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De Kerckhove sintesi

Corso

Psicotecnologie e processi formativi (nuova edizione)

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Anno accademico: 2020/2021
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Corso di “Psicotecnologie e Processi Formativi” appunti in domande e risposte sulle lezioni di Derrick De Kerckhove a cura dello studente Francesco Galgani

I seguenti appunti sono principalmente basati su interviste a De Kerckhove, articoli e saggi liberamente consultabili in Rete. Non ho riportato una bibliografia, comunque nel forum di “Psicotecnologie e processi formativi”, all'interno del Cyberspazio Didattico, ho fatto numerosi interventi segnalando via via pagine web o video particolarmente interessanti per lo studio. In questi appunti sono comprese anche le mie risposte alle domande di ammissione all'esame.

1. Il 2011 è stato un anno di numerose celebrazioni per il centenario della nascita di Herbert Marshall McLuhan, nato il 21 luglio 1911. Per cosa egli è noto? Noto per i suoi studi sull’impatto della tecnologia sulla cultura, resi celebri in tutto il mondo attra- verso alcuni noti aforismi e concetti tra cui “Il medium è il messaggio” e il “Villaggio Globale” , McLuhan è oggi considerato un precursore del suo tempo e un grande interprete del nostro per il suo enorme contributo teorico nell’ambito di media, comunicazione e tecnologia e della loro in- fluenza sulla psiche umana, sulle dinamiche sociali, sulle arti, sulla letteratura, sulla formazione, sul lavoro e sull’economia. Considerato “l’oracolo dell’era elettronica” e “lo scrittore più provocatorio e controverso della sua generazione” (Culkin), McLuhan è indubbiamente uno dei massimi pensatori del XX se- colo ma, allo stesso tempo, uno dei meno compresi. Le sue ricerche sono state un punto di riferi- mento fondamentale per il gruppo di studiosi che fa capo alla scuola di Toronto e per tutte le analisi successive sulle comunicazioni di massa. Nell’opinione comune la figura di Marshall McLuhan è nota soprattutto per espressioni come “villaggio globale” o “galassia Gutenberg”. Quelli che possono sembrare semplici slogan sono frutto, in realtà, delle prime vere e proprie teorie delle comunicazioni di massa, che fanno capo alla figura del sociologo canadese. La riflessione di McLuhan è raccolta nei suoi scritti, pubblicati a partire dagli anni Cinquan- ta: in quel periodo l’America e il mondo attraversano una profonda trasformazione economica e cul- turale e si afferma un medium centrale come la televisione. McLuhan è inizialmente docente di letteratura inglese negli atenei statunitensi, ma ben presto inizia a interessarsi agli effetti della comunicazione sui comportamenti individuali e collettivi, di cui parla durante le lezioni e nelle sue pubblicazioni. Poi, nel 1963, diventa direttore del Centre for culture and technology dell’uni- versità di Toronto. In uno dei suoi primi testi, la Galassia Gutenberg (1962), egli analizza proprio le conse- guenze dell’introduzione della stampa, che ha accentuato tutte le caratteristiche della cultura alfabe- tica, incentrata unicamente sulla vista. In questo periodo inizia a emergere la teoria del determini- smo tecnologico , per cui una società è profondamente condizionata dal tipo di tecnologia che la contraddistingue. Per McLuhan il mezzo di comunicazione ha un ruolo centrale, è addirittura il messaggio stesso, come afferma in un libro del 1976: i media, cioè, non sono neutrali e non sono semplicemen- te veicolo di un contenuto, ma influenzano sia l’esperienza sensoriale che il pensiero dell’utente. Esistono, in particolare, media “freddi” , o a bassa definizione, che richiedono un’alta partecipazio- ne da parte del fruitore, e media “caldi” , con un’alta definizione, e che quindi non necessitano di una forte interazione dell’utente. Un esempio di medium “caldo” è, per McLuhan, la televisione dal punto di visto del telespettatore. De Kerckhove afferma: «Medium freddo, secondo McLuhan, era quel tipo di modello di comunicazione a bassa definizione, cioè un po' rarefatto e che, per sua natu- ra, invita l'ascoltatore a introdursi dentro l'informazione in modo da poterla metabolizzare come propria. Per esempio un medium senz'altro freddo, sia pure nell'ambito di un mezzo caldo quale è la stampa, è stata la poesia, la poesia che ha tutte quelle rarefazioni, quelle allusioni, quelle ambi- guità che obbligano proprio il lettore a entrarvi dentro. Medium freddo è anche la televisione, so- prattutto quella televisione che invita in un certo modo a completare il circolo di coloro che vi sono presenti. Pensiamo per esempio al Talk Show, in cui noi siamo presenti come uno dei componenti

del dibattito. Il mezzo caldo, invece, è il mezzo che satura i nostri sensi e che quindi accettiamo come altro da noi; non facilita un nostro apporto percettivo con esso, lo contempliamo ma non ne fruiamo, diciamo, attraverso il nostro sistema percettivo in profondità. Medium caldo è per esempio il cinema, medium caldo è la fotografia. È una distinzione ancora proficua per le nostre interpreta- zioni? Io penso di sì. Nella misura in cui ci fa capire, per esempio attraverso Internet, che questi nuovi mezzi obbligano, invitano il soggetto a interagire con essi attraverso il loro linguaggio. At- traverso per esempio le chat line, ecco, capiamo che il futuro implica evidentemente una presenza forte di mezzi partecipativi. Se l'uomo non è cosciente di questo, evidentemente perde l'occasione per essere parte di questa nuova agora elettronica che crea praticamente la democrazia di domani». Proprio sull’analisi del piccolo schermo lo studioso canadese si sofferma molto, cercando di interpretare le ragioni del suo enorme successo: la televisione, per il sociologo, avrebbe avuto forte presa perché è sostanzialmente un mezzo di “conferma”, non rivoluziona il modo di pensare, ma è una garanzia e un conforto per lo spettatore. In più, con la tv, prima, e con il satellite, poi, il mondo sarebbe diventato un “ villaggio globale”. Con questo ossimoro McLuhan vuole testimoniare la ri- duzione delle distanze creata dai mezzi di comunicazione di massa, che ha avvicinato persone e cul- ture lontane tra loro, ricomprendendole, appunto, in un unico “villaggio”, secondo la teoria esposta nell’omonimo libro del 1968. Un’affermazione che oggi, nell’era di Internet e del Web 2, è più che mai valida: i media che caratterizzano il periodo elettronico determinano infatti una nuova rivo- luzione dei sensi, riproponendo su scala globale incontri simili a quelli che avvenivano nei villaggi, creando cioè una nuova circolarità dai confini virtuali.

2. Cosa significa più precisamente “il medium è il messaggio”? Come è stato ampiamente dibattuto nel discutere il passaggio dalla trasmissione orale alla scrittura e successivamente da questa ai media elettronici, ogni strumento di diffusione e di appropriazione del sapere sollecita un diverso percorso conoscitivo che fa leva su differenti processi mentali. McLu- han, come è noto, ha teorizzato che “il medium è il messaggio” e il “messaggio di un medium, o di una tecnologia, è nel mutamento di proporzioni, di ritmo o di schemi che introduce nei rapporti umani”. Per McLuhan qualsiasi medium produce un'amputazione organica ed un'estensione senso- riale, offrendo all'organismo nuovi e più validi supporti, appendici che sono prolungamenti dei sen- si. “Le conseguenze individuali e sociali di ogni medium derivano dalle nuove proporzioni intro- dotte nelle nostre questioni personali da ognuna di tali estensioni” , poiché l'uso di tecnologie diver- se influisce sull'organizzazione dei sensi umani. Come sottolinea Derrick de Kerckhove, così come la scrittura non costituisce solo una capacità manuale, ma rappresenta soprattutto la possibilità di classificare e ordinare il pensiero, allo stesso modo l'utilizzo delle nuove tecnologie della comunica- zione ha un'immediata ripercussione sulla nostra capacità di sviluppare nuove strutture e modelli mentali.

3. Cosa sono l'oralità secondaria e terziaria? Il “villaggio globale” recupera quella che Walter Ong definisce l’oralità secondaria, che deriva dall’introduzione dei media elettronici nelle società alfabetizzate e dal recupero della parola in for- ma elettronica. Nella sua analisi Ong si riferisce alla radio e alla televisione, mentre oggi lo svilup- po delle tecnologie introduce quella che De Kerckhove definisce l'oralità terziaria, “quella dei siste- mi multimediali, della realtà virtuale e della rete. E' un'oralità elettronica, come la 'seconda', ma diversamente da quella si fonda sulla simulazione della sensorialità, piuttosto che sulla sua tra- smissione. Attraverso, ad esempio, il 'beep' dei telefonini o dei computer, l'oralità terziaria è carat- terizzata da un linguaggio tattile che restituisce un feedback alle nostre azioni, in una sorta di si- mulazione organica”. Per De Kerckhove, la “storia dei sensi” racconta il cambiamento determinato dalle nuove tecnologie, poiché all'astrazione e alla de-sensorializzazione introdotte con l'alfabeto si sostituisce, oggi, una nuova sensorialità che caratterizza il nostro rapporto con i media. Nella lettura l'individuo ricostruisce in maniera astratta e nella propria mente il contenuto della comunicazione, ma la parola elettronica nell'oralità terziaria restituisce all'individuo un nuovo oggetto sensoriale,

E' evidente che l'attuale Internet (che non esisteva al tempo in cui McLuhan ha fatto tali predizioni) ha tutte le caratteristiche sopra elencate.

6. Cosa vuol dire psicotecnologie secondo De Kerckhove?

De Kerckhove promuove lo sviluppo della “psicotecnologia” intesa come scienza dello studio dell'effetto delle tecnologie sulla mente. Nel libro " La pelle della cultura. Un'indagine sulla nuova realtà elettronica ", egli ha scritto a pag. 210: «I sistemi di elaborazione delle informazioni come computer e video sono estensioni di alcune delle principali proprietà psicologiche della nostra mente. In questo senso possono essere definite tecno- logie della psiche: psicotecnologie. Le psicotecnologie includono reti e strumenti di elaborazione delle informazioni “dal vivo”, a livello pubblico e locale: telefono, radio, televisione, computer e satelliti, per esempio. Dato che modificano i rapporti all'interno della trama della società, riescono a ristrutturare o a modificare i tratti psicologici, in particolare quelli che dipendono dall'interazio- ne fra il linguaggio e l'organismo umano o fra la mente e la macchina.»

De Kerckhove ritiene che i media operano come interfacce tra il linguaggio e la mente, nel senso che essi intrattengono un rapporto molto intimo con il linguaggio, e in conseguenza di tale rapporto determinano anche l’organizzazione della nostra mente.

7. In che modo l’alfabeto greco ha influenzato la concezione di spazio, tempo e coscienza del sè?

Il riferimento che De Kerckhove fa più volte alla nascita dell'alfabeto greco è dettato dalla specifici- tà che l’alfabeto greco ebbe nei confronti dei codici di scrittura ad esso precedenti o suoi contempo- ranei, in quanto riproduzione fonetica pressoché completa. Nei geroglifici egiziani o nei codici sil- labici dei fenici, che pure rappresentarono per quelle società delle tecniche di primaria memorizza- zione della conoscenza, il discorso orale non era riprodotto in maniera completa o non lo era affatto, come nel caso degli egiziani. I codici di scrittura sillabici riproducevano la parte consonantica senza specificare la vocale a cui va associata la consonante: fu l’alfabeto greco ad assegnare ad ogni sin- gola articolazione sonora (vocali e consonanti) un segno. La scrittura alfabetica costituisce così il vero inizio della comunicazione tra persone distanti tra loro, nel tempo come nello spazio.

Tempo La scrittura e i numeri permettono di “concepire” e persino di “misurare” il tempo in una sequenza di passato/presente/futuro e di progettare dal presente al futuro, la qual cosa è molto improbabile in una società senza scrittura, che si limita a riconoscere il ciclico passaggio del tempo basandosi su fenomeni naturali e a narrare le stesse storie, in una sorta di eterno presente, per conservare la me- moria di se stessa. Senza scrittura il tempo così come normalmente concepito dai popoli alfabetizza- ti non esisterebbe.

Spazio L'oralità è strettamente dipendente dal contesto e dalla persona, mentre la scrittura alfabetica diven- ta indipendente dalla persona, dal contesto, è sufficiente a se stessa (nel senso che dovrebbe conte- nere in sé tutti gli elementi necessari alla sua comprensione) e si muove nello spazio oltre che nel tempo. I libri vengono trasportati e sono conservabili da un secolo all'altro, l'elettricità trasporta le conversazioni astraendole completamente dallo spazio fisico. Con la scrittura, cambia anche la concezione dello spazio fisico, che può essere oggettivizzato, mi- surato, riprodotto fedelmente su una mappa.

Coscienza di sé La scrittura modifica la percezione che l'essere umano ha di se stesso: l'appropriazione e la privatiz- zazione del linguaggio sono ciò che effettivamente permette di creare le proprie parole, di prendere una decisione, di organizzare il proprio pensiero e divenire un individuo, di avere un controllo pri- vato sul proprio io. La scrittura ha avuto un ruolo centrale nel processo di civilizzazione degli esseri umani. La disponibilità di un sistema di rappresentazione astratto del linguaggio, cioè l'alfabeto, fu determi- nante per la nascita della concezione occidentale della razionalità e del pensiero analitico: il testo permette di articolare il pensiero in una sequenza di concetti, di argomentazioni e dimostrazioni. Non a caso la filosofia nasce in Grecia.

8. Per quale motivo tutti gli alfabeti con le vocali sono scritti verso destra? Cosa vuol dire che privilegiano il testo?

La direzione della scrittura verso destra per alfabeti con vocali è motivata dalla neurofisiologia del sistema visivo umano. Prima di entrare nel dettaglio, sono necessarie alcune considerazioni.

De Kerckhove fa notare che le scritture che contengono vocali sono scritte verso destra, mentre quelle che non contengono vocali (ad es. ebraico e arabo) sono scritte verso sinistra. Questa diffe- renza nella direzione della scrittura è associata a una diversità dei rispetti atti di lettura dei segni: «Per leggere un sistema di scrittura si devono fare due cose: riconoscere la forma dei segni; ana- lizzare la sequenza dei segni. A seconda di quale delle due istanze, forma o sequenza, prevale, il si- stema descritto procederà a sinistra o a destra» (De Kerckhove, Brainframes, p. 40). Nelle scritture scritte verso sinistra (non vocalizzate) è richiesta, come essenziale e qualificante, una combinazione dei segni in base al contesto e quindi un uso prevalentemente “simultaneo-configurazionale” degli occhi; nelle scritture scritte verso destra (vocalizzate) è richiesto invece un allineamento dei segni in sequenza, un “movimento progressivo di sequenzialità”, perciò un uso prevalentemente “succes- sivo-sequenziale” degli occhi. Tra tutti i sistemi fonetici solo l'alfabeto si mostra suscettibile di una vera e propria analisi sequenziale.

L'identificazione degli stimoli visivi dipende da un complesso rapporto tra campi visivi, vie ottiche e corteccia visiva. Prendiamo come esempio di campo visivo lo schermo nel quale è visibile questo testo: grosso modo, la sua metà sinistra corrisponde al campo visivo di sinistra, quella di destra al campo di destra. Ogni "emicampo visivo" (le due metà del campo) viene decodificato dall’area visi- va dell’emisfero opposto in modo tale che ciò che è a destra nel campo visivo viene letto dall’emi- sfero sinistro e viceversa. C'è una divisione del lavoro per la quale l'emisfero destro controlla effet- tivamente la visione, mentre quello di sinistra la analizza: le scritture con vocali, poiché richiedono una lettura successivo-sequenziale che privilegia l'analisi, hanno bisogno prevalentemente dell'emi- sfero sinistro, quindi sono scritte verso destra perché l'emicampo destro è collegato all'emisfero si- nistro; le scritture senza vocali, che richiedono una lettura che privilegia la visione d'insieme a sca- pito dell'analisi (infatti non esistono relazioni grammaticali tra le parole, ma solo relazioni semanti- che), hanno bisogno prevalentemente dell'emisfero destro, quindi sono scritte verso sinistra perché l'emicampo sinistro è collegato all'emisfero destro. I due emisferi si scambiano poi le informazioni attraverso le fibre del corpo calloso che uniscono tra di loro le due metà del cervello.

Sulla base delle precedenti considerazioni, è evidente che la scrittura senza vocali è essenziale il contesto, in quella con vocali invece il testo può essere letto indipendentemente dal contesto, per questa ragione si dice che gli alfabeti con vocali privilegiano il testo al contesto.

Mentre in precedenza, lo schermo classico e, specialmente, quello dinamico ponevano il fruitore solo come istanza passiva, quasi ipnotizzata, lo schermo in tempo reale ci risveglia dal torpore e di- venta uno strumento tramite cui possiamo agire in modo nuovo sul nostro ambiente concreto e an- che in quello virtuale.

11. In che modo l’uso dello schermo elettronico ha modificato la percezione della realtà da parte delle persone?

Questa è una domanda complicata, penso che qualunque risposta io possa produrre sarà comunque riferita solo ad un aspetto del problema, in quanto parlare di “uso dello schermo elettronico” signifi- ca una miriade di attività diverse, tutte collegate all'uso della tecnologia attuale. Il discorso sarebbe più agevole se circostanziato a specifici aspetti che coinvolgono tutta quella parte dell'umanità che passa più della metà della propria vita davanti agli schermi (indicativamente un quinto della popola- zione mondiale): l'estensione dello spazio reale con spazio virtuale, con conseguente annullamento dei limiti spaziali; l'essere tutti interconnessi indipendentemente dalla posizione fisica; il sentirsi parte di comunità reali ma situate nel “non luogo” dello spazio virtuale; l'onnipresente possibilità di accesso e di interazione con la memoria collettiva depositata e continuamente depositabile in In- ternet; e così via. Tali aspetti si potrebbero riassumere in una nuova percezione della realtà che è al di là della realtà fisica governata dalle leggi di Newton o di Einsten: “volare con le proprie mani” , in questa odierna fusione (e confusione?) tra reale e virtuale è possibile, quantomeno è possibile su SecondLife; è possibile lasciare una traccia della propria vita che rimanga visibilmente per sempre, quantomeno su Facebook; è possibile avere tutto lo scibile umano in tasca, quantomeno con uno smartphone connesso a Internet. Questi sono solo esempi.

De Kerckhove, in un'intervista su Mediamente, si esprime come segue a proprio dello spazio e del tempo: «[...] Ma nella rete non c’è spazio. C’è il tempo. Non c’è spazio, ma non usciamo fuori dal tempo nella rete, usciamo fuori solo dallo spazio. Lo spazio è stato conquistato. La realtà virtuale è la conquista dello spazio. La luna è conquista dello spazio. I database sono una conquista dello spazio. Sappiamo tutto sullo spazio. Non sappiamo nulla sul tempo. [...]. Non c’è spazio nella rete, ma ci sono un mucchio di costrizioni temporali, un bel mucchio davvero. La velocità è l’essenza di Internet: Quanto dovrete aspettare per una pagina? Questa è veramente una questione di tempo». Più avanti, nella stessa intervista, aggiunge: «[...] nella rete, nelle comunicazioni nel network, il tempo reale è esteso perché non è tempo solare. E’ il tempo del contesto e della pertinenza. Se ti mando un messaggio, e tu non lo ricevi per sei ore, il tempo reale dura fino al momento in cui tu sei collegato e mi rispondi. Questa estensione del tempo è un approccio diverso al nostro modo di di- stribuire la nostra vita, al nostro modo di organizzare la nostra vita. L’idea di tempo esteso è forse un’idea utile».

12. Fare un confronto tra le tre fasi della comunicazione influenzate dall’avvento dell’elettrici- tà.

Le tre fasi sono: l'analogico, il digitale, il wireless. Queste tre fasi, nella visione di De Kerckhove, rappresentano tre fasi dello sviluppo dell'intelligenza umana.

La prima è stata la fase analogica e ha dato all’uomo il calore, la luce, l’energia, l'amplificazione, il trasporto immediato del segnale (trasporto, non trasformazione). Ne sono esempi il telefono, la ra- dio, la televisione: il linguaggio è accelerato, amplificato, distribuito. La fase analogica è la più faci- le da concettualizzare e quindi da industrializzare, il linguaggio è trasmesso prima via cavo e poi successivamente senza fili. E' evidente, visto che si parla anche di calore, luce ed energia, che la de-

finizione di questa fase non è strettamente legata alle telecomunicazioni, ma al tipo di uso che viene fatto dell'elettricità.

La seconda è stata la fase digitale che ha cambiato l’elettricità in informazione, conoscenza, rico- struzione del segnale al momento della domanda, piuttosto che semplice trasporto (come nella fase analogica). Anche in questo caso, il significato della fase non è da intendersi sul piano strettamente tecnico della differenza tra una telecomunicazione analogica e digitale, con un segnale variabile nel tempo entro un certo intervallo nel primo caso e un segnale di soli bit nel secondo, ma nel senso dell'uso che viene fatto dell'elettricità: è evidente che tra fare una telefonata (fase analogica) o con- sultare un sito Internet (fase digitale) c'è un salto qualitativo dell'intelligenza umana, con differenze significative a livello concettuale: la telefonata “trasporta” la voce, mentre navigare in un sito signi- fica recuperare e “ricostruire” le informazioni in esso contenute e metterle davanti ai propri occhi. La fase digitale emula le operazioni di controllo e di comando.

La fase attuale, quella wireless, è più profondamente cognitiva poiché dà al contenuto una capacità, sin qui inedita, di diffusione e risposta immediati, ovvero un'onnipresenza a livello mondiale e istantaneo. E' una fase in via di sviluppo, nella quale tutti i segnali saranno disponibili ovunque e senza fili: l'elettricità diventerà “intelligente” nella misura in cui le informazioni potranno essere rielaborate in modo intelligente. Su questa fase, si potrebbero aggiungere considerazioni politiche relative al digital divide, di cui ho letto le opinioni De Kerckhove, che sostanzialmente vede la ne- cessità di un accesso istituzionalmente libero e gratuito al wireless e wimax.

In un'intervista del 2007 a Corriere Economia, De Kerckhove sintetizza così le tre fasi: «La prima è quella analogica, iniziata nell’800 con lo sviluppo industriale. Parliamo di energia, elettricità e calore. Insomma, la definisco un’intelligenza legata alla forza muscolare. Poi, a metà anni, ’70 è iniziata la rivoluzione digitale, con le trasformazioni che abbiamo vissuto. Qui siamo in presenza di forza nervosa. In arrivo c’è ora la terza: quella cognitiva, legata alla Rete, ai dispositivi wireless, senza fili. È l’essere sempre connessi in ogni posto, svincolati da tempo e mezzi. È la nuova cultura giovanile dell’always on».

13. “Noi pensiamo con il corpo”, cosa significa questa affermazione alla luce della comunica- zione analogica e digitale?

Le tecnologie sono un'estensione dei nostri sensi, magari non tutti, ed un'estensione della mente. Non vi è alcun limite teorico al tipo di unione che possiamo avere con le tecnologie basate sull'elet- tricità: la fase wireless, in particolare, sta dando un nuovo ruolo al corpo. Gli smartphone promuo- vono l'integrazione di tutto il mondo all'interno del corpo della persona, la quale è a sua volta acces- sibile a tutto il mondo. Portare con sé uno smartphone, o addirittura “indossare” un computer (ci sono molte sperimentazioni in proposito), sicuramente condiziona il corpo. Un esempio è la geolocalizzazione: il corpo è immerso in una realtà mista di reale e virtuale e agi- sce di conseguenza, magari indirizzandosi verso persone, negozi o punti di interesse presenti nello stesso sistema di geolocalizzazione in cui è inserito l'utente. In questo senso, il pensiero è basato sul corpo e sulle tecnologie in qualche modo sono collegate al corpo.

Vorrei aggiungere che, su un piano biologico (visto che De Kerckhove parla di “tecnobiologia”) , non esiste una mente separata da un corpo: corpo e mente sono un tutt'uno. Come osserva Alessan- dro Antonietti nel libro “Il luogo della mente” (p. 145): «La mente deriva dal corpo, in senso onto- genetico e filogenetico, ma diviene irriducibile ad esso. La mente “emerge” dal corpo».

University of California Irvine ha dimostrato che le persone interrotte nel loro lavoro dall’arrivo di una mail hanno riportato un notevole incremento dei livelli di stress rispetto a quelli rimasti concen- trati. Si è dimostrato poi che gli ormoni prodotti dallo stress influiscono, riducendola, sulla memoria a breve termine. Altre ricerche mostrano che l’uso del computer ha dei vantaggi neurologici: l’attività cere- brale è più estesa e di maggior intensità tra le persone che fanno uso di Internet rispetto a quelle che non ne fanno uso. Anche alcuni tipi di video-games influiscono positivamente sul cervello: miglio- rano la reattività e la capacità di individuare selettivamente un dettaglio in un insieme disordinato. La posizione di De Kerckhove è che “stupidi sono quelli che non usano Google” , fermo re- stando che egli ha un approccio molto critico. All'incontro “Dal giornale al pixel. E ritorno” (del 4 ottobre 2011, presso la Federazione Italiana Editori Giornali) , egli ha infatti detto: «Google ci ren- de stupidi? Magari stupidi non proprio, ma un po’ decervellati sì. Ormai studi e esperti sono con- cordi nell’affermare che il web ci fa riflettere meno, ci fa perdere senso e identità, mentre la carta ci protegge dall’alzheimer digitale». Il concetto di fondo è che «il lettore digitale deve continua- mente prendere decisioni su quale link seguire e quale ignorare e rischia di essere disorientato dal web, mentre il cloud computing esteriorizza le sue capacità cognitive» ha argomentato de Kerckho- ve, «Sul mezzo cartaceo invece la parola si fissa e cresce dentro di noi. La carta mantiene dunque il cervello dentro il corpo. Oggi non abbiamo più memoria perché ci stiamo abituando ad averla fuo- ri del nostro corpo. Pensiamo al cloud computing quale memoria universale, dove contiamo di con- servare ogni nostro segmento di conoscenza». Insomma «l’utente che legge on line non vuole pen- sare. Vuole avere informazioni nel minor tempo possibile e i designer del web studiano le pagine in modo da impedire il pensiero». Un sistema che mette in discussione la possibilità stessa di formare una vera coscienza democratica, a causa della perdita dell’identità personale, che in rete diventa pubblica: «Muore la cultura del sé, per passare alla cultura della condivisione». La carta, invece, consente una lettura più veloce ed induce ad analisi più profonde, inoltre è un mezzo personale che si può toccare. La carta, insomma, va tutelata anche per proteggere il nostro vivere sociale.

16. Cosa significa che siamo nell'era del tag?

Per prima cosa, i tag , nel loro senso più generico di metadati ed esemplificabile con i QRcode, i co- dici a barre, le parole associate agli articoli di un blog o i nomi associati alle fotografie pubblicate su Facebook o su Flickr, non devono essere confusi con i tag html , che sono un'altra cosa. Il tagging (cioè associazione di uno o più tag a qualcosa) viene eseguito per vari scopi, pri- mo fa tutti quello di permettere una classificazione o individuazione di elementi sulla base dei tag associati. I tag possono essere parole, immagini, simboli, codici di varia natura, si trovano sia all'interno di contesti virtuali (come i tag associabili ad un articolo, ad un'immagine o a un video) sia in contesti reali (QRCode, codici a barre, RFID, etichette e altri sistemi di riconoscimento). In generale, i tag sono una sorta di “marchiatura” per i più svariati usi, apposta su oggetti fisici o vir- tuali, ma anche su esseri viventi (piante, animali o persone). Un esempio di tag applicato ad una persona può essere un microchip RFID sottocutaneo, un braccialetto elettronico per detenuti, ma an- che il codice fiscale, il numero della carta d'identità, e così via. Nei computer, l'utilizzo dei motori di ricerca si avvale soprattutto di parole chiave, che svolgono la funzione di tag. La caratteristica fondamentale dei tag, che ne costituisce il carattere innovativo e rivoluzio- nario, è che permettono un tipo di classificazione di elementi "dal basso verso l'alto", contrapposta alle classiche classificazioni gerarchiche, come ad es. quelle dei libri in una biblioteca, che possono essere considerate "dall'alto verso il basso". In un sistema tradizionale gerarchico (tassonomico), il progettista definisce un numero limitato di parametri da utilizzare per la classificazione, con il quale esiste uno e uno solo modo corretto per classificare ciascun elemento. In un sistema di tagging, in- vece, c'è un numero illimitato di modi per classificare un oggetto, nessuno dei quali è più corretto o sbagliato di un altro, in quanto un elemento, invece di appartenere ad una sola categoria, può essere associato a tag diversi.

I tag sono ovunque intorno a noi. De Kerckhove, in un'intervista sulla rivista "Sociologia della Comunicazione" , ha affermato: «Potrei sintetizzare ciò che io osservo in un modo che ha la potenza di sintetizzare un ambito di analisi rilevante oggi, e potrei farlo con questo slogan: il tag è il messaggio. Il tag è la natura propria di Internet. Senza il tag, senza questa possibilità di condi- videre i messaggi che vengono trattati e mandarli in rete in pezzi diversi che seguono rotte diverse, Internet sarebbe un sistema unicamente punto a punto e non distribuito come di fatto è. La distribu- zione è la metafora di base della cultura attuale: si ridistribuisce, si decentralizza, si riorganizza, si rendono ubiqui tutti i punti di connessione con la Rete. [...]».

17. Web 1, 2, 3, 4... di cosa stiamo parlando?!

Web 1 - E’ la prima fase del Web, caratterizzata dalla progressiva definizione degli standard tec- nologici che hanno permesso di dare vita a questa nuova realtà e di diffonderne l’uso tra milioni di utenti; siti web, directory e motori di ricerca sono gli elementi fondamentali dell’esperienza dell’utente, che utilizza il Web soprattutto come una “biblioteca” dove trovare informazioni e dove fruire di contenuti a vari livelli di multimedialità;

Web 2 - E’ la fase attuale, caratterizzata da una partecipazione attiva degli utenti alla costruzione dei contenuti, alla loro classificazione e distribuzione; gli elementi chiave si chiamano Blogs, Wiki, RSS, Social Bookmarking, Social Networking, MashUps.

Web 3 - La prossima evoluzione attesa nel Web è quella del Web Semantico , che intende poten- ziare le tecnologie web in modo da renderle capaci di contribuire alla costruzione e alla condivisio- ne della conoscenza, mettendo in connessione i contenuti presenti sul Web attraverso ricerche e ana- lisi automatiche basate sul significato; si parla quindi di ontologie, di agenti intelligenti e motori di ricerca semantici (non sulla semplice frequenza di un termine nel testo, ma su un’analisi del signifi- cato del testo e degli ambiti tematici a cui fa riferimento); si tratta quindi di sfruttare la potenza del- le applicazioni informatiche, che sviluppano progressivamente aspetti di intelligenza artificiale, per ottenere risultati qualitativamente più significativi quando si cercano informazioni e contenuti sul Web; un’applicazione tipica del Semantic Web è la possibilità di interrogare un motore di ricerca formulando domande in linguaggio naturale invece che con parole chiave. Di Semantic Web in real- tà si parla da diversi anni: in quest’ambito erano attese le più importanti evoluzioni del Web, quando il fenomeno del Web 2 ha preso piede con una popolarità inaspettata, perché ha proposto novità più facilmente comprensibili ed immediatamente evidenti per l’utente. Tuttavia la ricerca sul Se- mantic Web non si è mai spenta: certo oggi si deve confrontare con un panorama diverso, dove la ri- cerca di informazioni deve applicarsi allo User Generated Content, le ontologie devono confrontarsi con le folksonomies.

Web 4 - Questa ulteriore fase del Web dovrebbe integrare pienamente le due fasi precedenti per realizzare un Web Ubiquitous : in pratica le applicazioni presenti sul Web avrebbero lo scopo di met- tere in connessione in modo automatico le persone (così come il Web semantico mette in connes- sione in modo automatico i contenuti), sulla base delle attività che stanno svolgendo, per aiutarle a collaborare e raggiungere scopi condivisi mettendo insieme le loro risorse e le loro competenze. Si tratterebbe quindi di un Web pienamente integrato con la realtà fisica, al servizio delle relazioni, per moltiplicarle e potenziarle. Un aspetto importante dal punto di vista tecnologico è la diffusione delle tecnologie wireless che possono consentire effettivamente alle persone di essere sempre online in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento.

importante. L'anno seguente praticavo già il metodo dell'intelligenza connettiva ma la chiamavo ancora collettiva citando Levy. Un'artista australiano mi disse che io non esprimevo l'idea di una intelligenza collettiva, perché facevo riferimento, nelle mie riflessioni, ad un sistema di connessione aperta. Non si trattava di riferirsi ad un contenitore chiuso, ma ad una connessione da persona a persona all'interno di una rete molto specifica. Questa connessione con la sua specificità che non sta nel contenitore collettivo di un sapere, di una conoscenza, di uno scambio, mi suggerì di chia- marla "connettiva". L'ho ringraziato perché mi ha reso un grande servizio. Ora posso dire il suo nome: Ross Harly. Ha creato per me questo concetto d'intelligenza connettiva e non ho l'intenzione di monopolizzare né l'invenzione né nient'altro. Questo concetto è formidabile per capire questi processi che la tecnologia digitale ha apportato, e mi ha permesso di scoprire l'intelligenza, o, me- glio, l'inconscio connettivo ricco di possibilità. Continuo a prendere ispirazione dal lavoro di Levy e cerco di coinvolgerlo alla pratica diretta tramite l'intelligenza connettiva. Devo aggiungere che il concetto di intelligenza collettiva è così importante e fondamentale che merita di essere diviso in ulteriori zone d'esplorazione. Questo non elimina la possibilità di una ricerca parallela o interna all'interno di essa. Considero l'intelligenza connettiva in quanto una delle forme dell'organizzazio- ne all'interno dell'intelligenza collettiva. Come Freud aveva trovato molto più interessante l'incon- scio privato mentre Hume si era indirizzato verso l'inconscio collettivo, io mi trovo più interessato, per il mio lavoro, nell'esplorare sul campo, con le persone, in tempo reale. Preferisco la pratica dell'intelligenza collettiva nella sua rete specifica che chiamo intelligenza connettiva, piuttosto che lasciare semplicemente il concetto svilupparsi da solo senza sperimentazione. Amo lavorare con le mani. C'è un altro aspetto che mi appassiona. Una vecchia battuta di Molière in "Les femmes sa- vantes" recita in questo modo: "Un gentiluomo è qualcuno che sa tutto senza avere imparato nien- te". Penso che con Internet, con il Web e con l'accesso che abbiamo a questa intelligenza collettiva, a questa base cognitiva, siamo tutti dei gentiluomini. Possiamo avere accesso a tutto senza avere imparato mai niente. Ciò è divertente, fa parte del piacere di appartenere della nostra epoca, di es- sere legati a questa formidabile memoria collettiva».

Risposta di Levy: «Di certo non è un concetto di mia invenzione. In un certo modo è l'invenzione propria dell'umanità. Cos'è la cultura? E' la dimensione collettiva dell'intelligenza e poiché posse- diamo questa intelligenza collettiva siamo degli esseri umani; l'intelligenza collettiva è data dalla memoria collettiva, da un immaginario collettivo. Siamo quel che siamo grazie all'esistenza delle istituzioni, delle tecniche, dei linguaggi, dei sistemi di simboli, dei mezzi di comunicazione. Questo è il livello più generale dell'intelligenza collettiva e la nostra intelligenza individuale è totalmente infiltrata dall'intelligenza collettiva; non saremmo intelligenti se non usassimo il linguaggio, se non fossimo stati allevati in una certa cultura. Insisto molto sul fatto che per me l'intelligenza collettiva umana è molto diversa dall'intelligenza collettiva delle formiche o delle api. Un formicaio è intelli- gente ma non lo è una formica; essa non è più intelligente quando il formicaio diventa più intelli- gente mentre quanto più l'essere umano vive in una cultura ricca tanto più lo spirito individuale si arricchisce. Esiste, perciò, una dimensione olografica nell'intelligenza collettiva; in fin dei conti, quello che mi interessa è l'arricchimento di una persona. Se una persona partecipasse all'intelli- genza collettiva, tale esperienza dovrebbe consistere in un esperienza di emancipazione, non signi- fica affatto essere rinchiuso in qualcosa di unificatore. Esiste un'altra dimensione molto importante ed è l'intelligenza collettiva come progetto. Quando si legge ciò che hanno scritto le persone che hanno inventato Internet, che hanno messo a punto i primi forum elettronici - persone come Ted Nelson e Douglas Engelbart che hanno inventato il mouse, il multi phone o come Tim Berners-Lee che ha inventato il WWW -, pur non impiegando, nei loro scritti, la parola esatta di "intelligenza collettiva", è esattamente quello che vogliono dire. Queste persone si sono chieste quale fosse il mi- gliore utilizzo di tutte le tecnologie interattive digitali, nella volontà di aumentare l'intelligenza dei gruppi, di mettere in sinergia le memorie, le immaginazioni, le competenze e di fare funzionare tut- to questo in quel preciso modo. Era un progetto originale all'epoca. Non dobbiamo dimenticare che il grande progetto mitico dell'informatica per molto tempo è stato lo sviluppo dell'intelligenza arti- ficiale, non era né il progetto di Ted Nelson né quello di Douglas Engelbart o di chi lavorò su i fo-

rum elettronici. Loro hanno detto no allo sviluppo dell'intelligenza artificiale, l'importante è l'intel- ligenza collettiva. Un ultimo nodo che vorrei affrontare è quello che riguarda la questione politica. Con Internet possiamo finalmente renderci conto che non possiamo avere accesso a tutto. Possiamo toccare questa realtà con il dito, significa che tutto è fuori portata, tutto è non manipolabile e l'intelligenza collettiva è intotalizzabile. Il progetto che ho cercato di formulare all'interno del libro "Intelligenza collettiva" è molto generale, e riguarda un progetto di civilizzazione. Se dovessi rias- sumerlo in poche parole direi: "qual è la principale ricchezza dell'umanità? E' la sua intelligenza, la sua memoria, la sua immaginazione, le sue forze mentali e spirituali." Tutte le sue altre ricchezze derivano da queste prime. Mentre si gestiscono in modo straordinariamente preciso le ricchezze fi- nanziare, le miniere, e sempre più anche le risorse ecologiche, si lasciano deperire incredibilmente le risorse in competenze, in intelligenza. Abbiamo delle forme organizzative che non sono purtrop- po presenti per valorizzarle. Consideriamo l'intelligenza delle persone che sono nella folla: sono totalmente appiattite, negate, inesistenti. Una folla è più stupida di un animale nonostante sia com- posta di esseri umani individualmente molto intelligenti. In un sistema burocratico la folla è un poco meno intelligente che il capo superiore, perché gli esecutori fanno sempre degli errori. Eppu- re esiste una quantità di competenze, di tutte queste persone che formano il sistema burocratico, che non viene valorizzata. Inoltre, partecipare ad un sistema burocratico non è una cosa molto gra- devole per l'individuo, non arricchisce molto, non favorisce lo sviluppo personale. Inventiamo, dunque, dei modi di organizzazione che mettano in valore le intelligenze, le loro differenze, molti- plichiamo le intelligenze le une con le altre invece di farle sottrarre o dividere. Le tecnologie sono un mezzo per realizzare questo progetto; tuttavia, conta il progetto ha priorità rispetto al mezzo tecnologico. Essenzialmente, si tratta di un progetto umanista nella sua essenza. In seguito potrà avere un miliardo di forme, potrà essere utilizzato per gli affari, per metodi di management, per l'educazione, per l'apprendimento cooperativo, all'interno di una prospettiva artistica, politica o per una democrazia più partecipativa. Il punto capitale, per me, dell'intelligenza collettiva non è l'insieme del collettivo, ma è l'idea di ottimizzazione della ricchezza capitale, del vero capitale».

21. Nella società dell'informazione, cosa dire riguardo alla privacy?

Risposta di Levy: «Da questo punto di vista non c'è nulla da temere visto che abbiamo già il peg- gio! In ogni caso, già esistono dei software che percorrono la rete senza tregua e che registrano tut- to quello che succede nel Web o nei newsgroup. Tutto viene analizzato sistematicamente e riportato in immense banche dati dei servizi segreti americani. Mi chiedo cosa facciano di tutte queste infor- mazioni! Bisogna anche sapere che un individuo medio generalmente esiste in più di duecento schede nominative. Oggi esistono metodi per recuperare queste diverse schede, anche se, ovvia- mente, le legislazioni nazionali cercano di impedirlo. Tutto ciò già esiste e mi chiedo cosa cambierà per noi. Solo con le carte di credito possiamo sapere tutto ciò che si compra registrando gli sposta- menti dell'utente sul WWW e leggendo la posta elettronica. C'è un modo di rendere l'individuo com- pletamente trasparente, molto più di prima, e di questo bisogna esserne veramente coscienti. Ecco perché, innanzi tutto, bisogna tenere duro sull'aspetto legale. Sul piano tecnico siamo completa- mente trasparenti e l'individuo deve essere assolutamente protetto legalmente. D'altra parte, ci sono delle possibilità tecniche per proteggere la vita privata come con i sistemi di criptaggio; io sono d'accordo per lo sviluppo e la libertà di utilizzo di questi sistemi che fanno, in qualche modo, da contrappeso allo straordinario potere di coloro che potrebbero avere tutta l'informazione dispo- nibile di un individuo».

Risposta di De Kerckhove: «Esiste il diritto di avere una vita privata. Il diritto ad una coscienza privata è stato oggetto di lotte, di guerre di religione monumentali, e la lotta per ottenerlo ha pro- dotto centinaia di milioni di morti. La tolleranza ed il principio della tolleranza era quello di la- sciare la pace agli individui per un pensiero privato, e libero. Questo pensiero privato l'abbiamo acquisito con il nostro sangue, in un certo modo, nel corso della storia. Non vedo la ragione per abbandonarlo! Conosciamo bene la collettività e l'individualità ma ciò che conosciamo meno bene

  • Formazione urgente allo sviluppo delle competenze: bisogna saper costruire le proprie pagi- ne Internet, anche se per questo esistono i webmaster.
  • Oggi dobbiamo pensare che abbiamo una nuova penna elettronica.
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De Kerckhove sintesi

Corso: Psicotecnologie e processi formativi (nuova edizione)

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Corso di “Psicotecnologie e Processi Formativi”
appunti in domande e risposte sulle lezioni di Derrick De Kerckhove
a cura dello studente Francesco Galgani
I seguenti appunti sono principalmente basati su interviste a De Kerckhove, articoli e saggi liberamente consultabili in
Rete. Non ho riportato una bibliografia, comunque nel forum di “Psicotecnologie e processi formativi”, all'interno del
Cyberspazio Didattico, ho fatto numerosi interventi segnalando via via pagine web o video particolarmente interessanti
per lo studio. In questi appunti sono comprese anche le mie risposte alle domande di ammissione all'esame.
1. Il 2011 è stato un anno di numerose celebrazioni per il centenario della nascita di Herbert
Marshall McLuhan, nato il 21 luglio 1911. Per cosa egli è noto?
Noto per i suoi studi sull’impatto della tecnologia sulla cultura, resi celebri in tutto il mondo attra-
verso alcuni noti aforismi e concetti tra cui “Il medium è il messaggio” e il “Villaggio Globale”,
McLuhan è oggi considerato un precursore del suo tempo e un grande interprete del nostro per il
suo enorme contributo teorico nell’ambito di media, comunicazione e tecnologia e della loro in-
fluenza sulla psiche umana, sulle dinamiche sociali, sulle arti, sulla letteratura, sulla formazione, sul
lavoro e sull’economia.
Considerato “l’oracolo dell’era elettronica” e “lo scrittore più provocatorio e controverso
della sua generazione” (Culkin), McLuhan è indubbiamente uno dei massimi pensatori del XX se-
colo ma, allo stesso tempo, uno dei meno compresi. Le sue ricerche sono state un punto di riferi-
mento fondamentale per il gruppo di studiosi che fa capo alla scuola di Toronto e per tutte le analisi
successive sulle comunicazioni di massa.
Nell’opinione comune la figura di Marshall McLuhan è nota soprattutto per espressioni
come “villaggio globale” o “galassia Gutenberg”. Quelli che possono sembrare semplici slogan
sono frutto, in realtà, delle prime vere e proprie teorie delle comunicazioni di massa, che fanno capo
alla figura del sociologo canadese.
La riflessione di McLuhan è raccolta nei suoi scritti, pubblicati a partire dagli anni Cinquan-
ta: in quel periodo l’America e il mondo attraversano una profonda trasformazione economica e cul-
turale e si afferma un medium centrale come la televisione. McLuhan è inizialmente docente di
letteratura inglese negli atenei statunitensi, ma ben presto inizia a interessarsi agli effetti della
comunicazione sui comportamenti individuali e collettivi, di cui parla durante le lezioni e nelle
sue pubblicazioni. Poi, nel 1963, diventa direttore del Centre for culture and technology dell’uni-
versità di Toronto.
In uno dei suoi primi testi, la Galassia Gutenberg (1962), egli analizza proprio le conse-
guenze dell’introduzione della stampa, che ha accentuato tutte le caratteristiche della cultura alfabe-
tica, incentrata unicamente sulla vista. In questo periodo inizia a emergere la teoria del determini-
smo tecnologico, per cui una società è profondamente condizionata dal tipo di tecnologia che la
contraddistingue.
Per McLuhan il mezzo di comunicazione ha un ruolo centrale, è addirittura il messaggio
stesso, come afferma in un libro del 1976: i media, cioè, non sono neutrali e non sono semplicemen-
te veicolo di un contenuto, ma influenzano sia l’esperienza sensoriale che il pensiero dell’utente.
Esistono, in particolare, media “freddi”, o a bassa definizione, che richiedono un’alta partecipazio-
ne da parte del fruitore, e media “caldi”, con un’alta definizione, e che quindi non necessitano di
una forte interazione dell’utente. Un esempio di medium “caldo” è, per McLuhan, la televisione dal
punto di visto del telespettatore. De Kerckhove afferma: «Medium freddo, secondo McLuhan, era
quel tipo di modello di comunicazione a bassa definizione, cioè un po' rarefatto e che, per sua natu-
ra, invita l'ascoltatore a introdursi dentro l'informazione in modo da poterla metabolizzare come
propria. Per esempio un medium senz'altro freddo, sia pure nell'ambito di un mezzo caldo quale è
la stampa, è stata la poesia, la poesia che ha tutte quelle rarefazioni, quelle allusioni, quelle ambi-
guità che obbligano proprio il lettore a entrarvi dentro. Medium freddo è anche la televisione, so-
prattutto quella televisione che invita in un certo modo a completare il circolo di coloro che vi sono
presenti. Pensiamo per esempio al Talk Show, in cui noi siamo presenti come uno dei componenti