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Bismrk - riassunto Bismark

riassunto Bismark
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Storia Contemporanea

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Università Cattolica del Sacro Cuore

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BISMRK (prima del 1915)

La politica estera di Bismarck fu caratterizzata dal tentativo di mantenere lo status quo degli assetti europei, finalizzato prima di tutto a salvaguardare l’unità tedesca di fronte alle rivendicazioni territoriali e alle smanie espansionistiche degli altri paesi europei. Quindi, in tal senso, il cancelliere tedesco si adoperò per mantenere la pace, assumendo così il ruolo di diplomatico e di mediatore In particolare Bismarck cercò di tenere sotto controllo la Francia che, dopo la sua guerra con la Germania, nel 1870, e la sua sconfitta con la conseguente perdita di Alsazia e Lorena, aveva sempre coltivato il desiderio di una riconquista di questi territori (tendenze revansciste). Allo stato attuale delle cose, l’unica potenza in grado di fronteggiare la Prussia, fatta eccezione per la Francia, era l’Inghilterra, che però non costituiva una minaccia, essendo più interessata alla politica coloniale, che a quella continentale; la Russia, invece, disponeva di un esercito troppo poco cospicuo; e infine l’Austria, era indebolita dalla frammentazione etnica, e non si sarebbe schierata contro la Germania, dalla quale proveniva l’aiuto nella questione balcanica.

Otto von Bismarck fu Primo ministro della Prussia e poi Cancelliere dell’Impero tedesco dal 1862 al 1890. Nel panorama della politica europea dell’800, la figura di Bismarck si staglia come un gigante in grado di coprire con la sua ombra tutte le altre: il “Cancelliere di ferro” - questo il suo soprannome - fu in grado di stravolgere la politica europea e di condizionarne l’andamento per quasi mezzo secolo con la sua sola presenza e con le sue qualità di grande diplomatico e di politico scaltro e spregiudicato. Sotto la sua guida, e grazie alla sua abilità, la Germania raggiunse l’agognata unificazione nazionale nel 1871 ; in questa e in altre circostanze Bismarck dimostrò tutta l’efficacia della sua realpolitik; Bismarck si impose soprattutto come uomo politico di idee fortemente conservatrici e autoritarie, impegnando tutti i mezzi a sua disposizione per il raggiungimento degli obiettivi che nel corso del tempo si prefissò, verso la direzione ultima di rendere grande la Germania attraverso l’espressione di una politica di potenza nazionale.

Approfondisci Moti rivoluzionari in Italia e in Europa nel 1848: cause, protagonisti e conseguenze

Nel 1847 Bismarck partecipa agli Stati provinciali, assemblea locale dove si guadagna una crescente notorietà tra i conservatori reazionari; l’anno seguente la Prussia, come gran parte delle nazioni europee, viene interessata dai moti rivoluzionari, che vedono Bismarck in prima linea tra i politici ostili a qualunque cambiamento sociale. Alla fine del 1848 Bismarck si guadagna un posto nel parlamento nazionale prima di ricevere il primo incarico diplomatico andando a rappresentare la Prussia in seno alla Confederazione germanica. Nel 1859 però l’ascesa al trono prussiano di Guglielmo I, ostile alle idee reazionarie, fanno sì che Bismarck interrompa il suo incarico, venendo inviato prima a S. Pietroburgo e poi a Parigi come diplomatico. Tuttavia nel settembre del 1862 è lo stesso Guglielmo I a richiamare urgentemente Bismarck nella capitale: a Berlino è in corso una difficile crisi politica vista l’opposizione del parlamento prussiano alla riforma dell’esercito e Guglielmo I ritiene che solo Bismarck abbia l’autorità e la fermezza per risolvere la situazione. Nominato primo ministro, Bismarck si imporrà sul parlamento portandolo allo scioglimento e varando la contestata riforma voluta dal sovrano, mentre lui stesso manterrà la carica ottenuta, conservando il potere per i successivi 28 anni.

Approfondisci L’unificazione tedesca del 1871: dalla Prussia di Federico il Grande a Otto von Bismarck

Divenuto Primo ministro prussiano, Bismarck individuò da subito come principale obiettivo della sua politica il raggiungimento dell’unificazione tedesca, rendendo chiari, con la metafora del “sangue e ferro” - ovvero con una decisa politica estera di espansione militare - i mezzi con il quale avrebbe ottenuto il risultato e sconfitto i suoi nemici. Ad ostacolare i piani del Cancelliere erano soprattutto l’Austria e la Francia, da sempre ostili alla formazione di uno Stato unitario di lingua tedesca, mentre ad appoggiare l’ambiziosa politica di Bismarck erano sia gli Junker che una nuova borghesia prussiana legata al forte sviluppo industriale di quegli anni. La prima contesa territoriale avvenne nel 1864 con la Danimarca per il controllo di due ducati a maggioranza tedeschi: Schleswig e Holstein. Ottenuta una rapida vittoria militare, Bismarck dimostrò subito che oltre all’uso della forza era in grado di utilizzare in modo spregiudicato la diplomazia, prima alleandosi con l’Austria e poi provocando la potenza asburgica sulla questione del controllo dei nuovi territori in modo da creare un casus belli per il futuro conflitto tra le due potenze.

Lo scontro tra Austria e Prussia si consumò nel 1866; ancora una volta l’abilità diplomatica di Bismarck fu decisiva nel portare dalla sua parte il neonato stato italiano, interessato ad annettere ai suoi territori il Veneto sotto il controllo austriaco. La guerra scoppiata nel giugno dello stesso anno durò appena 15 giorni, con la perfetta macchina militare prussiana che riuscì a sconfiggere duramente gli austriaci nella battaglia di Sadowa. A questo punto la vecchia confederazione tedesca a guida austriaca venne sostituita da una nuova confederazione a guida prussiana. L’ultimo ostacolo per l’unificazione tedesca era rimasta la Francia di Napoleone III, fino a quel momento rimasta neutrale ma sempre più preoccupata dall'aggressiva politica estera di Bismarck, deciso quanto prima a porre fine con un nuovo conflitto alla questione tedesca. L’opportunità si creò nel 1870 quando la questione della successione al trono spagnolo; nuovamente l’astuzia di Bismarck fu decisiva nel creare le condizioni adatte ad un nuovo successo prussiano.

Il risultato fu raggiunto da Bismarck con il cosiddetto “stratagemma di Ems”: nell’estate del 1870 il Cancelliere rese pubblico un finto dispaccio diplomatico in cui si lasciava intendere che i colloqui diplomatici tra Francia e Prussia fossero stati bruscamente interrotti con un rude congedo dell’ambasciatore francese. Lo stratagemma aveva come obiettivo quello di provocare l’opinione pubblica francese e spingerla verso un conflitto con la Prussia, risultato pienamente ottenuto con la dichiarazione di guerra francese recapitata a Berlino il 19 luglio dello stesso anno.

Forte della macchina bellica prussiana, Bismarck ottenne un nuovo e decisivo successo militare nella guerra franco-prussiana: la sconfitta francese, frutto di numerosi errori strategici, si consumò in particolare nella battaglia di Sedan combattuta tra il 31 agosto e il 2 settembre del 1870, che segnò il crollo dell’impero di Napoleone III. Con l’armistizio siglato nel gennaio del 1871 era così caduto l’ultimo ostacolo al disegno di unificazione nazionale tedesca perseguito da Bismarck. Il 18 gennaio 1871, nella galleria degli specchi di Versailles, con una solenne cerimonia Guglielmo I fu proclamato imperatore di un nuovo stato unitario tedesco, alla cui guida permaneva, nelle vesti di cancelliere, il principale artefice dell’unificazione, ottenuta nel giro di pochissimo tempo con una completa affermazione militare. Il nuovo stato unitario vedeva la partecipazione di tutti gli stati tedeschi a guida prussiana, più quelli rimasti fuori dalla Confederazione del 1866. Nasceva così il Secondo Reich, che Bismarck avrebbe guidato come cancelliere per altri diciannove anni, fino al 1890. Con la nascita dell’Impero tedesco emergeva una nuova potenza nel panorama europeo, in grado di competere sul piano economico e militare con nazioni di più antica fondazione come la Francia e la Gran Bretagna. Bismarck aveva ottenuto il risultato dell’unificazione soprattutto attraverso l’uso della forza, dimostrando tutta l’efficacia di una politica di potenza, ma una volta raggiunto il suo obiettivo inaugurò una nuova fase diplomatica volta all’equilibrio tra potenze e al mantenimento della pace nel vecchio continente.

Approfondisci La Triplice Alleanza: verso la Prima Guerra Mondiale

di quattro milioni di feriti. E poi: distruzioni, ingegni sprecati, menti devastate, disperazione... La rivolta è spontanea, senza nessuna guida ideologica o organizzativa, alimentata dalla fame, dalla delusione della guerra perduta, dalla volontà diffusa di cacciare i responsabili. Alcuni dei rivoluzionari vogliono la democrazia parlamentare, altri un sistema politico come quello russo, tutti vogliono la Repubblica e le dimissioni del Kaiser*. C'è molto idealismo ed entusiasmo, ma non c'è nessuno capace di guidare i tanti focolai rivoluzionari che nascono un po' dappertutto.

*titolo imperiale tedesco

Il 30 settembre il cancelliere Hertling (cancelliere) rassegna le sue dimissioni e la carica viene assunta il 3 ottobre dal principe Max von Baden, un monarchico liberale favorevole alle riforme interne e all'intesa internazionale. L'8 novembre il cancelliere Max von Baden chiede con fermezza all'imperatore di abdicare. Gli operai di Berlino scendono nelle strade e anche il generale Hindenturg e il successore di Ludendorff, il generale Groener, si uniscono alla richiesta avanzata dal cancelliere. Poiché Guglielmo II tergiversa, il Cancelliere nomina suo successore il leader socialdemocratico Friedrich Ebert e annuncia l'abdicazione.

In questo clima ormai assai prossimo alla rivoluzione totale, il 9 novembre 1918 i leader socialdemocratici Friedrich Ebert e Philipp Scheidemann, da un balcone del Reichstag, proclamano la repubblica.

Ebert diventa così il capo del primo governo repubblicano provvisorio di sei membri, tre socialdemocratici e tre indipendenti, che resisterà meno di due mesi. La nascita della Repubblica è salutata dalle potenze vincitrici come l'inizio di una nuova epoca per i tedeschi. Alcuni ritengono prematura la proclamazione della repubblica; secondo Scheidemann però essa giunge appena in tempo per prevenire gli spartachisti che sono pronti a proclamare una repubblica sovietica. La notte stessa il kaiser Guglielmo II fugge in Olanda.

Il governo provvisorio si scioglie il 27 dicembre con le dimissioni degli indipendenti. Nel frattempo in tutto il

paese si sono costituiti dei consigli di operai e soldati (soviet), sul modello sovietico, e gli scioperi si susseguono. La Socialdemocrazia non sa bene se sostenere la rivoluzione o no. Da una parte sostiene alcune delle richieste dei rivoluzionari, dall'altra parte ne era anche piuttosto spaventata. Dopo tanti anni di opposizione è arrivato finalmente il momento di poter governare e all'improvviso si vedono superati a sinistra da una grande massa di rivoluzionari costituita in parte anche da propri sostenitori e militanti. Per la media e l'alta borghesia e per le forze militariste e monarchiche la rivoluzione è invece un vero e proprio choc. Nasce così una strana alleanza tra la socialdemocrazia e le forze militariste della destra più estrema. Nessuna delle due forze ha da sola la forza di placare l'ondata rivoluzionaria. Insieme ci riescono facilmente.

La Germania, anche quella socialista, ha paura della rivoluzione, così la nascita del partito degli spartachisti (i comunisti), il 1° gennaio del '19, è vista con molta preoccupazione. Lo guidano Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, che mirano ad una spontanea sollevazione della classe operaia.

Una sollevazione che non ci sarà, nonostante scioperi e manifestazioni. L'alleanza tra socialdemocratici ed estrema destra è spietata. In un paio di settimane l'esercito entra in azione e il 15 gennaio Luxemburg e Liebknecht vengono uccisi da un gruppo paramilitare. Altri scioperi e timidi tentativi insurrezionali a Brema sono stroncati nei mesi successivi. Stessa cosa avviene in Baviera: il 28 febbraio viene assassinato a Monaco il governatore del lander, un noto esponente socialista indipendente, Kurt Eisners. In marzo il socialdemocratico Noske, incaricato del mantenimento dell'ordine, accetta l'aiuto piuttosto equivoco dei fanatici Freikorps, organizzazioni paramilitari di frettolosa costituzione composti di ex-ufficiali, disoccupati e giovani avventurieri smaniosi di uccidere. L'assassinio di Eisner innesca una serie di violenze in Baviera, seguite poi da uno sciopero generale e dalla proclamazione di una repubblica sovietica che viene a sua volta rovesciata alla fine di aprile e all'inizio di maggio con selvaggia brutalità dalle truppe governative. Una delle vittime è lo scrittore Gustav Landauer, comunista di nobile idealismo, picchiato a morte in prigione dai soldati.

La rivoluzione "fallita" e la frattura insanabile fra socialdemocratici e comunisti, saranno tra le cause che favoriranno indirettamente l'ascesa del nazismo.

La Costituzione di Weimar

Il 19 gennaio 1919 si tiene una consultazione nazionale per l'elezione dei deputati all'Assemblea costituente che deve redigere la Costituzione e, nonostante il boicottaggio dei comunisti, più di trenta milioni

di tedeschi vanno alle urne. Il partito socialdemocratico esce vincitore dalla consultazione e la neo-eletta Assemblea costituente esprime una maggioranza di fautori della democrazia borghese.

L'assemblea è inaugurata solennemente il 9 febbraio 1919 e due giorni più tardi elegge presidente Ebert che, a sua volta incarica il socialdemocratico Philipp Scheidemann di formare un governo. Il primo gabinetto è costituito con membri dei tre partiti maggioritari, socialdemocratici, cattolici di centro e democratici: la coalizione di Weimar.

A Versailles, nel frattempo, una delegazione tedesca, che vi è stata invitata con disprezzo a ricevere le condizioni di pace, cerca di migliorare almeno lievemente quanto non può modificare in sostanza. Le notizie dalla Francia fomentano nuove tensioni in Germania. Il 20 giugno il governo Scheidemann rassegna le dimissioni. Gli succede il giorno seguente un gabinetto presieduto da un altro socialdemocratico, Gustav Bauer, che cercò di far stralciare dal trattato perlomeno alcuni articoli. Gli alleati però sono inflessibili: gli sconfitti devono firmare senza riserve. Posto di fronte a un ultimatum, il governo tedesco cede e il 28 giugno una nuova delegazione capeggiata dal ministro degli esteri socialdemocratico Hermann Muller firma il trattato.

Il trattato di Versailles impone pesanti gravami economici, politici e psicologici alla Germania sconfitta. L'Alsazia-Lorena è restituita alla Francia, la Prussia orientale viene separata dal cuore della Germania con la cessione alla Polonia della Prussia occidentale, della Slesia superiore e della Posuania. Danzica diventa una città libera, il Belgio acquista alcuni piccoli distretti, la Germania è privata di tutte le sue colonie, si proibisce la fusione con l'Austria, si impone l'occupazione militare della sponda sinistra del Reno. Da subito, gli alleati prendono possesso del bacino della Saar. L’esercito tedesco viene ridotto a 100 effettivi, la marina a 16, l’aeronautica vietata. Ma le condizioni più inaccettabili e che contribuiscono di più a infiammare gli animi sono quelle contenute negli articoli che privano i tedeschi di quella cosa intangibile che è "l'onore". Il trattato prevede la consegna da parte della Germania dei "criminali di guerra", incluso il deposto imperatore, perché siano processati per "atrocità" e nell'articolo 231 insiste perché "la Germania e i suoi alleati" accettino "la responsabilità" di aver provocato tutte le perdite e i danni "cui le potenze alleate erano state esposte dalla loro aggressione". La clausola non fa uso esplicitamente del termine "colpa", ma viene subito bollata come la "clausola di colpa", e se praticamente tutti i tedeschi sperano in una sua abrogazione, qualcuno ripone la sua speranza nella vendetta. Infine le riparazioni in denaro che, dopo complicati conteggi, vengono fissate nel 1921 nell’enorme cifra di 269 miliardi di marchi-oro pagabili in quarant’anni, scontati poi in 132 miliardi per trent’anni.

Il piano Dawes fu un piano di natura economica per la risoluzione del problema delle riparazioni di guerra stabilite dal Trattato di Versailles a carico della Germania: tale piano, che deve il nome al suo ideatore

Il piano Young, che sostituì il piano Dawes, è un piano di natura economica sulle riparazioni di guerra da parte della Germania dopo la prima guerra mondiale; è possibile definirlo come la "fine di ogni pregiudizio politico" nella questione delle riparazioni

La Costituzione viene approvata dopo sei mesi di lavori, il 31 luglio del 1919, e diviene legge l'11 agosto. Prevede una repubblica federale (il territorio viene suddiviso in 17 Lander = regioni); un Reichstag eletto a suffragio universale, a partire dai vent'anni di età, con il sistema proporzionale, cui spetta il potere legislativo; la possibilità di promuovere referendum e leggi di iniziativa popolare; un presidente del Reich eletto direttamente ogni 7 anni, cui spetta il potere esecutivo, la nomina del cancelliere, la guida dell'esercito. All’epoca viene considerata un gioiello di liberalità, basata com’è su di un delicato mélange di parlamentarismo e presidenzialismo. Molti diritti ed istituzioni, che oggi sono normali in tutti i paesi democratici, nascono proprio in quei giorni. Per la prima volta, anche le donne hanno il diritto di voto e i sindacati ottengono competenze importanti che possono migliorare la situazione dei lavoratori. Insomma, sono gettate le basi per far crescere una nazione democratica. La Germania adotta perfino una nuova bandiera, quella nera, rossa e oro del 1848. Ma l'articolo 48 della Costituzione avrebbe purtroppo assunto una grave importanza storica: esso prevede che, ove la sicurezza dello Stato sia posta in pericolo, il presidente abbia facoltà di prendere provvedimenti d'emergenza con valore di legge.

Il clima sociale resta teso. Mentre la nobiltà accoglie con disappunto la nascita della repubblica, l'esercito inizia a far politica ed a fornire la manovalanza per le formazioni di estrema destra. Nel marzo del '20 si assiste anche ad un tentativo di colpo di stato, promosso da squadre armate, i "Freikorps", reclutate fra i

Nei cinque anni successivi il Paese vive un fortissimo rilancio economico. Sono i cosiddetti "anni d'oro" della Repubblica di Weimar. Insieme ad una sorprendente capacità di ripresa economica, la Germania dimostra una straordinaria vivacità in campo culturale. Cominciano a fiorire il cinema, il teatro, la letteratura, la pittura, la musica, i cabaret.

Berlino, che negli anni venti arriva a 4 milioni di abitanti (oggi ne ha solo 3,5), diventa così la capitale europea della cultura, della creatività e del divertimento. Sono gli anni dei film di Fritz Lang e di Murnau, del teatro di Brecht, della pittura di Klee e Kandinsky. Sono gli anni in cui si affermano scrittori come Thomas Mann, Alfred Döblin, Herman Hesse, Erich Maria Remarque, Elias Canetti, filosofi come Martin Heidegger, sociologi come Max Weber. La cultura di Weimar diventa un mito nei salotti di Parigi o di Praga. Nasce l'espressionismo, la "Nuova oggettività", artisti come George Groz mettono alla berlina il potere, nasce la più originale scuola artistica del '900, la Bauhaus. Si insegna architettura, scultura, pittura, fotografia, design. Il suo fondatore è Gropius, un architetto che ha una visione socialdemocratica della società e mira a valorizzare il lavoro e la manualità degli artigiani. La scuola viene fondata nel '19 a Weimar e nel '25 si trasferisce a Dessau. Tra i suoi insegnanti, Klee, Kandinskij, van der Rohe. Si diffonde un clima allegro e spensierato, la gente vuole dimenticare la politica e la guerra, vuole guardare verso il futuro, vuole star bene. La Germania comincia a respirare, sembra finalmente la svolta.

Nel '25, con la morte del presidente Friedrich Ebert, viene eletto come suo successore il vecchio maresciallo Paul von Hindenburg.

Questi, gloria dell'esercito tedesco nel secondo Reich, è sostenuto solo dai monarchici e della borghesia, ma appare un personaggio credibile anche se conservatore, forse anche per l'età, 78 anni. Socialdemocratici e comunisti si presentano invece con due candidati diversi e vengono sconfitti, anche se la somma dei voti dei due è maggiore dei voti al maresciallo.

Il crollo del 1929

Nel 1929, dopo 5 anni finalmente felici per i tedeschi, anche a livello internazionale la Germania ha conquistato nuove simpatie. Ma con il famoso "Venerdì nero" a New York crolla la borsa e inizia una lunga e profonda crisi economica mondiale. La Germania, il cui boom è basato in gran parte sulla collaborazione e su soldi americani, è colpita più di ogni altra nazione. Oltre al proletariato, anche impiegati, negozianti, artigiani, piccoli commercianti, insomma tutta la piccola borghesia tedesca è schiacciata dalle difficoltà economiche. E' il fallimento per banche ed aziende, ma soprattutto la rovina per la classe media, che inizia a guardare al partito nazista come ad un salvatore. I governi si succedono, incapaci di dare una rotta al paese. In pochi anni, dal 1929 al 1932, il Paese precipita in una crisi che sembra inarrestabile e che vede alla fine l'arrivo di Hitler al potere.

Contemporaneamente a questa crisi drammatica, si risvegliano anche al livello politico tutti i fantasmi che avevano già dominato i primi anni infelici della Repubblica. Nel parlamento ci sono 13 partiti anche piccolissimi che si aggrappano al potere e che non capiscono che le accanite lotte tra di loro favoriscono solo uno: Hitler.

La Repubblica di Weimar ha visto 20 governi in 14 anni, 5 elezioni politiche negli ultimi 6 anni, un mare sempre crescente di disoccupati, una violenza politica sulle strade soprattutto tra comunisti e nazisti con morti e feriti quasi ogni fine settimana. Tutto questo fa svanire definitivamente ogni fiducia nella democrazia che entra in un'agonia irreversibile. E le elezioni del '30 sono il primo grande successo per Hitler e il suo partito. La repubblica comincia a sgretolarsi, fino al 30 gennaio '33, quando Hitler diventa cancelliere.

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quo degli assetti europei, finalizzato prima di tutto a salvaguardare l’unità tedesca di
fronte alle rivendicazioni territoriali e alle smanie espansionistiche degli altri paesi
europei.
Quindi, in tal senso, il cancelliere tedesco si adoperò per mantenere la pace,
assumendo così il ruolo di diplomatico e di mediatore
In particolare Bismarck cercò di tenere sotto controllo la Francia che, dopo la sua
guerra con la Germania, nel 1870, e la sua sconfitta con la conseguente perdita di
Alsazia e Lorena, aveva sempre coltivato il desiderio di una riconquista di questi
territori (tendenze revansciste).
Allo stato attuale delle cose, l’unica potenza in grado di fronteggiare la Prussia, fatta
eccezione per la Francia, era l’Inghilterra, che però non costituiva una minaccia,
essendo più interessata alla politica coloniale, che a quella continentale; la Russia,
invece, disponeva di un esercito troppo poco cospicuo; e infine l’Austria, era indebolita
dalla frammentazione etnica, e non si sarebbe schierata contro la Germania, dalla
quale proveniva l’aiuto nella questione balcanica.
Otto von Bismarck fu Primo ministro della Prussia e poi Cancelliere dell’Impero tedesco dal 1862 al 1890.
Nel panorama della politica europea dell’800, la figura di Bismarck si staglia come un gigante in grado di
coprire con la sua ombra tutte le altre: il “Cancelliere di ferro” - questo il suo soprannome - fu in grado di
stravolgere la politica europea e di condizionarne l’andamento per quasi mezzo secolo con la sua sola
presenza e con le sue qualità di grande diplomatico e di politico scaltro e spregiudicato.
Sotto la sua guida, e grazie alla sua abilità, la Germania raggiunse l’agognata unificazione nazionale nel
1871; in questa e in altre circostanze Bismarck dimostrò tutta l’efficacia della sua realpolitik; Bismarck si
impose soprattutto come uomo politico di idee fortemente conservatrici e autoritarie, impegnando tutti i
mezzi a sua disposizione per il raggiungimento degli obiettivi che nel corso del tempo si prefissò, verso la
direzione ultima di rendere grande la Germania attraverso l’espressione di una politica di potenza
nazionale.
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Moti rivoluzionari in Italia e in Europa nel 1848: cause, protagonisti e conseguenze
Nel 1847 Bismarck partecipa agli Stati provinciali, assemblea locale dove si guadagna una crescente
notorietà tra i conservatori reazionari; l’anno seguente la Prussia, come gran parte delle nazioni europee,
viene interessata dai moti rivoluzionari, che vedono Bismarck in prima linea tra i politici ostili a qualunque
cambiamento sociale. Alla fine del 1848 Bismarck si guadagna un posto nel parlamento nazionale prima di
ricevere il primo incarico diplomatico andando a rappresentare la Prussia in seno alla Confederazione
germanica. Nel 1859 però l’ascesa al trono prussiano di Guglielmo I, ostile alle idee reazionarie, fanno sì che
Bismarck interrompa il suo incarico, venendo inviato prima a S. Pietroburgo e poi a Parigi
come diplomatico.
Tuttavia nel settembre del 1862 è lo stesso Guglielmo I a richiamare urgentemente Bismarck nella capitale:
a Berlino è in corso una difficile crisi politica vista l’opposizione del parlamento prussiano alla riforma
dell’esercito e Guglielmo I ritiene che solo Bismarck abbia l’autorità e la fermezza per risolvere la
situazione. Nominato primo ministro, Bismarck si imporrà sul parlamento portandolo allo scioglimento e
varando la contestata riforma voluta dal sovrano, mentre lui stesso manterrà la carica
ottenuta, conservando il potere per i successivi 28 anni.
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