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Appunti modulo C

Corso

Critica e teoria della letteratura

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Anno accademico: 2019/2020
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MODULO C

Paul Ricouer, Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato 1 - L’enigma del passato Ambito della memoria, del ricordo, di ciò che è relegato nel passato (rapporto dinamico tra passato- presente-futuro). Riflette sul termine “passato”, diventato sostantivo poiché trattato come luogo in cui si depositano le esperienze vissute, passato. Quest’ultimo viene quindi visto per prima cosa come un ambito spaziale. Viene qui continuamente posto in confronto con il linguaggio , chiamando in causa gli avverbi di tempo e in particolare quelli presenti nel linguaggio comune. La memoria è ciò che costudisce il passato e che mette quindi in correlazione anteriorità e posteriorità. Il referente della memoria della storia Ricoeur mette qui in gioco le due dimensioni del ricordo e della memoria. Il passato viene concepito come ciò che non è più e, al contempo, come “essente stato”. La prima definizione è di tipo avverbiale e negativo mentre la seconda, invece, appartiene all’ambito dei verbi ed è un’affermazione positiva ( Spinicci ). Che cosa ci fa riconoscere che un’immagine è veridica? L’enigma è condensato su questo aspetto: poiché l’impronta del passato vi sia è necessario che qualcosa l’abbia provocata. Il ricordo è un’immagine che assomiglia a ciò che l’impronta lascia e costudisce. Arriva così alla questione della rappresentazione riproponendo l’aporia dell’immagine. La memoria pone sotto l’ambito di una assoluta indecibilità lo statuto complesso e che regge i poli opposti della dicotomia verità-fedeltà, alla base della natura stessa del ricordo e della memoria. Quanta credibilità dobbiamo dare alla rievocazione? Ricoeur arriva a discutere lo sviluppo della memoria sul piano temporale e l’attribuzione di valore che può essere possibile. Da un lato, la memoria si pone l’obiettivo di riproporre il passato nella sua fedeltà ma dall’altro si impone necessariamente la sua stessa mancanza di affidabilità. Sfortunatamente però la memoria è tutto ciò che abbiamo per ricordarci del passato. Dobbiamo poi inserire l’altra componente: quella del futuro. Lo scambio avviene anche con l’attesa del futuro e la presenza del presente; dobbiamo servirci della memoria per attivare un processo conoscitivo che da un lato riattiva il passato, rielabora il presente e mostra l’attesa del futuro ( dinamica tripartita ). Ricoeur analizza poi le considerazioni di Agostino e di Heidegger. Introduce poi la questione degli archivi , depositi delle carte degli autori ed oggetto di studi soprattutto più recenti. Lo studio delle carte è sempre più luogo dello strumento che ci riporta alla ricostruzione del testo. Gli archivi, i documenti, le tracce sono formati da materiale appartenente al passato à la memoria, sia privata che pubblica, ha un ruolo importante rispetto la storia e la documentazione di presente e futuro. Si ha qui la dimensione della riflessione sul passato e sulla lettura che al presente un documento produce. Ricoeur include poi il tema della colpa : il fardello che il passato fa pesare sul presente e sul futuro. Questo sentimento può essere alleggerito dal metodo del perdono. La colpa trasferisce e declina la memoria al futuro, è l’imperativo che proviene da una dimensione morale (“te ne pentirai..”). Ricoeur sostiene che si debba ad Heidegger la fenomenologia più sviluppata riguardante la colpa. Compare poi un’altra questione: la memoria istruisce la storia. La conoscenza storica è una conseguenza, una disposizione del movimento della storia che per sua vocazione sarebbe retrospettiva; la conoscenza storica funziona invece sulla dinamica temporale, sulla dinamica della memoria che si occupa degli uomini del passato nel tempo presente. Passato, memoria, storia, oblio Che cos’è la memoria collettiva e in quale rapporto si pone con la memoria individuale? La memoria non è unicamente uso privato del soggetto umano. Il principio non deve essere quello di un aut aut, o una memoria collettiva o una individuale quanto di una memoria individuale, fondamentale, e anche quella di una collettiva (un et et) che vede l’individuo collocato necessariamente all’interno di un tessuto sociale. La memoria individuale sembra essere caratterizzata da tre aspetti specifici:

  1. È singolare à Locke individua nel passato individuale e nella memoria stessa dell’individuo il criterio fondamentale per la costruzione dell’identità personale, del soggetto. I ricordi di un individuo si oppongono a quelli degli altri e non possono essere condivisi.
  2. Nella memoria risiede il legame originario con la coscienza del passato. La memoria assicura quindi la continuità; sul piano dell’individuo si pone un problema nel rapporto tra l’uno e il molteplice ovvero tra la continuità della memoria individuale e la molteplicità di ricordi che affollano la singola mente dell’individuo.
  3. La memoria dipende inoltre dall’orientamento del passaggio temporale.

La memoria di gruppo esercita le stesse funzioni? Ricoeur ipotizza che sia possibile estendere l’individualità personale dei ricordi ad un’idea di memoria collettiva che si identifichi con il possesso comune dei ricordi collettivi. Si ha quindi una contemporaneità fra le due memorie.

La memoria individuale è problematizzata da questo flusso di ricordi e da questa dimensione di disordine che arriva a determinare l’unitarietà e la dimensione singolare dell’individuo? Certamente, ma non è tanto il punto problematico questo, questo è ciò che caratterizza la memoria individuale, è un punto a favore della difesa del concetto di memoria individuale e privata: è a complessità mentale della costruzione del passato dei ricordi che dà forma all’identità personale. Il problema di contrasto che pone Ricoeur è il contrasto tra questa memoria e quella collettiva, e la domanda riguardo l’esclusività di una rispetto all’altra, e quindi la complessità di un sistema che si incontra o si scontra o, secondo la prospettiva di Ricoeur e la nostra, si interseca. La memoria collettiva è non definita a priori, e quindi è appartenente non a qualcosa di definito, ma ai gruppi o alla dimensione sociale, che è legato a un tempo.

Su queste due nozioni si avvia a seguire gli altri rapporti che stabilisce nei capitoli successivi: i tre successivi, che seguono a questa impostazione, vengono posti in gioco di nuovo. I rapporti sono: tra memoria e immaginazione, tra memoria e storia (dimensione storico-sociale), tra memoria e oblio. Alcune questioni ritornano, connesse inestricabilmente.

Memoria e immaginazione

Mentre noi ne abbiamo costruito un confronto sia tra differenze che somiglianze, qui Ricoeur segue anche al direzione di una possibile distinzione tra gli ambiti: qual è la zona di distinzione? È comune l’espressione immagine-ricordo (le due dimensioni sono connesse anche nel linguaggio e nella consapevolezza comune). La funzione di entrambe è rendere presente qualcosa di assente. La sua tesi è quella di arrivare a un punto in cui bisogna separarle, definire che cosa è la memoria e cosa l’immaginazione, o almeno seguire la strada lungo la dimensione temporale dello sviluppo della memoria rispetto a quello dell’immaginazione. Se la memoria è del tempo (Aristotele), ciò che la distingue è di segnalare come la distanza temporale tra presente e passato deve essere determinata. È questa la distinzione che rende specifica la memoria: la distanza temporale, che riconquista la memoria a una zona che invece nel tempo l’ha colonizzata rispetto all’immaginazione. Già qui emerge il problema e la questione dell’oblio, perché la dimensione temporale fa emergere il fatto che fin da principio l’oblio è stato inteso come cancellazione di tratti e quindi come atto di adeguamento dell’immagine presente all’impronta lasciata: il concetto di oblio è inteso come qualcosa che deve essere colmato, coperto, vuoto. Qui è invece chiamata in causa la dialettica tra determinazione della memoria come rapporto dialettico tra presenza e assenza, intesa come riconoscimento delle tracce: la possibilità della falsità inscritta in questo rapporto che diventa paradossale. Che cos’è la somiglianza?

problema della traccia non può escludere che i primi passi della ricerca storica funzionino attraverso il veicolo della memoria, appoggiata alla testimonianza e ai documenti: la difficoltà fondamentale riguarda una questione precisa, il fatto storico non coincide esattamente con ciò che è accaduto. La ricerca attraverso la memoria documentaria non implica che ciò che emerge è automaticamente la verità assoluta: qua Ricoeur dice che anche la ricerca attraverso le fonti, che non hanno relazione con la finzione e il cui obiettivo è l’assoluta descrizione dei fatti, coincida con ciò che sta nei documenti. Invece bisogna resistere e imparare una distinzione a priori: da un lato fatto storico e narrazione e dall’altro fatto stoico e avvenimento reale, da una parte la memoria e l’invenzione, dall’altra la memoria della storia e ciò che è realmente avvenuto. Questo non impedisce che poi la ricerca storica vada nella direzione di una identificazione tra memoria documentaria e la ricerca di ciò che accaduto, non ci impedisce di attribuire alla verità dei fatti gli esiti delle ricerche documentarie, da qui si delinea un’altra situazione, il rapporto con il futuro, ma pone un altro problema: come si pone la questione del futuro nei confronti della disciplina storica? Che significato ha pensare al futuro nello studio della storia? Il paradosso che è il passato è determinato, non si può cambiare, tutto questo si collega al presente, ma il futuro è indeterminato, aperto. Il paradosso è apparente: se i fatti sono incancellabili, in compenso il senso di ciò che è accaduto non è fissato una volta per tutte. È un modo diverso di rileggere il passato in funzione del futuro: è un modo di usare la prospettiva del presente e di ipotizzare una prospettiva futura che rilegge il passato e con gli atti del presente e del futuro modifica il passato. Allora il passato non è del tutto chiuso e definito. Da questo punto di vista torna a delinearsi la questione della colpa: i fatti del passato possono essere interpretati diversamente e il carico morale legato al rapporto di colpa rispetto al passato (si vuole cambiare il passato quando si insinua il senso di colpa rispetto al passato) può essere appesantito o alleggerito, a seconda che quella dimensione di colpa vincoli colui che la prova nella sensazione di “tutto è irreversibile” o nell’ipotesi che si possa aprire una prospettiva di liberazione, e quindi che equivalga alla possibilità di mutare e convertire gli eventi del passato. Ricoeur dice che è un fenomeno di reinterpretazione del passato sul piano morale che funziona in nome della prospettiva futura. Si prospetta una dimensione attiva dell’individuo e della comunità, che in nome delle sue azioni possa modificare ciò che è stato. La concezione è quella di una memoria che rivisita il passato in nome del progetto futuro.

La memoria e l’oblio

Ci accontenta spesso di intendere l’oblio come il contrario della memoria. La memoria invece da una parte lotta contro l’oblio, perché deve tendere al concetto di fedeltà, dall’altra l’oblio è necessario, anzi è da sostenerne un equilibrato uso. Attraverso Heidegger arriva a delineare con delle tipologie quali sono le forme dell’oblio:

  1. L’approccio psicanalitico, il cui fondamento è quello di ricercare e riportare alla coscienza del presente ciò che è stato rimosso per curare le complicazioni che l’esito della rimozione provoca sulla mente del paziente.
  2. L’oblio dall’attivo al passivo: l’oblio passivo è ciò che si dimentica senza volerlo, con tutte le forme intermedie, l’oblio attivo è ciò che si vuole dimenticare. La resistenza è quella che talvolta l’individuo fa nei confronti dell’oblio passivo, oppure quella che la memoria collettiva fa nei confronti di quello attivo.
  3. L’oblio selettivo è quello che entra in connessione stretta con il conetto della memoria: la selezione del ricordo comincia a livello profondo e l’oblio si rivela così benefico. L’atto di ricordare parte da una concezione semplice: non si può ricordare tutto. Una memoria senza lacune sarebbe per la coscienza un fardello insopportabile e avrebbe un esito negativo. Questo oblio da una parte è

un atto involontario, dall’altro è necessario, consustanziale all’operazione di composizione dell’intreccio: l’oblio è necessario per raccontare. La possibilità di raccontare non può che risultare da questa attività di selezione che integra l’oblio attivo al lavoro della memoria (per la prof. anche l’oblio passivo). Questa assunzione di memoria non totalizzante funziona già a livello di documenti, perché questi di per sé non possono che essere deficitari: gli archivi sono un oggetto di memoria deficitaria. Il perdono è una forma di oblio attivo: Ricoeur allude anche alla sfera religiosa, ma il perdono non è vincolato a essa. È un atto che si compie che assume una valenza molto forte. Sia nella sua forma traumatica che astuta è un atto volontari oche si fa nel momento in cui si vuole dimenticare qualcosa e quindi richiede un lavoro supplementare della memoria: io decido di dimenticare qualcosa. Ecco che si collega al concetto di colpa, che paralizzerebbe la memoria se non ci fosse la dimensione di prospettarsi nel futuro della possibilità del perdono. Connesso, torna il concetto di perdita: nel momento in cui si va dal passato al presente c’è la perdita. Il perdono può essere assolutamente semplice e naturale o molto difficile, perché alla base del perdono ci sono nodi molto complessi, inestricabili, che mettono in atto conflitti e controversie più o meno superabili. Poi c’è la questione dei danni e dei torti più o meno riparabili. Bisogna mettere anche in atto la possibilità di rompere con la logica della vendetta, la conseguenza dei torti subiti, quel concetto terribile che appartiene non solo all’individuo ma anche alla dimensione collettiva. È qui che il perdono confina con l’oblio attivo: non con l’oblio dei fatti, incancellabili, ma con il loro senso nel presente o nel futuro. Il passato non può cambiare ma può essere riletto diversamente attraverso l’oblio attivo che funziona nel presente e nel futuro. La dinamica tra il perdono e l’oblio attivo implica la modalità di un’azione volontaria che non è sempre detto che deve essere compiuta o auspicabile.

Quello che si ricorda – Alice Munro (da “Nemico, amico, amante”)

Alice Munro nasce nel 1931 nella regione canadese dell’Ontario, luogo di ambientazione per eccellenza della sua narrativa. La Munro è un’autrice di racconti, per i quali vince moltissimi fino al Nobel per la Letteratura nel 2013. La sua biografia è sicuramente legata alle sue origini umili; la famiglia fatica dal punto di vista economico sin dalla sua nascita e fatti legati a questo tornano spesso nei suoi racconti, come: un padre che alterna momenti di grande severità ad altri di grande confidenza; una madre insegnante che presto si ammala e l’aspirazione di questa giovane ragazza di allontanarsi dalla campagna per spostarsi in città (cosa che fa grazie ad una borsa di studio). La Munro si sposa molto giovane e avrà molti figli (il cognome lo prende dal primo marito); si separerà da lui prendendosi la responsabilità per il fatto che il rapporto con il marito non funzionasse. La Munro dedica gran parte della sua vita alla scrittura dei suoi racconti. Questi si caratterizzano per delle costanti, dei tratti onnipresenti, delle vere e proprie declinazioni molto variate di fatti della sua vita. I suoi racconti muovono quindi esplicitamente da esperienze della sua vita reale. Seguono spesso la narrazione quotidiana di dettagli che costruiscono spazi, luoghi, il piccolo e grande mondo dei loro protagonisti. La considerazione del tempo è fondamentale: i suoi racconti funzionano su più dimensioni. I suoi personaggi ruotano spesso attorno una protagonista femminile verso la quale si usa la prima/terza persona. Non solo i tempi verbali gestiscono i livelli narrativi ma la memoria , il ricordo ed il suo veicolo sono responsabili della rievocazione di un’esperienza. La memoria si declina lungo il racconto in più fasi e in diversi modi. Il tempo del racconto è un continuo spostamento all’interno della dimensione temporale e differisce dal tempo della storia , spesso un nucleo narrativo molto semplice à non si ha quasi mai una linea temporale progressiva quanto un fitto spostarsi di analessi/prolessi che non fanno però mai perdere il senso di riferimento al lettore. Lo spazio bianco è un’altra caratteristica ricorrente nei racconti della Munro: presente, in modo diverso, in ogni racconto. Lo spazio bianco è una scelta autoriale e NON editoriale à indica il passaggio temporale e uno spostamento vero e

delle vite personali dei personaggi. Il funerale di oggi era un'altra faccenda. à la determinazione temporale riporta immediatamente la narrazione al presente , del presente dei personaggi collocati nella stanza d’albergo (non è quindi l’oggi del narratore né quello del lettore). La voce è quella di un narratore di terza persona che illumina la vicenda dall’esterno (eterodiegetico) che però alterna due tipi di punti di vista lungo tutto il racconto, soprattutto nella prima parte: il suo punto di vista (esterno) e quello della donna protagonista, Meriel. Si ha ancora una volta una modalità resocontista che mostra con una scrittura lineare le modalità conoscitive delle vicende che appartengono alla storia; si crea un ulteriore dislivello temporale poiché il narratore fa un ulteriore passo indietro per illustrare il background delle vicende passate. Tutte queste modalità sembrano voler consolidare il rapporto tra Jonas e Pierre. Raccontando la relazione fra i due, il lettore famigliarizza con il loro tipo di rapporto. Viveva in una specie di eterno apprendistato, che non sfociava mai in assunzione definitiva in qualche ditta, e le ragazze - almeno a sentire lui - subivano una sorte analoga. à entra in gioco l’ironia strizzando in qualche modo l’occhio al lettore. La caratterizzazione dei personaggi avviene così in modo molto rapido. Quando aveva dovuto dire a Pierre che Jonas era morto, Meriel aveva assunto un tono sgomento, colpevole. Colpevole perché Jonas non le era mai piaciuto, e sgomento perché quello era il primo loro coetaneo a morire, la prima morte davvero vicina. Pierre invece non era sembrato particolarmente colpito, né sorpreso. L’allusione che il narratore fa al lettore è di rileggere la modalità con cui sono stati presentati i personaggi per individuare la causa che non viene esplicitata. Era questo che le aveva detto la madre al telefono. Lesioni mortali. Le era sembrata così rassegnata, così poco sconvolta. Come Pierre quando aveva detto: - Suicidio. Si ha poi una dimensione di introspezione psicologica sulla protagonista sotto forma di sondaggi che il narratore fa nella mente della protagonista filtrando la sua dimensione percettiva. Meriel è sorpresa della reazione sia della madre che dell’amico di Jonas. In seguito, Pierre e Meriel non avevano praticamente più fatto parola della morte, ma solo del funerale, la stanza d'albergo, il bisogno di trovare una baby-sitter disposta a fermarsi per la notte. Dalla riflessione su qualcosa di molto drammatico si passa immediatamente alla narrazione di un fatto quotidiano; il motivo della reazione del marito rimarrà infatti per tutto il racconto velato e mai reso esplicito, si ha una vera e propria rimozione del fatto sin dall’inizio passando all’elencazione di fatti del tutto normali, quotidiani. I pensieri di Meriel vengono narrativizzati sotto forma di pensiero indiretto libero. Le fu subito chiaro che la voleva vedere pacata ed efficiente, come lui, senza concessioni a qualsiasi manifestazione di dolore che - ne era certo - non poteva essere sincera. à viene evidenziata una reciprocità di consapevolezza da parte dei due. Tutto viene poi filtrato dalla percezione della donna: Gli aveva chiesto come mai avesse pensato al suicidio e lui le aveva risposto: «E’ la prima cosa che mi è passata per la testa». Il tono sbrigativo le era parso un segnale di avvertimento, se non addirittura di un rimprovero. La risposta sbrigativa del marito copre una dimensione di forte sofferenza; si tratta di una costante della narrativa della Munro. Spesso infatti la superficialità, la noncuranza nell’elencazione di fatti quotidiani copre dimensioni di grande sofferenza. Segue poi un passo in cui il narratore conduce un passo inaspettato, inconsueto che prende forma di commento gnomico (= generalizzazione). Si ha uno sguardo sui giovani mariti e l’insinuarsi di un’ironia amara sui cambiamenti dei tempi e delle abitudini. L’ironia del narratore mostra da uno sguardo ancora straniato l’obbligo del passaggio dei tempi: Quante cose avevano dovuto imparare, in poco tempo. Come lavorarsi il capo, e come dominare la moglie. Come mostrarsi autorevoli in materia di ipoteche, beni immobili, cura del prato, impianto fognario, politica, come pure riguardo al lavoro destinato a mantenere la famiglia per il successivo quarto di secolo. L’ironia viene scandita dall’iterazione del “come” e il passaggio dei tempi sembrano non aver minato per nulla il maschilismo, oggetto dello sguardo femminile. Sognanti ribellioni, raduni sovversivi, accessi di ilarità che riportavano ai tempi del liceo, muffe che fiorivano sui muri a spese dei mariti, nelle ore in cui loro erano fuori. Si ha l’immagine di una vita guardata in modo fortemente critico dal narratore. La narrazione dei fatti vuole essere nella prima parte una narrazione degli eventi; nella seconda parte diventa invece una narrazione

della percezione à modalità di introspezione del narratore nei confronti dei personaggi e alternanza dinamica dei piani temporali. Dopo il funerale alcuni dei presenti erano stati invitati a casa dei genitori di Jonas à cambia l’ambientazione, ci troviamo ad un ricevimento = i rapporti interpersonali si sviluppano ora in una dinamica più complessa. Si ha un elenco descrittivo, frequente nella scrittura della Munro, alternandosi ad uno sguardo più soggettivo che il narratore adotta sullo spazio circostante. La Munro dà tipicamente dei tratti fisici e caratteriali ad ognuno dei personaggi mostrati sulla scena. Questi non rappresentano mai dei tipi umani , cioè dei personaggi a cui si possono attribuire caratteri tipici/universali; ogni volta il personaggio introdotto nella scena è rappresentato come un individuo singolo, a sé stante, con proprie e specifiche caratteristiche. Segue qui uno scambio dialogico riguardo un elemento non fondamentale. _La madre disse a Meriel: - Che bel vestito.

  • Grazie, ma guarda, - disse Meriel, lisciando le pieghe che si erano formate mentre stava seduta durante la funzione. - E’ quello il problema, - replicò la madre di Pierre. - Qual è il problema? - chiese disinvolta la madre di Jonas, facendo scivolare qualche tartina sulla piastra calda. - Il problema con il lino, - disse la madre di Pierre. - Meriel mi stava appunto dicendo che il suo vestito si è tutto stazzonato, - evitò di aggiungere «durante il servizio funebre», - e io le dicevo che è questo il problema con il lino._ à la conversazione parte da un elemento di quotidianità assoluta; i personaggi in causa (la protagonista, la suocera e la madre del defunto) sono mostrati dalla tecnica narrativa che sottolinea come la conversazione quotidiana, basata su termini banali, copra i grandi sentimenti, le grandi sofferenze. La madre del defunto entra infatti nella conversazione - Qual è il problema? - chiese disinvolta la madre di Jonas, facendo scivolare qualche tartina sulla piastra calda. - = le azioni vengono descritte ostentatamente come disinvolte. L'uomo di cui parlavano stava chiacchierando con Pierre. Non indossava un completo, anche se la giacca, su una maglia a collo alto, era dignitosa. Viene introdotto un altro personaggio, definito attraverso la descrizione veloce degli abiti. Lo sguardo le cadde sui tovaglioli ripiegati in quattro sulla tavola. Non erano grandi come tovaglioli da pranzo e nemmeno piccoli come tovagliolini da cocktail. Li avevano sistemati in fila, sovrapposti in modo che un angolo di ciascuno (l'angolo ricamato con un minuscolo fiore rosa, giallo o azzurro) appoggiasse sull'angolo ripiegato del vicino. Non succedeva che due tovaglioli con ricami dell'identico colore fossero uno di seguito all'altro. Non li aveva toccati nessuno o, in caso contrario - perché in giro per la stanza aveva visto qualche persona con il tovagliolo in mano -, dovevano aver preso sempre l'ultimo della fila avendo ben cura di non turbarne l'ordine à gli elementi descrittivi si formano a mostrare dei tratti caratteristici ma anche, come qui, a descrivere degli oggetti, dei particolari. Da una parte si ha la volontà di costruire la scena attraverso l’attenzione per gli oggetti e le cose apparentemente di poca importanza; dall’altra è il veicolo dello sguardo = lo sguardo della protagonista si ferma sul dettaglio, mostrando la modalità del suo comportamento. Subito dopo questa descrizione il narratore, con uno stile/registro completamente diverso, spiega com’è stata la funzione in modo più “resocontista”. Durante la funzione, il sacerdote aveva paragonato la vita terrena di Jonas alla permanenza intrauterina di un bebé. Il bambino, aveva detto, non sa nulla di altre forme di vita e abita la sua tiepida, buia grotta d'acqua senza mai sospettare l'esistenza del grande mondo luminoso nel quale sarà presto catapultato. E noi mortali abbiamo una vaga idea, ma siamo assolutamente incapaci di immaginare la luce che ci attende dopo il travaglio della morte. Se il bambino potesse essere informato di ciò che gli accadrà nel prossimo futuro, non sarebbe forse incredulo, oltre che spaventato? à il narratore assume il discorso del prete ma, lo sguardo indagante di Meriel, mette in scena il controsenso, l’antitesi con cui questo personaggio si rapporta agli altri. Meriel rivolse uno sguardo al pastore, in piedi sulla soglia con il bicchiere di sherry in mano, intento ad ascoltare le chiacchiere animate di una signora dai capelli biondi cotonati. Non le sembrava che stessero parlando degli spasmi della morte e della luce futura. Come avrebbe reagito se gli si fosse avvicinata e l'avesse affrontato in modo diretto sull'argomento? à altro passaggio stilistico-narrativo: prima il narratore gestisce in terza persona i movimenti e i pensieri di Meriel per poi adottare una forma più ibrida, vicina a quella del pensiero

dell’altro. Il dottore non disse nulla - forse la sua battuta non aveva senso per lui. O magari non valeva la pena di farla, anche se era vera. Per tutto il tragitto da Dundarave si era ascoltata parlare con sgomento. Non tanto perché stesse ciarlando a vuoto - dicendo qualunque cosa le passasse per la mente: cercava invece di esprimere concetti che le parevano interessanti, o che avrebbero potuto esserlo se solo fosse riuscita a formularli à viene messa in scena un’azione umana angosciante: ascoltarsi nel momento in cui ci si rende conto il fatto che si stanno dicendo cose tanto per mostrarsi. Meriel ha delle idee che però le sue parole non esprimono in modo interessante = livello dell’espressione + del contenuto. Del resto lei doveva assomigliare a una di quelle donne non disposte a rassegnarsi a una conversazione banale e decise a pretenderne invece una «autentica». à Meriel si trova in una situazione di auto-analisi ed è consapevole di voler ostentare la sua intelligenza in modo da non risultare banale, fallendo. Non sapeva che cosa avesse innescato il meccanismo. L'imbarazzo, il semplice fatto che di questi tempi le capitasse così di rado di parlare con uno sconosciuto. La stranezza di stare sola in macchina con un uomo che non fosse suo marito à viene verbalizzato il meccanismo della mente. Il conflitto psicologico degli altri personaggi viene rappresentato tramite le loro azioni e non tramite i pensieri, come avviene invece con Meriel. Subentra poi un ulteriore meccanismo che implica questa volta l’inizio di un nuovo rapporto fra i due che si sviluppa contrariamente rispetto a quello che era stato fino ad adesso (imbarazzo e non intesa) e questo avviene tramite il non-detto, l’omesso e non ciò che viene detto. E poi, qualcosa nel modo in cui aveva detto «Se non le dispiace» - il tono formale, ma anche una lieve incertezza nella voce - l'aveva sorpresa. à il dottore si offre di accompagnarla: si apre il cambiamento radicale della relazione fra i due attraverso la percezione della modalità tonale del dottore. Sembrava che l'offerta del proprio tempo e presenza avesse poco a che fare con le buone maniere, e molto di più con lei. Era una proposta pronunciata con un tocco di sincera umiltà, pur senza trasformarsi in supplica à il narratore di terza persona veicola la percezione di Meriel. Se gli avesse risposto che non voleva approfittare oltre della sua gentilezza, lui non avrebbe tentato ancora di convincerla, l'avrebbe salutata con pacata cortesia e se ne sarebbe andato à controfattuale (= che cosa sarebbe successo se le cose non fossero andate così? Frequentissimo nella Munro che li introduce all’interno degli scambi colloquiali e delle riflessioni dei personaggi all’interno della storia). Il cambiamento fra i due viene veicolato da una percezione non del tutto certo. Le era successo qualcosa. Provava all'improvviso una misteriosa sensazione di potere e di gioia, come se a ogni passo un messaggio energetico la percorresse dal tallone al cranio à dal nulla la relazione tra i due ha decisamente cambiato di segno. Quando più tardi gli domandò: - Come mai sei venuto là dentro con me? - si sentì rispondere: - Perché non volevo perderti di vista à la prolessi, lo spostamento nel futuro, conferma che è successo decisamente qualcosa di diverso. Viene poi presentato il personaggio della zia Muriel, narrato attraverso tratti fisici in una situazione di ovvia difficoltà ma con una lucidità mentale che mostra di interagire continuamente con questo strano rapporto non esplicito che si sta aprendo tra i due personaggi. Seguono i saluti e la spiegazione del fatto che non vi sia Pierre; la zia ricorda però precisamente che Meriel ha un marito e due figli e, dopodiché, la narrazione entra con una dimensione che sposta continuamente i livelli temporali che presenta la zia in un ambito diverso. La zia Muriel apparteneva alla generazione della nonna di Meriel, più che a quella di sua madre. Era stata l'insegnante di arte della mamma. Prima un modello, poi un'alleata e infine un'amica (..) la descrizione della zia viene fatta in toni quasi aggressivi, nel ricordo di una persona particolarmente generosa e legata a Meriel e alle sue visite. In quelle occasioni parlava a precipizio di facezie e di cose serie, per lo più sottolineando come le opere e le idee intorno alle quali la gente si animava tanto fossero solo pattume, ma come qua e là - nella produzione di qualche oscuro contemporaneo o di figure semidimenticate di altri secoli - comparisse talvolta qualcosa di «straordinario». Era quella la sua parola forte in fatto di elogi: «straordinario». Le usciva dopo un silenzio della voce, come se in quel preciso istante, e quasi con sua stessa sorpresa, si fosse imbattuta in una qualità del mondo alla quale non era stato ancora tributato il giusto onore. à inizia a delinearsi

l’aspetto più morale della zia che attribuisce questa dimensione valoriale a determinate cose, anche quando non sono approvate da tutti, e anche un aspetto ingenuo, più autentico di questo personaggio. Si ha poi interazione tra la personalità della zia e la relazione fra i due. - Eric Asher. - E’ un dottore, - disse Meriel. Stava per partire con la spiegazione del funerale, l'incidente, il volo da Smithers, ma le fu sottratta la parola. - Ma non sono qui in veste ufficiale, non si allarmi, - disse il dottore. - Oh no, - disse zia Muriel. - E’ qui con lei. - Infatti, - disse lui. E a quel punto allungò un braccio tra le sedie e prese la mano di Meriel, che tenne stretta per un momento, prima di lasciarla andare. Poi, rivolto a zia Muriel: - Come ha fatto a capirlo? Dal respiro? - Lo sapevo e basta, - ribatté lei un po' spazientita. - Sono stata un demonio anch'io ai miei tempi. à l’allusione diventa più esplicita ma rimane quella dell’intesa. La sua voce - tremula, esitante - aveva un tono che Meriel non aveva mai sentito. Le parve che in questa vecchia improvvisamente sconosciuta si agitasse un tradimento. à Meriel guarda ora la zia sotto un altro punto di vista = lo sguardo cambia la prospettiva e la modalità di relazione fra i due personaggi. Avevano una casa dove andavamo sempre tutti, a Bowen Island. I Delaney. Pensavo che potesse averli sentiti nominare. Comunque. Ne sono successe di cose, eccome à “comunque” è il nesso di cui si serve la zia Muriel per passare dal suo passato al presente. Il racconto della zia è fatto per sprazzi di ricordi, per scene che ritornano nella mente della zia che le racconta mostrando una volontà di far riemergere al presente il passato, senza contestualizzare tutto quanto. Da quanto tempo ne soffre? - chiese il dottore con rispettoso interesse e, con grande sollievo di Meriel, prese l'avvio un dialogo intenso, un dibattito bene informato sull'insorgenza della cataratta, l'ipotesi chirurgica, i pro e i contro dell'intervento, e la sfiducia che la zia Muriel nutriva nei riguardi dell'oculista deportato - così si espresse la zia - a occuparsi di questi vecchi à viene fatta ironia sul mondo guardato dall’interno dalla zia anziana. Di lì a poco Meriel e il dottore si scambiarono un'occhiata, per chiedersi se la visita si fosse protratta a sufficienza. Uno sguardo segreto, attento, quasi coniugale, il cui inganno e la cui modesta intimità risultarono eccitanti per chi, in fondo, sposato non era. à gli aggettivi mostrano tutta la gradazione di questo nuovo rapporto. A questo sguardo la zia Muriel, ben consapevole, interviene chiedendo ai due di mettere fine alla loro visita. Il narratore non lo dice ma è chiaro che la zia abbia colto il fine che si cela dietro lo sguardo dei due. Confusa, tutt'altro che spontanea e con un certo senso di vergogna, Meriel si chinò per salutarla con un bacio. Ebbe la sensazione che non avrebbe più visto la zia Muriel, e non la rivide, infatti à Meriel ha capito che la zia ha capito. L’ultima frase riguarda la dimensione temporale che si declina nei racconti della Munro in modo molto diverso: o si ha un passaggio di grandi piani temporali e uno spostamento in modo molto dinamico o delle anticipazioni/prolessi/analessi legando la percezione del presente alla conferma del futuro. il dottore la sfiorò tra le scapole, poi fece scendere la mano sulla schiena fino ai fianchi. Meriel si rese conto che stava pizzicando il lino del vestito che le si era incollato alla pelle madida mentre sedeva appoggiata allo schienale à Meriel percepisce la prima sensazione data da un gesto fisico del dottore. Si mise a cercare la Toilette dei Visitatori che le era parso di scorgere all'arrivo. Eccola. Non si era sbagliata à espressione di un pensiero indiretto libero: il narratore assume i pensieri di Meriel. Mentre all’arrivo Meriel era impaziente di scendere dalla macchina, qui, l’idea di doversi allontanare dal dottore, implica del dispiacere. Il piano dell’elaborazione mentale diviene sempre più evidente nella seconda parte: lo sguardo si focalizza e diventa lo sguardo su quello che avviene e sul sé in relazione con gli eventi. Tutto viene filtrato sempre più dallo sguardo di Meriel. Uscendo nel sole caldissimo, Meriel lo vide camminare accanto alla macchina, con la sigaretta in mano. ( ... ) Quel gesto sembrava isolarlo, rivelare in lui una certa impazienza, forse la fretta di concludere una cosa e procedere verso la successiva. In quel preciso momento Meriel era indecisa se considerare se stessa come la cosa a venire o quella da concludere. à l’elaborazione dei pensieri si fa sempre più fitta, anche a partire da un evento esterno che però si sviluppa in modo sempre più ridotto. Tutto si riflette sulla dimensione del sé. - Dove si va? - chiese lui, una volta partiti. Poi, come se pensasse di essere stato troppo brusco, aggiunse: - Dove le piacerebbe andare? - à si danno ancora del lei ma il piano del discorso si sposta

per l'attimo di smascheramento, il lancinante senso di vergogna e vanto che le invadeva il corpo mentre attraversava l'atrio (immaginario), e per il suono della voce di lui, la discrezione e l'autorevolezza delle sue parole rivolte all'impiegato e che lei non era in grado di distinguere. à la realtà della vicenda li conduce a casa di lui, nel suo appartamento. Lei costruisce nella memoria attivando una modalità creativa un’altra scena che sovrappone a quella, pur ricordandola (le conduce quindi entrambe), modificando il ricordo e venendo veicolata dal desiderio. Nella consapevolezza dell’elaborazione dei pensieri la memoria assume la funzione di rievocare e, al contempo, di modificare la scena. In tutto questo si ha un rapporto antitetico tra la vergogna e il vanto. Dovette unirsi alla ressa di corpi in movimento su per la scala e, una volta raggiunto il ponte passeggeri, sedette al primo posto libero che vide (..) Prima dell'attracco sul lato opposto dello stretto, aveva un'ora e mezza di tempo, durante la quale doveva fare tantissimo lavoro à il lavoro a cui si fa riferimento in modo implicito è quello mentale , di ricostruzione dell’accaduto; il ricordo è lo strumento fondamentale della rielaborazione, è veicolo fondamentale per acquistare consapevolezza anche se modifica volontariamente (o non) ciò che è accaduto. Il lavoro che doveva fare, secondo lei, consisteva nel ricordare tutto, e per «ricordare» intendeva rivivere un'altra volta nella mente e immagazzinare ogni cosa per sempre. L'esperienza di questa giornata messa in ordine, senza confusioni né menzogne, tutta radunata in un tesoro, e infine compiuta, conclusa. à il principio di riferimento è l’ ordine mentale che solo la memoria può esercitare al presente. Si aggrappava a due previsioni, la prima confortante e la seconda relativamente facile da accettare al momento, anche se destinata senz'altro a farsi più scomoda in futuro. Il suo matrimonio con Pierre avrebbe retto, sarebbe durato. Non avrebbe più rivisto Asher. Entrambe le previsioni risultarono corrette. à Al presente, la sua rielaborazione mentale del passato guarda al futuro costruendo due previsioni. La narrazione conferma, attraverso una prolessi narrativa, la correttezza di queste. Il matrimonio con Pierre resse - più di trent'anni da allora, fino alla morte di Pierre à lo spazio bianco sposta il piano temporale e introduce una nuova storia. La Munro non si preoccupa di raccontare i trent’anni successivi quanto il seguito della vicenda mentale, il ricordo di quell’avventura. (Non un litigio - erano ormai troppo amici per litigare) à la parentesi indica il punto di vista del narratore. Il non-litigio si sviluppa sul piano di un libro attraverso la modalità del controfattuale: la protagonista e il marito discutono su un romanzo che leggono ipotizzando una storia finta di secondo livello. Meriel avrebbe voluto un esito diverso per quella scena. Secondo lei, Anna non avrebbe reagito così. I giudizi personali si alternano a quelli che emergono dal romanzo. La modalità di confronto con la vicenda narrata interagisce con l’esperienza passata della protagonista; la Munro mostra una modalità esperienziale che appartiene tipicamente alla lettura, l’incontro con un mondo diverso ma che, per qualche aspetto, ha a che fare con la propria modalità esperienziale. Quella sera sul traghetto, nel tempo in cui aveva pensato di riordinare ogni cosa, Meriel non fece niente del genere. Ciò che le toccò attraversare fu un susseguirsi di ondate di intensa memoria à in modo quasi impercettibile ci riporta alla sera in cui Meriel, trent’anni prima, si trovava sul traghetto. Tutto viene veicolato dalla memoria che vorrebbe essere criterio razionale, assoluto e che invece, interagendo con il presente, non può fare a meno di muoversi ad ondate travolgenti. Il racconto dell’avventura passata è oggetto della memoria che non è mai percorso lineare. Il fatto che fosse morto non sembrò modificare granché le sue fantasticherie, se così le vogliamo chiamare à alla memoria si incrocia continuamente l’immaginazione di Meriel che sposta e modifica le scene. La consapevolezza ci porta all’elaborazione di tutto un percorso: l’immaginazione di Meriel negli anni ha continuato a proseguire nella direzione di nuovi incontri con il medico, mai avvenuti. In tutto questo atto di ricordare ha dimenticato un dettaglio che aveva rimosso perché non le era piaciuto in tutta la vicenda, fantasticando invece sulla felicità che aveva provato. Gli mosse incontro, per baciarlo, un gesto del tutto naturale, dopo le ore appena trascorse - ma lui le disse: - No. - No. Non lo faccio mai. Ovviamente non era vero che non lo faceva mai. Che non baciava mai nessuno all'aperto, sotto gli occhi di tutti. L'aveva fatto non più tardi di quel pomeriggio, a Prospect Point. No. à il narratore veicola il punto di vista di Meriel e il suo pensiero che

si riporta all’io narrato in quel preciso momento. Non lo faccio mai era tutt'altra cosa però. Un genere diverso di cautela. Un'informazione che non poteva farla felice quand'anche nascesse dalla volontà di impedirle di commettere un grave errore. Di metterla al riparo dalle false speranze e dall'umiliazione di un certo tipo di abbaglio à il ragionamento, al presente del suo ricordo, è veicolato dal narratore e implica un senso di fastidio. E come si erano salutati dunque? Stringendosi la mano? Non se lo ricordava à la memoria è selettiva, è una difesa che spesso rimuove ciò che non è importante o ciò che non vuole ricordare. I racconti della Munro si sviluppano in nome del veicolo privilegiato della memoria che, qui, narrativamente si sviluppa nei modi più diversi, nella sua complessità caratteristica. Non dubitava della verità di quel ricordo. Non capiva piuttosto come avesse potuto soffocarlo così a lungo à l’aspetto della consapevolezza attraversa ciò che è rimosso. Si ha poi un’ipotesi della sua vita, una modifica riguardo quell’angolo oscuro che era stato per un po’ di tempo rimosso. Quel piccolo gesto di difesa, quella precauzione cortese e micidiale, quel sussulto di inflessibilità si erano irranciditi insieme a lui, come una moda superata à tutto in qualche modo ha agito sul suo futuro.

Primo Levi (1919 – 1987) Primo Levi nasce a Torino nel luglio 1919. Qui trascorre molta parte della sua vita. I genitori erano entrambi ebrei (si sposarono nel 1918) e avranno nel ’21 una seconda figlia. Primo frequenta il liceo classico D’Azeglio, molto noto a Torino, che annovera insegnanti molto celebri, molti dei quali dichiarati apertamente anti-fascisti, così come numerosi studenti (tra cui Cesare Pavese e Fernanda Pivano ). Si delinea in lui in questi anni una vocazione molto forte verso le materie scientifiche con una predilezione assoluta verso la chimica , grazie soprattutto al supporto del padre. Primo Levi ricercherà e rispetterà per tutta la sua vita la verità e questo si rifletterà nel corso di tutta la sua carriera, svolgendo il mestiere di chimico e quello di letterato. Un’altra sua passione che si sviluppa durante il periodo liceale è quella per la montagna e l’ alpinismo ; anche questa tornerà nei suoi racconti. Quest’ultima favorì, a sua volta, la sua vocazione per la solitudine. Nel 1927 Levi si iscrive alla facoltà di Chimica presso l’Università di Torino; verrà però subitamente vincolato dalle legge raziali , impedendogli di trovare un docente disposto a seguirlo durante la sua tesi, nonostante fosse uno degli studenti più brillanti. Riesce comunque a laurearsi con 110 e lode nel 1941. In questi anni, si ammala il padre e muore, costringendo il giovane a mettere da parte le ambizioni accademiche per trovare un impiego. Comincia a lavorare in una cava di estrazione di amianto per la produzione bellica. Questa esperienza sarà oggetto di storie e di racconti. Diviene però sempre più difficile regolarizzarlo nel lavoro, sempre a causa delle legge razziali, e riuscirà però a trovare impiego presso una sede milanese di ricerca farmaceutica, dove avrà la possibilità di studiare farmaci sperimentali. A Milano trova un ambiente particolarmente fecondo che gli consentirà di frequentare molti giovani ebrei (ne parlerà nel racconto Oro de Il sistema periodico ), come lui, intellettuali di origini torinesi. Anche grazie a queste frequentazioni, comincia ad essere attiva la sua scelta e la sua ideologia politica entrando a far parte del Comitato Nazionale rafforzandosi in lui la vocazione civile; nel 1943 lascia infatti la Lombardia per seguire un corso di formazione partigiana in Valle D’Aosta, insieme ad altri suoi amici e colleghi. Viene però intercettato dalle milizie fasciste e condotto al capoluogo, senza mai mostrare reticenze circa l’ammissione delle sue origini ebree. Verrà poi portato preso il Campo di Fossoli, a Modena , un campo di concentramento di transizione. Poco tempo dopo la struttura verrà dominata e assoggettata ai tedeschi che organizzeranno l’organizzamento degli ebrei italiani verso altri campi europei. Il 22 febbraio 1944 circa 6 uomini e donne verranno trasportati presso il campo di concentramento polacco di Auschwitz , dove Levi rimarrà per un anno, fino al 27 gennaio 1945, data dell’arrivo dei soldati sovietici. Questa esperienza cambia indubbiamente la vita di Levi in modo radicale e sarà da qui che nascerà la sua volontà di testimoniare , sempre più o meno esplicitamente accompagnata da una vergogna terribile e dal senso di colpa che appartengono a numerosissimi deportati ad Auschwitz per essere sopravvissuti. Il senso di colpa appartiene in modo intrinseco alla memoria di Primo Levi:

Il primo racconto è Argon (sono in tutto 21) che è puramente metaforico e che riguarda la qualità del gas inerte. Il vero e proprio romanzo di formazione (storia dei rapporti del protagonista con la chimica) inizia invece nel secondo capitolo, Idrogeno , che restituisce in qualche modo la scoperta della materia, delle sue leggi da parte del protagonista. La chimica, dall’età giovanile, diviene la stella di riferimento di Primo Levi per un metodo ed un modo di vivere. “La chimica è una disciplina anti-fascista” = la ricerca è una ricerca di possibilità, è una lotta contro la materia da cui si può lavorare per estrarre qualcosa; dal disordine, ciò che non è dominabile, si può passare grazie alla chimica all’ordine, a ciò che è ordinabile. Un solo racconto, Celio , viene totalmente ambientato ad Auschwitz. Il percorso di formazione riprende dal racconto successivo, dalla vita dopo la guerra “risolta” grazie alla vita sentimentale e lavorativa. La sfida alla materia è sempre al centro della sua vita lavorativa in qualità di chimico ma anche a quello della sua vita quotidiana. Arriverà alla fine a raccontare le peripezie di un atomo di carbonio con il quale darà sfogo alle sue ambizioni di scrittore, concludendo così il libro. Tutto questo viene condotto attraverso una particolare scelta di scrittura e tecnica narrativa, della quale lo stesso Levi parla in un saggio contenuto nel libro I due mestieri affermando che il linguaggio del cuore sia da preferire alla forza del linguaggio razionale, della mente; successivamente, in un postulato, affermerà invece che la mente e la ragione sono infatti anche percorso che rende umani. Per quanto riguarda la lingua e lo stile, sicuramente questi cambiano notevolmente durante tutta la sua carriera letteraria; qui, si ha uno stile particolare ed una narrazione breve con comunque dei caratteri tipici di Levi. La scelta stilistica di Levi verte su una lingua che si comunicativa , indipendentemente dall’oggetto che vuole comunicare, per quanto terribile esso sia; la sua lingua deve quindi essere chiara, esatta, precisa e che rifiuta tutto ciò che può essere ambiguo. Levi affermerà che proprio il suo mestiere di chimico lo abbia condotto a questo tipo di scelta linguistica che definirà infatti “ stile di chimico ”. La sintassi è spesso breve, costruita per giustapposizione e si ha una forte presenza di dittologia/trittologia aggettivale che costruisce talora sia un rapporto di contiguità che di opposizione semantica. La memoria analitica è veicolo del discorso e si rivela in una formazione di chiarezza assoluta di giudizi. Il testimone è un memorialista che tende ad una classificazione dei fatti che narra, sempre ordinati, chiari e posti in una sequenza cronologica precisa; anche i giudizi a riguardo appartengono alla razionalità. La lingua ha come obiettivo ed esito la chiarezza e concretezza , i termini esprimono direttamente il loro significato, senza troppe allusioni/determinazioni nascoste. A queste caratteristiche si alterna la presenza di classicità e arcaicità e di un linguaggio tecnico. Mengaldo osserva che sarebbe un errore giudicare la lingua di Levi semplici essendo questa molto complessa, procedendo per aggiunte e contrasti. In Levi, si hanno numerose figure retoriche; quella per eccellenza è sicuramente l’ ossimoro proprio perché esterna il contrasto e la compresenza di due poli opposti. Si hanno poi numerosi elementi meta-linguistici: - Riflessione sull’atto stesso di scrittura - Inclusione del racconto in un altro; modo per far parlare i casi, le persone che l’io narrante incontra

Mengaldo ha sostenuto che a fare lo scrittore è stato Auschwitz e il mestiere di chimico. In entrambi i casi, la lingua di Levi è una lingua sempre trasparente, transitiva e anche il rapporto tra la lingua di Levi e il linguaggio scientifico sottolinea la volontà di raccontare in modo chiaro ed efficace pur dando spazio all’ambiente della chimica, narrativizzandolo. La modalità che oppone il caos al disordine si sviluppa anche come possibilità da parte del bene di opporsi al male : alla scrittura, Levi affida il ruolo di poter raccontare la testimonianza, di dare conto anche del male per diffonderlo ed esorcizzarlo, capendone le origini e le conseguenze. Il luogo e lo spazio del laboratorio diviene luogo nel quale è possibile esplicare la sfida della materia, ciò che è apparentemente indomabile. Diversi critici hanno cercato di ridurre i racconti de Il sistema periodico ad un ordine preciso, si ha però un ordine che ha voluto imporre Levi stesso, difficile da ridurre ad una spiegazione poiché i capitoli

non si susseguono in un ordine identificabile che però non può comunque essere modificato. Cerio , racconto centrale dei 21, unico ambientato ad Auschwitz; ad esso precedono e susseguono 10 racconti. Si ha anche un lavoro di simmetria: il settimo e l’ottavo racconto sono scritti in corsivo (scelta autoriale), scritti in prima persona da un io non autobiografico. Il secondo e il terzo, Zolfo e Titanio, sono invece accomunabili dal punto di vista tematico. Si ha un ordine che è quindi difficile perché la realtà non è riducibile ad uno schema preciso = il tentativo di ordinare il caos della vita non può mai condurre Levi a comunicare l’operazione in un’esperienza facile. Il valore che Levi affida alla scrittura trova un altro esito nella fiducia che Levi le consegna in qualità di mezzo per rappresentare, testimoniare la realtà nella sua forma.

Ferro In questo racconto l’io narrante si trova nella fase degli studi universitari. Si ha un rapporto parallelo fra la realtà storica in cui l’io si trova a vivere. La narrazione degli avvenimenti storici si interseca in modi diversi nei racconti di Levi. L’incipit di questo racconto riguarda la situazione esterna europea. (1) collocazione storica della storia individuale. La vicenda implica qui anche la messa in scena di un personaggio: Sandro , richiamato in altri racconti successivi, qui trova uno spazio maggiore. L’io narrante popola lo spazio e l’ambiente di alcuni personaggi particolari definendone i tratti in modo più o meno definito. I personaggi si sviluppano su due livelli: rapporto che il protagonista instaura con loro e autonomia che riescono a ritagliarsi nello spazio del racconto rispetto a questo. Il protagonista che parla in prima persona sta frequentando il secondo anno e in particolare il laboratorio di analisi chimica. Levi ci immette subito nel linguaggio tecnico-scientifico à specificità del linguaggio di Levi: questi termini non compaiono mai come parentesi isolate e incomprensibili ai lettori. Tutto ciò in nome della volontà di Levi di essere assolutamente comunicativo. Viene poi presentato il compito del laboratorio in una modalità in cui l’io, in quanto collega/compagno, viene accomunato ad un noi. (2) viene messo in evidenza il rapporto con la materia : fin dai primi anni dell’università l’oggetto di aggressione e al contempo di analisi e la Materia che diviene una sorta di “madre nemica”, una sfida che l’io deve in qualche modo superare. Oltre alla grandissima passione e all’enfasi che Levi affida alla scelta della sua disciplina si ha anche la considerazione dell’ errore , del fatto che durante l’esperienza personale e lavorativa si sbagli poiché l’errore può e deve attraversare la nostra esperienza , innanzitutto quella individuale. La vicenda si svolge all’interno del laboratorio, legato ad una modalità istituzionale esterna; spesso Levi entra nel merito dei dettagli. (3) viene introdotto qui il personaggio di Sandro che parla annunciando di aver distinto nel compito del professore l’elemento del ferro; viene poi riportato il nome proprio del personaggio. Si ha l’apposizione “il taciturno” in forte contrasto con le parole coraggiose pronunciate dallo stesso personaggio. Presenta subito Sandro tramite tratti fisici, caratteriali e ideologici. I tratti fisici utilizzati non si isolano nella loro descrizione rivelando già un certo tipo di assetto sociale e di modalità comportamentale. (4) la modalità di descrizione di Levi è sintetica: parla di un riferimento esterno (leggi raziali) alludendo alle sue origini (ebree) e al fatto che venga civilmente allontanato dai suoi colleghi cristiani. La sintesi dà l’idea del comportamento degli altri e della reazione comportamentale dell’io. Si ha l’espressione dei pensieri come definizione della diffidenza: le leggi raziali mettono in pericolo le relazioni sociali. La diversità del personaggio diviene sintomo ed indice dell’intelligenza del ragazzo. (5) l’amicizia tra l’io narrante e il protagonista si basa sulla diversità. Viene delineata l’immagine di due persone che hanno qualcosa da dirsi e da darsi in nome della loro differenza. I due personaggi si attraggono come un catione ed un anione, due atomi carichi, uno positivamente ed uno negativamente; l’io attraversa la chimica ed usa funzionalmente il suo lessico per spostarlo sul piano della realtà. (6) queste grandi differenze che si profilano tra i due personaggi lasciano comunque aperto lo spazio dell’ intesa. Sandro riesce a studiare ma non ha attrazione per la cultura e nemmeno per la chimica, a differenza dell’io narrante; è infatti più attratto al guadagno e alla semplicità che caratterizzano la materia. L’io narrante lo spinge comunque a studiare.

consapevolezza precisa di ciò a cui stava andando incontro. Chiama in causa i grandi maestri, protagonisti e testimoni torinesi della generazione immediatamente precedente. Si ha un “noi” generazionale. (3) la consapevolezza diventa quella che riguarda la sfera esistenziale, il gruppo esistenziale; comincia a delinearsi la crisi storico-politica e generazionale che si riversa immediatamente sull’individuo. Si ha consapevolezza di essere soli, di non sapere contro e chi combattere. (4) crisi dell’io che addirittura mette in gioco la scelta universitaria perché non trova più certezze nemmeno in ciò che studia. Viene messo in gioco tutto ciò che è dogma, imposto, regola non discussa aprioristicamente. Comincia a farsi strada un periodo grandissimo per l’io narrante: l’impossibilità di trovare un relatore poiché nessun docente voleva seguirlo nella sua laurea magistrale in quanto ebreo. Trova però un particolare personaggio: l’assistente del corso di fisica. (4) i tratti fisici dei personaggi rimandano in Levi sempre anche a tratti caratteriali. Dopo svariati rifiuti, l’io narrante riesce a cominciare la tesi nel laboratorio di fisica sperimentale, accolto e seguito dall’assistente che sempre più si rivela ricercatore molto esperto. L’assistente affida lui un compito, oggetto della ricerca di laurea. Il rapporto con questo assistente all’interno della narrazione definisce le caratteristiche comportamentali e morali dello stesso. L’assistente si delinea come un uomo particolarmente colto. (5) l’indiretto libero viene ora gestito dall’io narrante che gestisce però le parole dell’assistente e non dell’io narrato. (6) la storia entra ed invade la dimensione personale; l’azione dell’io continua a trovare quella dimensione di entusiasmo assoluto, ovvero nell’esperienza del lavoro in laboratorio. (7) il titolo riguarda proprio l’elemento chimico, il potassio, fonte di sperimentazione chimica. L’io narrante compie l’esperimento sbagliando, pur nell’entusiasmo e nell’esperienza. Una volta posto rimedio all’errore, il protagonista corre a raccontare l’accaduto all’assistente. (8) passo costruito in modo particolare: l’io narrante descrive i fatti e dopo i due punti comincia la modalità del discorso indiretto libero, come se il narratore si trovasse ad assumere nel suo i pensieri e le parole che appartengono all’assistente. In realtà queste si scoprono essere ipotesi perché alla fine l’assistente non disse nulla à questa severità autoritaria che implica la competenza insinua il dubbio nella mente dell’io. (9) lo sguardo severo riguarda la sua stessa morale. Dalla posizione pratica ed istruttiva della sua esperienza trae delle conclusioni che divengono allegoriche e simboliche della natura umana.

Nichel Si ha qui un racconto della maturazione politica, personale e storica che lascia dei segni nella narrazione: questa mantiene determinate costanti ma anche delle modalità di cambiamento. Si ha qui uno spostamento, l’io è ormai laureato e svolge il suo primo lavoro. Si alternano qui i piani: il piano discorsivo di un racconto individuale si incrocia con la storia pubblica, fatti realmente accaduti. Si ha l’invasione e a volte la prevalenza della storia nella narrazione. Nichel è il punto in cui i giudizi del narratore, fino ad adesso più focalizzati sull’aspetto individuale e i suoi singoli rapporti, si fanno più espliciti anche sul contesto socio-storico che l’io narrato vive. Entra in gioco anche l’ ironia , sottile, che implica la posizione straniante di uno sguardo del narratore che si rivolge alla narrazione, alle persone. Si ha qui anche un altro elemento ancora più esplicito: si ha narrazione all’interno di narrazione. In alcuni racconti si delinea anche la dimensione del mistero , del non esplicito, del volontariamente nascosto e che ruota attorno ad un luogo o ad un evento, un fatto; la scrittura di Levi attraversa così generi e stili diversi. (1) L’incipit di questo nuovo racconto ha un tono ed una modalità nuova. La storia individuale si interseca anche qui alle vicende della realtà esterna. Lo sguardo è rivolto alla catastrofe che sta per riversarsi sull’Europa. L’autore sottolinea come affianco al nome, Primo Levi, sulla sua laurea venga sottolineato di “razza ebraica” à l’oggettività di questo valore appositivo messo in rilievo ne esplicita il significato. La vicenda si sviluppa attorno all’arrivo di un tenente che va direttamente a casa di Levi per offrire lui un lavoro. Si ha qui una costellazione di personaggi; il primo è questo tenente che si presenta a casa sua. (2) al tenente interessa cercarlo e proporgli un lavoro à con la proposta si delinea l’atmosfera misteriosa. Il mistero è un concetto che piace molto a Primo Levi.

Questo velo di non detto e sconosciuto appartiene alla sua scrittura come un gusto che deve trovare una linea di sviluppo nei suoi racconti. Il luogo in cui lo condurrà il tenente sarà a sua volta un non luogo, privo di determinazione spazio-temporale. (3) nella spiegazione dell’impiego si ha il riferimento all’elemento del titolo. Qui il nichel indica proprio la ricerca del materiale che va poi diviso e separato. Il luogo e le modalità di valoro appaiono ancora poco chiare. La segretezza è gestita sul doppio livello ma riguarda solo il fatto che nessuno avrebbe dovuto venire a conoscenza delle sue origini ebree; anche quando non si ha un commento esplicito del narratore si ha l’esplicitazione di determinate forme/aggettivi (qui origine “abominevole”) che rende chiara la percezione dell’io narrato. (4) in qualche modo, il segreto che deve proteggere l’idea che ha avuto il tenente sembra conciliarsi con il fatto che un ebreo non può scoprirsi; questo tenente sembra provare comunque un distacco rispetto l’ideologia di cui veste, a partire dalla divisa. Il protagonista accetta e partono immediatamente, il giorno dopo, per il luogo misterioso. Una volta arrivato, viene accolto in modo strano quasi a confermare l’alone di mistero che deve mantenere tutto sotto segreto. (4) continua a fare irruzione la narrazione delle vicende storiche, qui seguita dalle reazioni di chi partecipa all’annuncio di nuove notizie. La storia esterna interagisce qui strettamente con la storia individuale. Il protagonista comincia a trascorrere la sua vita in un luogo non-luogo, isolato dal resto. (5) anche nella descrizione dello scenario più angosciante della situazione della miniera, continua ad insinuare questa dimensione di mistero, di non-noto, a partire del luogo che non viene mai nominato. Iniziano ad alternarsi le storie senza soluzione di continuità à alla vicenda drammatica dei fatti che si susseguono si alterna la narrazione della vicenda dell’io-chimico e delle sue vicende lavorative, alternate a loro volta al racconto di vicende singole, personali, umane, poco significative. Il narratore mostra le diverse esperienze attraverso segmenti narrativi inclusi nella storia. In questo racconto è infatti frequente la modalità del “mi raccontò”; qui (6) si ha il primo. Questi segmenti implicano il gusto dell’io narrante di cedere la propria funzione di narratore a tanti personaggi che costellano il suo mondo. L’io non è più il narratore in questo caso ma cede continuamente il senso della sua funzione al fatto che diventi ascoltatore della storia ( narratore à ascoltatore ). Lo sguardo alterna la possibilità di essere benevolo, affettuoso ad uno sguardo ironico nei confronti di questa comunità. Viene messa in scena una storia particolare, quella della signora Bortolasso. (7) la signora Bortolasso non diviene narratore come gli altri personaggi ma le viene concesso uno spazio più ampio. Questa volta è il narratore a raccontare la sua vicenda, assumendo il punto di vista della comunità à l’io narrante narra in modo estraniante, ironico-satirico. (8) qui l’intento è di mostrare un narratore che, attraverso la narrazione in terza persona, gestisce il racconto assumendo il punto di vista della comunità e il suo linguaggio. Inizia qui un discorso indiretto libero. “queste cose non le intende”: dislocazione a sinistra. (9) il narratore assume in sé i pensieri della ragazza. Si ha la volontà di mettere ordine ad una dimensione che apparentemente non si può capire. (10) il protagonista ha intenzione di ritrovare l’utilità degli studi per mettere ordine a ciò che apparentemente razionale non era. Compare anche qui la possibilità dell’ errore (11) il suo significato cambia nel momento in cui si ha una responsabilità più grande. Si ha poi il tentativo che il

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Appunti modulo C

Corso: Critica e teoria della letteratura

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MODULO C
Paul Ricouer, Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato
1 - L’enigma del passato
Ambito della memoria, del ricordo, di ciò che è relegato nel passato (rapporto dinamico tra passato-
presente-futuro). Riflette sul termine “passato”, diventato sostantivo poiché trattato come luogo in cui
si depositano le esperienze vissute, passato. Quest’ultimo viene quindi visto per prima cosa come un
ambito spaziale. Viene qui continuamente posto in confronto con il linguaggio, chiamando in causa gli
avverbi di tempo e in particolare quelli presenti nel linguaggio comune. La memoria è ciò che
costudisce il passato e che mette quindi in correlazione anteriorità e posteriorità.
Il referente della memoria della storia
Ricoeur mette qui in gioco le due dimensioni del ricordo e della memoria. Il passato viene concepito
come ciò che non è più e, al contempo, come “essente stato”. La prima definizione è di tipo avverbiale
e negativo mentre la seconda, invece, appartiene all’ambito dei verbi ed è un’affermazione positiva
(Spinicci). Che cosa ci fa riconoscere che un’immagine è veridica? L’enigma è condensato su questo
aspetto: poiché l’impronta del passato vi sia è necessario che qualcosa l’abbia provocata. Il ricordo è
un’immagine che assomiglia a ciò che l’impronta lascia e costudisce. Arriva così alla questione della
rappresentazione riproponendo l’aporia dell’immagine. La memoria pone sotto l’ambito di una assoluta
indecibilità lo statuto complesso e che regge i poli opposti della dicotomia verità-fedeltà, alla base della
natura stessa del ricordo e della memoria. Quanta credibilità dobbiamo dare alla rievocazione? Ricoeur
arriva a discutere lo sviluppo della memoria sul piano temporale e l’attribuzione di valore che può
essere possibile. Da un lato, la memoria si pone l’obiettivo di riproporre il passato nella sua fedeltà ma
dall’altro si impone necessariamente la sua stessa mancanza di affidabilità. Sfortunatamente però la
memoria è tutto ciò che abbiamo per ricordarci del passato. Dobbiamo poi inserire laltra componente:
quella del futuro. Lo scambio avviene anche con l’attesa del futuro e la presenza del presente;
dobbiamo servirci della memoria per attivare un processo conoscitivo che da un lato riattiva il passato,
rielabora il presente e mostra l’attesa del futuro (dinamica tripartita). Ricoeur analizza poi le
considerazioni di Agostino e di Heidegger. Introduce poi la questione degli archivi, depositi delle
carte degli autori ed oggetto di studi soprattutto più recenti. Lo studio delle carte è sempre più luogo
dello strumento che ci riporta alla ricostruzione del testo. Gli archivi, i documenti, le tracce sono
formati da materiale appartenente al passato à la memoria, sia privata che pubblica, ha un ruolo
importante rispetto la storia e la documentazione di presente e futuro. Si ha qui la dimensione della
riflessione sul passato e sulla lettura che al presente un documento produce. Ricoeur include poi il tema
della colpa: il fardello che il passato fa pesare sul presente e sul futuro. Questo sentimento può essere
alleggerito dal metodo del perdono. La colpa trasferisce e declina la memoria al futuro, è l’imperativo
che proviene da una dimensione morale (“te ne pentirai..”). Ricoeur sostiene che si debba ad Heidegger
la fenomenologia più sviluppata riguardante la colpa. Compare poi un’altra questione: la memoria
istruisce la storia. La conoscenza storica è una conseguenza, una disposizione del movimento della
storia che per sua vocazione sarebbe retrospettiva; la conoscenza storica funziona invece sulla dinamica
temporale, sulla dinamica della memoria che si occupa degli uomini del passato nel tempo presente.
Passato, memoria, storia, oblio
Che cos’è la memoria collettiva e in quale rapporto si pone con la memoria individuale? La memoria
non è unicamente uso privato del soggetto umano. Il principio non deve essere quello di un aut aut, o
una memoria collettiva o una individuale quanto di una memoria individuale, fondamentale, e anche
quella di una collettiva (un et et) che vede l’individuo collocato necessariamente allinterno di un
tessuto sociale. La memoria individuale sembra essere caratterizzata da tre aspetti specifici: