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TFA Creativita' - Arieti, Williams, Amabile
Corso: Tfa Sostegno (PED-04)
171 Documenti
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Università: Università degli Studi Suor Orsola Benincasa
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Lo psicoanalista Silvano Arieti distingue tra creatività ordinaria, capace di migliorare la vita
dell’autore rendendola più piena e soddisfacente, e creatività straordinaria, quella che
inventa nuovi paradigmi e migliora la vita di tutti contribuendo al progresso.
Per Arieti (Creatività, la sintesi magica, 1976) l’individuo capace di produrre creatività
straordinaria conserva una possibilità più grande della media di accesso alle immagini, alla
metafora, alla verbalizzazione accentuata e ad altre forme connesse al processo primario, che
è inconscio o preconscio.
Sia il sognatore sia lo schizofrenico e l’individuo creativo condividono un accesso facilitato
alla sfera primaria, ma mentre lo schizofrenico ci resta intrappolato e il sognatore perde le
sue suggestioni notturne quando si confronta con le logiche del giorno, l’individuo
creativo seleziona, adotta e adatta materiali primari innescando il pensiero logico e
integrato che appartiene al processo secondario.
La magia della sintesi creativa – il processo terziario – chiede una dose superiore alla
norma di passività ricettiva: quella che permette ai materiali primari di
emergere improvvisamente, inaspettatamente, di getto, come in un lampo; durante la
meditazione, la contemplazione, il fantasticare, il rilassamento, l’assunzione di droghe, i
sogni… ma chiede anche una dose superiore di attività intenzionale e consapevole per
gestire quei materiali adeguatamente.
E’ una magia, dice Arieti, di cui la persona creativa rimane la depositaria…, un segreto che
non può rivelare né a se stesso né agli altri. Quello che non è più un segreto è il modo in cui il
suo processo creativo si svolge, raggiunge la sua conclusione, e quali condizioni facilitino la
sua comparsa.
Hillman: anima, vocazione, possessione
Il tema junghiano degli archetipi appartiene anche allo psicoanalista James Hillman, che lo
proietta potentemente in una dimensione più ampia di quella terapeutica: è la psicologia
archetipale, una terapia delle idee e non delle persone.
Ne Il codice dell’anima – carattere, vocazione, destino (1996), Hillman dice che sulle
immagini che hanno valore di archetipo, cioè che sono universali e necessarie, si fondano
i miti, le strutture simboliche entrando in contatto con le quali l’anima può esprimere la
propria energia e riconoscere, com’è necessario, la propria vocazione, al di là delle
pressioni sociali e delle situazioni contingenti. Solo onorando il mito che ciascuno porta in
sé – la piccola ghianda che contiene in sé la potenzialità della grande quercia – è infatti
possibile ricostruire un rapporto equilibrato con la realtà, evitare derive patologiche,
crescere nel mondo, compiere il proprio destino.
Tutti abbiamo un destino: la creatività non è un dono o una grazia speciale, una capacità, un
talento o un artificio. Piuttosto è un’immensa energia la cui origine è al di là della psiche
umana e che spinge a dedicarsi a se stessi attraverso un nesso specifico con l’altro. La
creatività costringe alla devozione verso la propria persona nel suo divenire attraverso quel
nesso, e porta con sé un senso di impotenza e di crescente consapevolezza del proprio potere
luminoso… è più umana e più potente del suo possessore. Questi, in realtà, corre sempre il
rischio di essere posseduto. Operando come coazione, la forza è sempre eccessiva.
E’ una possessione che può prendere varie forme. Modelli archetipici ai quali
l’esperienza creativa può aderire in momenti diversi, e che possono combinarsi o
contaminarsi: la saggezza del senex che mette ordine nel caos. La giocosità irresponsabile
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