compito di rendere più vistosi i colori dei fiori ad animali ed uccelli e favorire la dispersione del seme o del polline. I più importanti sono: 1. Pigmenti fotosintetici: clorofilla A e B 2. Pigmenti vegetali accessori: carotenoidi (xantofille; caroteni) 3. Pigmenti di colorazione: flavonoidi (tra i più importanti gli antociani)

Esistono poi anche la clorofilla C (presente in numerose classi algali) e la clorofilla D (in un cianobatterio ed in alcune alghe rosse). I pigmenti fotosintetici sono rappresentati dalle molecole che catturano l'energia solare per poter ricavare l'energia necessaria alla fotosintesi. Il principale pigmento fotosintetico è la clorofilla. La clorofilla di tipo A assorbe soprattutto la luce blu/violetta e rossa e riflette il verde ed è essenziale in quanto è l'elemento base del centro della reazione in cui essa è inserita. Le altre clorofille sono dette "accessorie" in quanto estendono il raggio di azione della clorofilla di tipo A assorbendo differenti lunghezze d'onda. La clorofilla B assorbe la luce blu e arancione e riflette il verde. I carotenoidi sono pigmenti accessori che captano differenti lunghezze d'onda della luce, rispetto alla clorofilla, e servono ad ampliare il raggio d'azione di quest'ultima. Riflettono la

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Cina e datati 2600 a.C., ma tra le rovine della civiltà della valle dell’Indo risalente al 3500
a.C. sono stati ritrovati reperti di indumenti colorati e tracce di tintura con robbia. Durante
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tintura e di estrazione del colore sono diventate sempre più evolute con l’evolversi delle
popolazioni. I coloranti più noti erano il rosso ottenuto dalle radici della robbia (Rubia
tinctorum L.), il blu dalle foglie delle pianta conosciuta come indaco (Indigofera tinctoria
L.) e il giallo ricavato dagli stimmi dello zafferano (Crocus sativus L.) e dalla curcuma
(Curcuma longa L.). Per la posizione geografica i greci godevano di un grande scambio di
contatti e di informazioni con i popoli del Mediterraneo, riuscendo così ad apprendere
diverse conoscenze sull’arte tintoria. Con l’espandersi dell’Impero Romano e il contatto dei
popoli conquistati, i Romani cominciarono ad utilizzare tuniche rosse e aranciate che
divennero il simbolo del benessere socio- economico e che venivano tinte con l’utilizzo del
Kermes e della robbia. Con la caduta dell’Impero Romano iniziò un periodo di grandi
migrazioni di popoli e il fiorire di scambi e commerci, che fecero dell’attività tintoria
un’attività stabile con coltivazioni programmate sul territorio.
Nel medioevo ai colori venivano attribuiti significati particolari: il rosso era destinato ai
lebbrosi, alle prostitute o ai boia, il giallo a musulmani ed ebrei. Intanto all’interno delle
botteghe le ricette di tintura venivano trasmesse gelosamente di generazione in generazione
(ingredienti, colori, tecniche di mordenzatura). Le regole di segretezza furono infrante da
Giovanventura Rossetti che nel 1540 pubblicò un trattato contenente procedimenti e ricette
che saranno punto di riferimento per molti tintori. Con l’avvento dei macchinari e la
Rivoluzione Industriale si assiste al perfezionamento delle tecniche e alla sostituzione dei
telai in legno con quelli metallici. Si utilizzano processi e matrici che possano rendere la
tintura più durevole. Processo che si espanderà nell’epoca moderna grazie a processi di
tintura chimicamente consapevoli e basati su indagini scientifiche.
Le ricerche e indagini di raccolta delle informazioni per le attività laboratoriali ci hanno
permesso di toccare diverse parti del programma di Biologia Vegetale, in particolare
l’energia cellulare attraverso i pigmenti, l’organografia delle piante e la sistematica.
Le Piante tintorie più diffuse
Le piante in grado di fornire coloranti naturali comprendono oltre 1000 specie presenti in
tutti gli Ordini e in numerose famiglie botaniche (Vetter et al., 1999) e presentano
caratteristiche botaniche, biologiche e areali diversi tra loro (Cardon, 2007). Tra le numerose
specie in grado di fornire coloranti vegetali ve ne sono alcune, che più di altre, presentano
una buona adattabilità ad un ampio range di condizioni climatiche, elevate potenzialità
produttive ed un più facile inserimento nei tradizionali ordinamenti culturali (Angelini,