Passa al documento
Questo è un documento Premium. Alcuni documenti su Studocu sono Premium. Passa a Premium per sbloccarne la visualizzazione.

L’ETÀ Giolittiana - riassunto libro e appunti

riassunto libro e appunti
Materia

Storia (Classico)

922 Documenti
Gli studenti hanno condiviso 922 documenti in questo corso
Corso di laureaAnno

Liceo

5
Anno accademico: 2018/2019
Caricato da:
Studente anonimo
Questo documento è stato caricato da uno studente come te che ha optato per l'anonimità.
Università degli Studi di Trieste

Commenti

accedi o registrati per pubblicare commenti.

Studylists correlate

StoriaSTORIAstoria

Anteprima del testo

L’ETÀ GIOLITTIANA (1901-1914)

Anche quando Giolitti non fu presidente del consiglio dei ministri esercitò comunque un’influenza autorevole sulla sfera politica italiana. Era solito abbandonare nei momenti di crisi il potere nelle mani di uomini di fiducia o di avversari politici. Una volta dimostrata la loro incapacità nella gestione del potere, tornava al governo. Attraverso la figura di Depretis delinea il suo ideale di politico: un politico doveva avere buon senso, doveva essere deciso e fermo nelle scelte, affrontare i problemi anche con ironia ed essere anche dotato di furbizia.

L’età giolittiana coincise con il decollo della rivoluzione industriale in Italia, soprattutto nel triangolo industriale, formato da Torino, Milano e Genova. I progressi più evidenti si registrarono nell’industria siderurgica, in quella elettrica e nell’industria automobilistica con la nascita della FIAT, della Lancia e dell’Alfa Romeo. Lo sviluppo economico/industriale fu favorito da 3 condizioni particolari: - COMMESSE STATALI nel campo dei trasporti ferroviari: lo stato dava lavoro alle industrie soprattutto quelle siderurgiche e meccaniche. - POLITICA PROTEZIONISTICA attuata con l’imposizione di alte tasse sui prodotti esteri, che favorì lo sviluppo industriale al Nord ma danneggiò il commercio dei prodotti tipici del Sud. - BANCHE MISTE che raccoglievano i rasparmi inattivi dei privati e li rimettevano in attività nella produzione industriale. Lo sviluppo industriale portò notevoli miglioramenti nel livello medio della vita degli italiani (es. luce, acqua corrente, gas e trasporti – innovazioni in campo medico sanitario), ma anche nuovi disagi nelle città sempre più affollate, operai costretti a vivere in quartieri malsani e degradati.

All’interno del Partito Socialista italiano si formarono due correnti: - SOCIALISTI RIFORMISTI: guidati da Filippo Turati, ritenevano che si dovesse cambiare la società gradualmente attraverso le riforme. Per raggiungere questo obiettivo era necessario dialogare con le forze governative e partecipare alla vita politica e parlamentare. - SOCIALISTI MASSIMALISTI: guidati da Costantino Lazzari e da Benito Mussolini, ritenevano che per cambiare la società fosse necessario ricorrere alla rivoluzione, senza scendere a patti con i governi borghesi. Giolitti più volte cercò l’appoggio dei riformisti, tanto da invitare a far parte del suo governo lo stesso Turati, che tuttavia non accettò (l’opposizione dei massimalisti era troppo forte).

GIOLITTI, UN POLITIO AMBIGUO Il suo modo di far politica venne definito dal “doppio volto” - Un volto aperto e democratico nell’affrontare i problemi del Nord - Un volto conservatore e corrotto nello sfruttare i problemi del Sud

(in favore dei Socialisti)

Per quanto riguarda il Nord egli consentì gli scioperi MA - gli operai non venivano pagati nel giorno di sciopero - lo sciopero non doveva causare danno agli impianti - gli operai non potevano essere licenziati se scioperavano

facendo assumere al governo una politica neutrale nello scontro fra classi. Varò anche alcune riforme che migliorarono le condizioni di lavoro degli operai: - l’orario di lavoro venne diminuito; massimo 10 ore - venne riorganizzata la cassa nazionale per l’invalidità e la vecchiaia delle persone - venne tutelata la maternità delle lavoratrici e il lavoro dei giovani (età minima 12 anni) - statalizzazione delle ferrovie

La lotta sindacale portò all’aumento dei salari dei lavoratori che poterono acquistare non solo prodotti alimentari, ma anche industriali – conseguenza benessere tipico della società di massa.

L’azione del governo nei confronti del Meridione ebbe invece carattere sporadico, gli interventi vennero spesso affidati a “leggi speciali” per porre rimedio a situazioni particolari. Gran parte del denaro che in questo modo arrivò al Sud alimentò clientele e corruzione. Inoltre, di fronte agli scioperi del Sud, Giolitti non fu affatto neutrale: fece intervenire le forze dell’ordine attuando una dura repressione. Per Giolitti il Sud era un semplice serbatoio di voti da controllare con vari mezzi: - attraverso i prefetti che, per suo ordine, impedivano i comizi degli oppositori del governo - attraverso le forze dell’ordine che arrestavano i sindcalisti - attraverso corruzione, minacce e brogli per far eleggere parlamentari a lui fedeli Per tutto questo Giolitti venne aspramente criticato dall’opposizione (Gaetano Salvemini).

I salari dei lavoratori del Sud, per la scarsa offerta di lavoro e la sovrabbondanza di manodopera, scesero enormemente portando povertà e disoccupazione. Molti contadini meridionali, rimasti disoccupati, si videro costretti a partire in cerca di lavoro verso l’estero. Nel Nord invece, il decollo economico dell’Italia migliorò il livello di vita di una parte della società, ma non fu in grado di assorbire la grande offerta di manodopera proveniente dalle campagne. Anche in questo caso la risposta fu l’emigrazione. Tra il 1900 e il 1914 emigrarono circa 9 milioni di italiani principalmente verso il nord Europa (in Francia ci fu una grande intolleranza verso gli italiani, accusati di “rubare lavoro” ai francesi e di abbassare il livello dei salari in quanto si accontentavano di paghe inferiori), gli Stati Uniti e alcuni paesi dell’America del Sud. L’emigrazione fu un fenomeno doloroso, che tuttavia concorse ad aumentare la ricchezza del nostro paese: gli emigrati, infatti, inviavano alla loro famiglia in Italia

culturali europee dell’epoca, con particolare riferimento al clima antipositivistico e irrazionalista diffusosi alla fine dell’800. Tuttavia furono pochi gli scrittori italiani in grado di imporsi a livello internazionale, mentre per molti la fama non varcò i confini del paese.

Gabriele D’Annunzio divenne uno dei protagonisti della vita culturale italiana dell’epoca, grazie alle sue opere letterarie ma anche a una sapiente regia delle proprie azioni per poter essere sempre al centro dell’attenzione, atteggiamento chiamato dannunzianesimo. Egli interpretò in modo superficiale la dottrina del “superuomo” espressa da Nietzsche: per D’Annunzio, il “superuomo” è un uomo superiore, che vive una vita “impossibile” e “incredibile” agli occhi delle masse. Per Nietzsche invece è colui che va oltre l’uomo, il prefisso uber viene tradotto in italiano con super, ma significa oltre: il superuomo è colui che va “al di la del male e del bene” ritrovando così la natura originaria dell’uomo. Nonostante la società dei mass media fosse agli esordi, D’Annunzio seppe reclamizzare e ben amministrare il mito creato attorno a sé, influenzando larghi strati della società italiana che vagheggiavano quel suo modello di vita inimitabile. Inoltre fu tra i primi intellettuali italiani a intuire il nuovo carattere di spettacolarità e mercificazione della società contemporanea per sfruttare le opportunità, senza mai rinunciare alla ricerca del piacere come principale scopo della vita.

Medico e psichiatra, Cesare Lombroso fu l’inventore dell’antropologia criminale, una disciplina che tentava di applicare il metodo scientifico ai comportamenti umani, in particolare a quelli criminali. Il suo “Trattato antropologico sperimentale dell’uomo delinquente” ebbe un successo clamoroso e fu oggetto di ristampe e traduzioni. Per Lombroso esistono due tipi di delinquenti: - “delinquente nato”, nel quale si trovano tutte le anomalie involutive e nel quale il comportamento criminale è insito per natura - “delinquente d’occasione”, recuperabile perché portato al delitto da fattori esterni e non congeniti. I delinquenti nati, dunque, delinquono per le loro innate tendenze malvagie. Il successo di questa teoria durò finché Lombroso visse. Ma quando nel 1909 morì, i suoi libri e le sue teorie furono presto dimenticati. La psichiatria, infatti, scartò ben presto e con decisione l’approccio lombrosiano al fenomeno della delinquenza. Venne giudicato non solo infondato scientificamente ma anche pericoloso, in quanto fonte di gravi pregiudizi. Lombroso fu anche fautore della moderna teoria della pena rieducative incentivò per i casi men gravi, le pene alternative al carcere.

Il futurismo fu l’unico movimento d’avanguardia nato in Italia con un respiro internazionale. L’atto di nascita è il “Manifesto del futurismo” pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti il 20 febbraio 1909 sul giornale “Le Figaro” di Parigi. L’ideologia che il “Manifesto” voleva esprimere era l’aggressività e la violenza distruttiva nei confronti di tutto il passato e di ciò che lo appresentava. Al contrario celebrava l’amore per il pericolo, la ribellione, la guerra “sola igiene del mondo”. Il futurismo esaltava la nuova civiltà della macchina, cercava di stringere sensazioni

nuove dal mondo della scienza e della tecnica, come l’ebbrezza per la velocità, rifiutava il mondo dell’interiorità. I futuristi si ponevano, dal punto di vista politico, a destra.

Questo documento è stato utile?
Questo è un documento Premium. Alcuni documenti su Studocu sono Premium. Passa a Premium per sbloccarne la visualizzazione.

L’ETÀ Giolittiana - riassunto libro e appunti

Materia: Storia (Classico)

922 Documenti
Gli studenti hanno condiviso 922 documenti in questo corso
Corso di laureaAnno:

Liceo

5
Questo documento è stato utile?
L’ETÀ GIOLITTIANA (1901-1914)
Anche quando Giolitti non fu presidente del consiglio dei ministri esercitò comunque
un’influenza autorevole sulla sfera politica italiana.
Era solito abbandonare nei momenti di crisi il potere nelle mani di uomini di fiducia o
di avversari politici. Una volta dimostrata la loro incapacità nella gestione del potere,
tornava al governo.
Attraverso la figura di Depretis delinea il suo ideale di politico: un politico doveva
avere buon senso, doveva essere deciso e fermo nelle scelte, affrontare i problemi
anche con ironia ed essere anche dotato di furbizia.
L’età giolittiana coincise con il decollo della rivoluzione industriale in Italia,
soprattutto nel triangolo industriale, formato da Torino, Milano e Genova. I progressi
più evidenti si registrarono nell’industria siderurgica, in quella elettrica e
nell’industria automobilistica con la nascita della FIAT, della Lancia e dell’Alfa
Romeo. Lo sviluppo economico/industriale fu favorito da 3 condizioni particolari:
COMMESSE STATALI nel campo dei trasporti ferroviari: lo stato dava lavoro
alle industrie soprattutto quelle siderurgiche e meccaniche.
POLITICA PROTEZIONISTICA attuata con l’imposizione di alte tasse sui
prodotti esteri, che favorì lo sviluppo industriale al Nord ma danneggiò il
commercio dei prodotti tipici del Sud.
BANCHE MISTE che raccoglievano i rasparmi inattivi dei privati e li
rimettevano in attività nella produzione industriale.
Lo sviluppo industriale portò notevoli miglioramenti nel livello medio della vita degli
italiani (es. luce, acqua corrente, gas e trasporti innovazioni in campo medico
sanitario), ma anche nuovi disagi nelle città sempre più affollate, operai costretti a
vivere in quartieri malsani e degradati.
All’interno del Partito Socialista italiano si formarono due correnti:
SOCIALISTI RIFORMISTI: guidati da Filippo Turati, ritenevano che si dovesse
cambiare la società gradualmente attraverso le riforme. Per raggiungere
questo obiettivo era necessario dialogare con le forze governative e
partecipare alla vita politica e parlamentare.
SOCIALISTI MASSIMALISTI: guidati da Costantino Lazzari e da Benito
Mussolini, ritenevano che per cambiare la società fosse necessario ricorrere
alla rivoluzione, senza scendere a patti con i governi borghesi.
Giolitti più volte cercò l’appoggio dei riformisti, tanto da invitare a far parte del suo
governo lo stesso Turati, che tuttavia non accettò (l’opposizione dei massimalisti era
troppo forte).
GIOLITTI, UN POLITIO AMBIGUO
Il suo modo di far politica venne definito dal “doppio volto”
Un volto aperto e democratico nell’affrontare i problemi del Nord
Un volto conservatore e corrotto nello sfruttare i problemi del Sud
(in favore dei Socialisti)