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Riassunto La banalita del male

Corso

Storia contemporanea (1025369)

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Anno accademico: 2016/2017
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Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma

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La banalità del male

L’opera fu pubblicata nel 1963, da Hannah Arendt corrispondente per il settimanale New Yorker, e riporta il resoconto del processo ad Adolf Eichmann, gerarca nazista catturato nel 1960 e processato a Gerusalemme nel 1961, condannato a morte nello stesso anno mentre l’esecuzione per impiccagione avvenne il 31 maggio del 1962. Il processo provocò non poche polemiche. In primo luogo, Eichmann non fu mai arrestato legalmente, fu catturato e rapito dai servizi segreti israeliani in territorio argentino, nonostante godesse dell’asilo politico; trasportato clandestinamente in Israele contro la volontà dell’Argentina. In secondo luogo, fu processato per crimini contro l’umanità dallo Stato d’Israele, che non poté costituirsi parte civile poiché all’epoca dei fatti ancora non esisteva. Infine, venne processato dallo Stato d’Israele per crimini all’umanità che svenivano considerati crimini contro al popolo ebraico e per questo contro qualunque diritto penale, dato che era come se il carnefice fosse giudicato dalle proprie vittime e non da un giudice imparziale. Dal dibattimento in aula, la Arendt ritenne che l’idea del male in Eichmann non fosse dovuto ad un indole maligna, come era per la maggior parte dei tedeschi coinvolti nell’accaduto, ma ad una totale inconsapevolezza del significato delle proprie azioni.

La banalità del male passa in analisi le condizioni sociali del processo, dove secondo l’Arendt fu evidente il tentativo di G. Hausner, il pubblico ministero fortemente influenzato da Ben Gurion, il quale era il primo ministro d’Israele, di porre l’attenzione non sul singolo imputato ma sull’antisemitismo nazista per screditare la credibilità del medio oriente in conflitto con Israele (simpatizzante del nazismo) e di convincere tutti gli ebrei sparsi per il mondo del fatto che Israele fosse l’unico luogo dove poter vedere i propri diritti protetti, salvaguardati. La Arendt, inoltre, critica fortemente il discorso di apertura di Hausner, in modo particolare la frase: non facciamo distinzioni etniche; secondo lei, il processo voleva essere uno spettacolo voluto da Ben Gurion strumentalizzato alla politica del nuovo Stato d’Israele per scovare altri responsabili nazisti. Dopodiché si passa in esame Eichmann, il quale nacque a Solingen in Renania, nel 1906. Eichmann non fu mai un brillante studente, infatti suo padre lo ritirò presto dalle scuole superiore e dalla scuola d’avviamento professionale, facendolo lavorare come minatore nella sua compagnia fino a quando non gli trovò un nuovo lavoro presso una compagnia elettro-tranviaria austriaca. Successivamente, suo zio (sposato con un ebrea) convinse un suo amico, presidente della Vacuum un importante compagnia petrolifera austriaca ad assumere Eichmann come rappresentante. Nel 1932 entrò a far parte del partito nazista austriaco senza molta convinzione e su consiglio dell’amico Ernst Kaltenbrunner, non conosceva nulla del partito né mai aveva letto il Mein Kampf; giustificava il proprio interesse politico non accettando le condizioni imposte dal Trattato di Versailles (1919) alla Germania: motivazione generica che gli avrebbe consentito di entrare in qualsiasi partito poiché era opinione diffusa fra i tedeschi che le condizioni imposte fossero state fin troppo punitive. Quando il partito divenne illegale, tornò in Germania e qui grazie ad un ufficiale fu spinto alla carriera militare. Dalle linee generali della sua vita, è chiaro che Eichmann non aveva la personalità di un efferato criminale, ma di un uomo semplice che rasentava la mediocrità; nel corso della sua vita non ebbe mai spirito di iniziativa, o spessore morale e fu sempre condizionato prima dal padre, poi dalle amicizie e dalle condizioni imposte dalla società in cui viveva.

La carriera di Eichmann

L’idea della personalità di Eichmann, tracciata dalla Arendt, trova conferma in quelle che furono le motivazione che lo spinsero ad arruolarsi nelle SS: lui confuse quello che era il servizio di sicurezza delle SS con il servizio di sicurezza del partito, pensò di essere stato assegnato al servizio di scorta delle alte autorità del partito. Passò quattro mesi a lavorare di malavoglia presso l’ufficio di raccolta informazioni sui massoni, poi fu trasferito all’ufficio corrispondente che si occupava degli ebrei. Gli fu regalato Lo Stato ebraico di Theodor Herzl, che fu il suo primo libro che lesse avidamente, imparò la lingua yiddish e successivamente lesse di sua volontà La storia del sionismo di A. Bohm: questa cultura gli procurò la nomina di “esperto in questioni ebraiche”.

Un contesto come quello delle leggi razziali del 1935 (che dagli ebrei furono viste solo come una regolamentazione di procedure già in uso da tempo) Eichmann si proponeva di aiutare gli Ebrei ad avere un loro territorio, organizzandone l’emigrazione forzata. Si riteneva un idealista realista: pensava di poter conciliare il desiderio del partito (di liberare la Germania dagli ebrei) e quello del popolo ebraico (di avere un loro territorio). Quindi, rubò l’iniziativa ad un suo superiore (?) cercando di risolvere i problemi inerenti all’emigrazione: l’ebreo emigrante doveva procurarsi numerosi permessi per l’espatrio da diversi uffici, ma questi avevano una breve durata difatti scadevano prima che l’ebreo potesse concludere la trafila burocratica. Eichmann creò un istituto in cui riunire i rappresentanti di ogni ufficio addetto al rilascio dei documenti così da abbreviare i tempi, oltre che dotare gli ebrei della valuta straniera necessario nel paese destinatario, grazie ad accordi con i capi delle comunità ebraiche.

Il profilo tracciato dall’autrice, vede Eichmann come un uomo mediocre, che per sfuggire alla propria mediocrità si attribuisce meriti altrui; un modo di fare che lo mise nei guai quando rilasciò un intervista ad un giornalista (ex SS) Willem Sassen, dichiarando di essere stufo della vita nulla da meccanico in Argentina e di esser felice di poter rivivere i giorni in cui si sentiva realizzato. Il quadro generale è aggravato dalla sua propensione a parlare per frasi fatte (che diventano clichés ripetendole in più occasioni) e dalla sua incoerenza, dimostrata sin dai primi giorni del processo: dichiarò di non voler assolutamente giurare ma alla prima udienza, quando gli venne chiesto, decise di deporre sotto giuramento. Non si rendeva conto delle sue parole e non capiva gli altri come quando dichiarò di essere stato un salvatore per il popolo ebraico, poiché grazie a lui migliaia di ebrei avevano scampato una morte certa. La cronica mancanza di memoria gli risultò fatale poiché non gli permetteva di difendersi adeguatamente dalle accuse: Eichmann ricordava solo gli stati d’animo, l’esaltazione delle frasi pronunciate in determinate circostanze ma non l’ordine cronologico degli avvenimenti. Non dimenticò mai le promozioni avuto dal 37-41 fino a quando divenne comandante del centro di emigrazione berlinese che lui ricorda come una condanna poiché nel 1941, in piena guerra non si parlava più di espellere gli ebrei.

Era un uomo di bassa cultura e bassa estrazione sociale, che però fu sempre zelante nel lavoro, non per ideologia ma per compiacere i propri superiori e avere riconoscimenti. Trovatosi ad organizzare l’emigrazione in piena guerra, cercò di realizzare gli ordini del Fuhrer ovvero liberare la Germania dagli ebrei, cercando di spostarli tutti nella parte orientale della Polonia, però a causa delle resistenze

La sentenza lo riconobbe responsabile di crimini contro gli ebrei (favorendone lo sterminio, facendoli vivere in condizioni che avrebbero portato alla morte, causando danni psicologici) e crimini contro l’umanità. Fu accettata la tesi secondo cui egli avrebbe solo reso possibile lo sterminio, ma non lo avrebbe reso in atto personalmente. Questo è un punto fondamentale per capire come sia stato possibile l’olocausto, secondo la Arendt: nessuno era responsabile, o meglio nessuno si sentiva responsabile, tutti facevano solo il proprio lavoro. Eichmann stesso si sentì vittima di un’ingiustizia ed era convinto di star pagando per le colpe degli altri poiché lui era solo un burocrate che faceva il proprio lavoro. Dopo la sentenza di morte ci fu un altro appello, il quale servì a poco, la corte d’appello infatti lo ritenne “organizzatore di tutti i crimini” sebbene fosse stato un semplice burocrate. Ci fu una nuova condanna a morte, dove Eichmann, contraddicendosi per l’ultima volta, affermò di essere un Gottglaubiger (credente in Dio, ma che non segue la religione cristiana e non crede alla vita dopo la morte) per poi congedarsi con un “Tra beve signori, ci rivedremo. Questo è il destino di tutti; viva la Germania, viva l’Argentina, viva l’Austria, non le dimenticherò!”. Secondo la Arendt, in queste ultime parole c’è il più puro Eichmann, e la spiegazione di come il nazismo abbia potuto insinuare le sue barbarie: sfruttando la propensione della società, fatta di uomini normali come Eichmann, un uomo che recitò la parte di se stesso pur di sentirsi glorificato e che in quegli ultimi minuti ricapitolò la lezione spaventosa e inimmaginabile della banalità del male di quel lungo viaggio che la malvagità umana aveva insegnato.

Secondo l’autrice la sentenza non fu del tutto soddisfacente, sebbene la conclusione sia stata giusta, nell’ottica che quanto successo possa ripetersi si sarebbe dovuto finalmente definire un soddisfacente motivo per cui Eichmann sia stato condannato. Con la sentenza si fece quanto dovuto con mezzi sbagliati, non definendo veramente quel che Eichmann aveva fatto. Questo processo diede a molti la possibilità di riflettere sulla natura umana e i movimenti del presente: Eichmann tutto era tranne che anormale, e questa era la sua dote più spaventosa, quel che diceva e il modo in cui lo diceva disegnavano una persona che sarebbe potuta essere chiunque. Chiunque poteva essere come lui, senza idee, poco intelligente e senza rendersi conto di quel che stava facendo; solo una persona totalmente immersa nella realtà che aveva davanti: lavorare, cercare una promozione o riordinare numeri. Questa lontananza dalla realtà e la mancanza di idee sono il presupposto fondamentale della tentazione totalitaria, rendendo l’uomo meno di un ingranaggio in una macchina e uno strumento da utilizzare a proprio piacimento.

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La banalità del male
Lopera fu pubblicata nel 1963, da Hannah Arendt corrispondente per il settimanale New Yorker, e
riporta il resoconto del processo ad Adolf Eichmann, gerarca nazista catturato nel 1960 e processato
a Gerusalemme nel 1961, condannato a morte nello stesso anno mentre lesecuzione per
impiccagione avvenne il 31 maggio del 1962. Il processo provocò non poche polemiche. In primo
luogo, Eichmann non fu mai arrestato legalmente, fu catturato e rapito dai servizi segreti israeliani
in territorio argentino, nonostante godesse dellasilo politico; trasportato clandestinamente in
Israele contro la volontà dellArgentina. In secondo luogo, fu processato per crimini contro
lumanità dallo Stato dIsraele, che non poté costituirsi parte civile poiché allepoca dei fatti ancora
non esisteva. Infine, venne processato dallo Stato dIsraele per crimini allumanità che svenivano
considerati crimini contro al popolo ebraico e per questo contro qualunque diritto penale, dato che
era come se il carnefice fosse giudicato dalle proprie vittime e non da un giudice imparziale. Dal
dibattimento in aula, la Arendt ritenne che lidea del male in Eichmann non fosse dovuto ad un
indole maligna, come era per la maggior parte dei tedeschi coinvolti nellaccaduto, ma ad una
totale inconsapevolezza del significato delle proprie azioni.
La banalità del male passa in analisi le condizioni sociali del processo, dove secondo lArendt fu
evidente il tentativo di G. Hausner, il pubblico ministero fortemente influenzato da Ben Gurion, il
quale era il primo ministro dIsraele, di porre lattenzione non sul singolo imputato ma
sullantisemitismo nazista per screditare la credibilità del medio oriente in conflitto con Israele
(simpatizzante del nazismo) e di convincere tutti gli ebrei sparsi per il mondo del fatto che Israele
fosse lunico luogo dove poter vedere i propri diritti protetti, salvaguardati. La Arendt, inoltre,
critica fortemente il discorso di apertura di Hausner, in modo particolare la frase: non facciamo
distinzioni etniche; secondo lei, il processo voleva essere uno spettacolo voluto da Ben Gurion
strumentalizzato alla politica del nuovo Stato dIsraele per scovare altri responsabili nazisti.
Dopodiché si passa in esame Eichmann, il quale nacque a Solingen in Renania, nel 1906. Eichmann
non fu mai un brillante studente, infatti suo padre lo ritirò presto dalle scuole superiore e dalla
scuola davviamento professionale, facendolo lavorare come minatore nella sua compagnia fino a
quando non gli trovò un nuovo lavoro presso una compagnia elettro-tranviaria austriaca.
Successivamente, suo zio (sposato con un ebrea) convinse un suo amico, presidente della Vacuum
un importante compagnia petrolifera austriaca ad assumere Eichmann come rappresentante. Nel
1932 entrò a far parte del partito nazista austriaco senza molta convinzione e su consiglio
dellamico Ernst Kaltenbrunner, non conosceva nulla del partito né mai aveva letto il Mein Kampf;
giustificava il proprio interesse politico non accettando le condizioni imposte dal Trattato di
Versailles (1919) alla Germania: motivazione generica che gli avrebbe consentito di entrare in
qualsiasi partito poiché era opinione diffusa fra i tedeschi che le condizioni imposte fossero state fin
troppo punitive. Quando il partito divenne illegale, tornò in Germania e qui grazie ad un ufficiale
fu spinto alla carriera militare. Dalle linee generali della sua vita, è chiaro che Eichmann non aveva
la personalità di un efferato criminale, ma di un uomo semplice che rasentava la mediocrità; nel
corso della sua vita non ebbe mai spirito di iniziativa, o spessore morale e fu sempre condizionato
prima dal padre, poi dalle amicizie e dalle condizioni imposte dalla società in cui viveva.
La carriera di Eichmann
Lidea della personalità di Eichmann, tracciata dalla Arendt, trova conferma in quelle che furono le
motivazione che lo spinsero ad arruolarsi nelle SS: lui confuse quello che era il servizio di sicurezza
delle SS con il servizio di sicurezza del partito, pensò di essere stato assegnato al servizio di scorta

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