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Organizzazione Industriale

Riassunto Manuale Organizzazione industriale - Carlton e Perloff e int...
Corso

Economia Industriale (1005346)

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Anno accademico: 2019/2020
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ORGANIZZAZIONE INDUSTRIALE

CAP 1 – Una panoramica dell’organizzazione industriale

Tutto il capitolo, integrazione lezione introduttiva

Secondo Carlton e Perloff (2005) l’organizzazione industriale è quella disciplina economica che studia la struttura delle imprese e dei mercati e le loro modalità di interazione; cala nella realtà il modello della concorrenza perfetta, considerando fattori quali l’informazione incompleta, i costi delle transazioni, i costi dovuti all’aggiustamento dei prezzi, gli interventi pubblici e le barriere che ostacolano l’entrata di nuove imprese in un mercato. F. Scherer nel 1980 definì l’organizzazione industriale affermando che si tratta di come l’attività produttiva sia armonizzabile con la domanda di beni e servizi attraverso l’agire di meccanismi organizzativi del libero mercato, oltre che della misura in cui i cambiamenti o imperfezioni di tali meccanismi influiscono sulla capacità dei produttori di soddisfare i bisogni della società. L. Cabral nel 2000 affermò che per “industria” si intende di solito il settore produttivo secondario, in contrapposizione all’agricoltura da una parte e ai servizi dall’altra. In questo senso industria è sinonimo di manifattura. A volte si usa per indicare una particolare impresa. In inglese i termini industry e industrial hanno anche un altro significato: quello di indicare un particolare settore industriale (ad es. industria della ceramica), più in generale, un particolare mercato. Schmalensee e Willig nel 1989 dichiararono che il manuale di organizzazione industriale mira a servire come fonte, riferimento e supplemento di insegnamento per l’organizzazione industriale (o economia industriale), l'ampio campo all'interno della microeconomia che si concentra sul business e sulle sue implicazioni sulle strutture e i processi di mercato, e per politiche pubbliche nei loro confronti.

Esistono almeno due approcci principali per affrontare lo studio dell’organizzazione industriale: il primo approccio, denominato struttura-comportamento-risultati è prevalentemente descrittivo e atto a fornire una visione di sintesi dell’organizzazione industriale; il secondo, basato sulla teoria della formazione dei prezzi, si avvale di modelli microeconomici al fine di spiegare il comportamento delle imprese e la struttura del mercato. Secondo l’approccio struttura-comportamento-risultati, i risultati economici di un’industria, in termini di benefici prodotti per i consumatori, dipendono dal comportamento delle imprese, che a sua volta, è funzione della struttura, cioè l’insieme dei fattori che determinano la concorrenzialità di un mercato. La struttura dipende dal alcune condizioni di base, quali la tecnologia e la domanda.

Struttura Le caratteristiche strutturali di un settore tendono a cambiare in modo relativamente lento per cui nel breve periodo possono spesso essere considerate fisse. - Il numero e la distribuzione per dimensione dei compratori e venditori costituiscono un'importante determinante del potere di mercato esercitato dalle imprese leader nel settore e del grado di discrezionalità esercitata dai venditori sui propri prezzi. Nelle industrie dei beni di consumo è normale la presenza di un elevato numero di piccoli acquirenti atomistici, conseguentemente, la principale attenzione degli studiosi va al numero e alla distribuzione dimensionale dei venditori. Nelle industrie dei beni capitali, tuttavia, è possibile che anche il numero dei compratori sia piccolo. In questo caso può esserci potere di mercato sia sul lato della domanda sia sul lato dell'offerta, infatti, i compratori possono esercitare la propria discrezionalità sui prezzi che pagano. - Le condizioni di entrata e di uscita comprendono le barriere all'entrata, che possono essere definite genericamente come qualsiasi ostacolo che pone un entrante potenziale in una posizione di svantaggio competitivo nei confronti di un'impresa già presente sul mercato. La questione importante risiede nella relativa facilità o difficoltà che l'impresa può sperimentare quando fa il suo ingresso in un settore: se l'entrata è difficile, allora l'impresa dominante è protetta dalla concorrenza esterna. Le barriere all'entrata possono derivare da caratteristiche fondamentali del prodotto o della tecnologia di produzione o dalla struttura dei costi; oppure da azioni deliberate, adottate dalle imprese già presenti sul mercato per scoraggiare o impedire l'entrata. Gli impegni irreversibili comprendono i casi di imprese dominanti che effettuano investimenti che non possono essere recuperati nell'eventualità di un successivo ritiro dal mercato. Elevando in questo modo le barriere all'uscita, un'impresa dominante può segnalare la sua intenzione di restare dov'è e di battersi per preservare la sua quota di mercato. Il segnale, da solo, può essere sufficiente a far desistere dalla sua intenzione un potenziale entrante. - La differenziazione si riferisce alle caratteristiche del prodotto. Qualsiasi cambiamento delle caratteristiche del prodotto offerto, sia esso reale o immaginario, può influenzare la quota della domanda totale di mercato riferibile ad ogni singola impresa. - Integrazione verticale e diversificazione. L'integrazione verticale si riferisce alla presenza di un'impresa in fasi differenti dello stesso processo produttivo. Le imprese diversificate producono una varietà di beni o servizi per

mercati diversi. È’ probabile che il grado d'integrazione verticale o di diversificazione abbia implicazioni per i comportamenti strategici e i conseguenti risultati economici. Imprese verticalmente integrate hanno una certezza maggiore di ottenere forniture di fattori della produzione o sbocchi distributivi garantiti e hanno la possibilità di ricorrere ad alcune pratiche anticoncorrenziali che possono penalizzare i rivali non integrati. Le imprese diversificate possono beneficiare delle economie di produzione congiunta e sono meno esposte al rischio dei loro rivali non diversificati, perché le perdite realizzate in un mercato possono essere compensate con i profitti ottenuti in altri settori. Le imprese, ovviamente, compiono le proprie scelte concernenti l'integrazione verticale e la diversificazione nel lungo periodo; perciò, nel lungo periodo queste caratteristiche possono essere considerate variabili strategiche.

I comportamenti Le principali variabili relative ai comportamenti sono le seguenti: - Obiettivi economici. Gli obiettivi che le imprese perseguono spesso derivano dalle caratteristiche strutturali dell'industria, in particolare dalla distribuzione per dimensione delle imprese. La teoria neoclassica dell'impresa postula l'obiettivo della massimizzazione del profitto; dal canto loro, le teorie manageriali sottolineano la massimizzazione di obiettivi diversi dal profitto quali il fatturato, la crescita o l'utilità dei manager. - Politiche di prezzo. Il grado di discrezionalità di un'impresa nel determinare il proprio prezzo dipende in larga misura dalle caratteristiche strutturali dell'industria. Le politiche di prezzo possibili comprendono il metodo del mark-up, la fissazione del prezzo al costo marginale, le politiche di prezzo per scoraggiare nuovi entranti, i prezzi predatori, la leadership di prezzo e la discriminazione di prezzo. - Caratteristiche del prodotto, branding, pubblicità e marketing. Le caratteristiche naturali o intrinseche del prodotto influenzano il ricorso a strategie non-di-prezzo centrate sul prodotto, la marca, la pubblicità e il marketing. - Ricerca e sviluppo. Insieme con la pubblicità e il marketing, l'investimento in ricerca e sviluppo può essere considerato un ovvio strumento per la concorrenza non-di-prezzo tra imprese rivali. La dimensione e l'efficacia dell'investimento in ricerca e sviluppo nonché il tasso di diffusione di un'innovazione sono determinanti decisive del ritmo del progresso tecnologico. - Collusione. Un'altra opzione aperta alle imprese che desiderano evitare forme dirette di concorrenza di prezzo o non di prezzo è colludere tra loro, in modo tale da pervenire a decisioni collettive concernenti prezzi, livelli di produzione, budget pubblicitari e di ricerca e sviluppo. La collusione può essere sia esplicita (attraverso accordi come quelli di "cartello”) o tacita (raggiunta tramite accordi o intese meno formali). - Fusioni. Le fusioni orizzontali (tra imprese che producono lo stesso prodotto o prodotti analoghi) hanno implicazioni dirette sulla concentrazione dei venditori nell'industria in questione. Le fusioni verticali (tra imprese operanti in fasi successive del processo produttivo) influiscono sul grado d'integrazione verticale. Le fusioni conglomerali (tra imprese che producono prodotti differenti) influenzano il grado di diversificazione. Di conseguenza, ogni tipo di decisione concernente una fusione ha alla base una decisione strategica diversa che ha un effetto di feedback sulla struttura del mercato o del settore.

Risultati economici/Performance I principali indicatori della performance, terza componente della tricotomia SCR, sono specificati nell'elenco seguente: - Profittabilità. La teoria neoclassica postula che una profittabilità elevata o anormale sia il risultato di un abuso di potere di mercato da parte delle imprese dominanti. D'altra parte, è stato anche sostenuto dalla Scuola di Chicago che un profitto elevato può essere la conseguenza di vantaggi di costo o di una superiore efficienza produttiva da parte di alcune imprese, che sono state in grado di conseguire una posizione di monopolio abbassando i prezzi e costringendo i rivali a uscire dal mercato. Se questo è il caso, il potere di mercato e l'extraprofitto non devono essere visti come dannosi per gli interessi dei consumatori. Analogamente, dal punto di vista di Schumpeter e della Scuola austriaca, l'extraprofitto è la ricompensa per le innovazioni di successo, o per l'esercizio di una superiore lungimiranza o consapevolezza da parte dell'imprenditore. Nella misura in cui la profittabilità influenza le decisioni delle imprese a proseguire nell'attività o a uscire dal mercato, questo indicatore di performance ha implicazioni dirette per la struttura futura. - Crescita. La profittabilità è un appropriato indicatore di performance per un'impresa che massimizza il profitto, ma può essere meno rilevante per un'impresa che persegue altri obiettivi, quali le vendite, la crescita o l'utilità dei manager. La crescita delle vendite, del capitale o dell'occupazione potrebbe rappresentare un utile indicatore alternativo di performance con il quale confrontare i risultati d'imprese che erano di dimensioni diseguali all'inizio del periodo.

produzione interna dei beni e servizi di cui necessitano, a prescindere della possibile convenienza dell’approvvigionamento attraverso il mercato. Se il numero delle imprese è limitato e i singoli agiscono opportunisticamente le imprese tendono a evitare i contratti a lungo termine per timore di essere penalizzate con l’andare del tempo. Dunque, la scelta di affidarsi al mercato risulterà più probabile in presenza di un ridotto grado di incertezza, di un elevato numero di imprese e di una scarsa possibilità di comportamenti opportunistici.

Un altro approccio che sta ottenendo grandi consensi tra gli economisti è quello della teoria dei giochi che si avvale dei modelli formali per analizzare i fenomeni di conflitto e di cooperazione tra imprese e individui. Nell’ambito di questo approccio, la concorrenza tra imprese è come un gioco di strategie, ovvero come l’interazione tra diversi piani di azione formulati dalle singole imprese. In questo ambito le imprese competono per realizzare profitti. La teoria dei giochi spiega i criteri in base ai quali le imprese decidono le proprie strategie e le modalità secondo cui le strategie, interagendo, determinano i profitti di ciascuna impresa.

I mercati in cui si può entrare facilmente e rapidamente quando i prezzi superano i costi medi e dai quali si può uscire con altrettanta rapidità quando i prezzi scendono al di sotto dei costi medi sono denominati mercati contendibili. Nel caso di un numero limitato di imprese con facilità di entrata e uscita, il mercato è contendibile e può presentare le stesse caratteristiche di un mercato concorrenziale, in cui il prezzo è uguale al costo marginale e l’analisi del comportamento strategico non è rilevante; se invece il numero delle imprese operanti in un mercato è limitato e sia l’entrata sia l’uscita risultano difficoltose, il mercato non è contendibile e il comportamento strategico studiato dai fattori della teoria dei giochi ha un’importanza considerevole.

CAP 2 – Impresa e costi

L’impresa è un’organizzazione produttiva che trasforma gli input (fattori di produzione) in output (prodotti venduti sul mercato a un determinato prezzo). Il profitto dell’impresa è dato dalla differenza tra i ricavi derivanti dalla vendita dei beni prodotti e i costi relativi all’acquisto delle risorse utilizzate per la produzione e la vendita.

L’impresa e i suoi costi L’ipotesi sottostante alla maggioranza dei modelli economici è che l’obiettivo primario dei dirigenti di un’impresa consista nella massimizzazione dei profitti dell’impresa stessa. A tal fine i dirigenti devono far sì che l’impresa venda la quantità ottima di prodotto e realizzi l’efficienza produttiva; ciò significa che partendo dall’impiego di una certa quantità di fattori di produzione, si ottenga la massima produzione possibile avvalendosi della tecnologia a disposizione in quel momento. Può tuttavia accadere che l’obiettivo primario dei dirigenti non consista nella massimizzazione dei profitti, però esistono diversi fattori che riducono l’incentivo dei dirigenti di un’impresa a tenere comportamenti non in linea con essa. Le proprietà di un’impresa e il controllo sulle attività della stessa possono assumere diverse forme. Negli Stati Uniti le tre forme legali più comuni per un’impresa sono l’impresa individuale, la società di persone e la società per azioni. Nelle prime due i proprietari sono responsabili in prima persona degli eventuali debiti dell’impresa, ciò significa che l’intero patrimonio posseduto dai proprietari è a rischio. Le società per azioni sono imprese il cui capitale è ripartito in quote possedute da individui che hanno responsabilità limitata rispetto ai debiti aziendali. La responsabilità limitata dei singoli azionisti implica che, qualora la società fallisca, essi non sono tenuti a pagarne i debiti ricorrendo al proprio patrimonio personale; la perdita dell’azionista si limita al valore del pacchetto azionario posseduto. Una società per azioni può reperire fondi attraverso la vendita delle proprie quote azionarie. Le azioni emesse sono solitamente soggette alla contrattazione sul mercato e non sono necessariamente concentrate nelle mani di pochi individui. Dopo l’emissione delle azioni, la società non ricava nulla dall’eventuale compra-vendita delle stesse effettuata dai singoli nell’ambito del mercato azionario. Gli azionisti hanno il diritto di riscuotere il pagamento dei dividendi calcolati in base ai profitti realizzati dalla società. Le società per azioni possono reperire fondi anche emettendo obbligazioni. Ciò significa che esse si impegnano a restituire a coloro dai quali hanno ricevuto un prestito una cifra pari all’ammontare del prestito più l’interesse concordato. Dato il minor rischio legato all’acquisto delle obbligazioni, il loro rendimento tende ad essere inferiore a quello ottenibile con il possesso di azioni, poiché altrimenti nessuno sarebbe incentivato ad acquistare le azioni.

Nel libro di Berle e Means “The modern corporation and private property” gli autori sostenevano che il modello organizzativo della società per azioni è causa della separazione tra proprietà e controllo; ciò significa che i proprietari di una società per azioni, cioè gli azionisti, solitamente non coincidono con i dirigenti, i quali sono invece dipendenti della società stessa.

In caso di separazione della proprietà dal controllo può accadere che i dirigenti abbiano obiettivi diversi rispetto a quello della massimizzazione del profitto aziendale, per esempio la massimizzazione delle proprie remunerazioni, o un ritmo di lavoro tranquillo, uffici lussuosi. In numerose società per azioni, non vi è alcun azionista che controlli l’operato dei dirigenti in prima persona. Infatti per minimizzare i conflitti derivanti dalla separazione tra controllo e proprietà, di solito eleggono un Consiglio di amministrazione, le cui funzioni primarie sono la tutela degli interessi degli azionisti e il controllo dell’efficiente gestione dell’azienda. È’ lecito domandarsi chi supervisioni l’operato del Consiglio di Amministrazione e chi disponga dell’autorità di punire i membri che agiscano malamente. Una punizione può essere la non rielezione dei membri del consiglio e una conseguente perdita di credibilità. Questo sistema può non offrire la garanzia di un comportamento finalizzato alla massimizzazione del profitto aziendale. Inoltre, i due autori avanzano l’ipotesi secondo cui la gravità della Grande Depressione era parzialmente attribuibile alla diffusione di questa nuova e inefficiente forma di organizzazione delle imprese.

Un’impresa può espandersi perché desidera produrre una quantità maggiore di output o perché sceglie sia di produrre gli input sia di distribuire l’output. Ricorso al mercato e produzione interna all’impresa sono due modi alternativi per procurarsi beni e servizi; ovviamente, nel caso di elevati costi di interazione e contrattazione con altre imprese, prevarrà la tendenza a svolgere all’interno le varie attività che compongono il processo produttivo. Un fattore che limita il processo di espansione della produzione all’interno dell’impresa è il costo che deve essere sostenuto per controllare costantemente che i dirigenti e gli altri dipendenti operino in maniera efficiente e redditizia. La dimensione ottima dell’impresa dipende essenzialmente dal compromesso tra queste due esigenze.

Fusioni e acquisizioni Un’impresa può espandersi mediante l’investimento oppure mediante fusioni o acquisizioni, operazioni che consentono di combinare i capitali e le attività di due o più imprese esistenti per creare una nuova impresa. Esistono tre tipi di fusioni: 1. Fusioni verticali, in cui un’impresa si unisce con un suo fornitore 2. Fusioni orizzontali, in cui vi è l’unione di due imprese concorrenti nello stesso settore 3. Fusioni conglomerali, in cui l’operazione riguarda imprese operanti in settori diversi e non correlati La ragione che spinge ad acquisire un’impresa è generalmente l’aumento atteso della profittabilità, ma non tutte le fusioni conducono necessariamente a tale risultato; inoltre alcune fusioni possono aumentare la profittabilità delle imprese coinvolte, ma nuocere nel contempo alla società riducendo il grado di efficienza economica complessiva.

 Fusioni che aumentano il livello di efficienza; le acquisizioni e fusioni che aumentano il livello di efficienza economica sono altamente desiderabili per la società. Esistono svariati motivi per cui l’acquisizione di un’impresa esistente può promuovere l’efficienza, come per esempio l’aumento delle dimensioni per raggiungere un livello ottimale, la creazione di sinergie e il miglioramento del management. - Aumento della dimensione ottimale: l’accorpamento di due o più imprese può portare a una riduzione delle ridondanze e allo sfruttamento dei vantaggi derivanti dall’aumento delle dimensioni - Sinergie: imprese che svolgono attività diverse ma complementari possono ricavare dei vantaggi dalla fusione grazie alle conseguenti economie di scopo. Lo svolgimento di due diverse attività da parte di una stessa impresa può risultare più economico rispetto al loro svolgimento effettuato separatamente da due imprese specializzate - Miglioramento del management: l’acquisizione di un’impresa mal gestita e l’inserimento di un management migliore è fonte di profitto. Nel caso in cui i dirigenti ostacolino l’acquisizione per conservare la propria comoda posizione, ma essa abbia luogo lo stesso nonostante la loro azione difensiva, si parlerà di acquisizione ostile. In questi casi ci si trova spesso di fronte a battaglie intense e può accadere che siano gli stessi dirigenti a dover rilevare essi stessa l’impresa e perché un gruppo di manager possa reperire gli ingenti capitali necessari per l’acquisizione di una società per azioni, può far ricorso a un’operazione di leveraged buyout che prevede la vendita di obbligazioni garantite al valore dell’attivo contabile dell’impresa. Queste ricevono la denominazione di junk bond perché sono obbligazioni a elevato rendimento considerate più rischiose rispetto alle comuni obbligazioni  Fusioni che riducono il livello di efficienza; alcune operazioni di fusione possono causare una riduzione sia di livelli di efficienza sia di profittabilità. Possono aver luogo per ragioni fiscali, per motivi di sfruttamento nel breve periodo o per estendere il potere di mercato o l’influenza politica. - Ragioni fiscali: data la complessità del sistema fiscale statunitense può accadere che alcune imprese decidano di realizzare una fusione che sicuramente non porterà ad alcun aumento del livello di efficienza, solo per ragioni di natura fiscale; la fusione risulterà vantaggiosa per le imprese coinvolte, nonostante non vi sia alcun aumento di efficienza perché la stessa quantità di fattori di produzione è utilizzata per ottenere la stessa quantità di beni

I prezzi dei fattori di produzione di solito non sono gli unici elementi a influire sul costo; infatti i costi di produzione non dipendono esclusivamente dalla quantità di output ottenuta, ma anche dalla relativa velocità di produzione: produrre molto velocemente comporta solitamente costi più elevati, e bisogna considerare inoltre l’influenza esercitata dalla variazione del ritmo di produzione nel tempo.

Per breve periodo si intende un lasso di tempo così breve da non consentire una variazione a costo zero di alcuni tra i fattori di produzione impiegati. Si dice invece lungo periodo un lasso temporale sufficientemente esteso da consentire una variazione di tutti i fattori di produzione a costo zero. Nel breve periodo l’impresa deve svolgere la propria attività facendo ricorso esclusivamente dell’impianto e ai macchinari esistenti. Nel lungo periodo essa può decidere di ridistribuire opportunatamente il proprio capitale, acquistando nuovi macchinari, eliminando quelli vecchi, e traslocando le attività in un nuovo stabilimento studiato in modo tale da consentire la produzione di qualsiasi quantità di output al costo minimo. Il costo medio di lungo periodo risulta sempre uguale o inferiore al costo medio di breve periodo; tale relazione tra costi di lungo e breve periodo implica che la curva di lungo periodo sia costituita dall’inviluppo delle curve di breve periodo; questo significa che la curva di costo medio di lungo periodo è costituita dall’insieme delle sezioni delle curve di costo medio di breve periodo che, per determinata quantità di output, consentono di produrre al costo più basso.

Il costo opportunità di un’azione equivale al valore della miglior alternativa di utilizzo delle risorse impiegate per quella determinata azione. Indica la convenienza o meno a perseguire una determinata attività: è estremamente utile al fine di decidere se un’impresa debba continuare a utilizzare direttamente i propri beni capitali anche nel caso in cui questi potessero essere facilmente dati in affitto. Se tutti i costi sono stimati in base al costo opportunità, è sufficiente che il profitto sia nullo per far sì che valga la pena continuare l’attività svolta. Siccome assegna alle singole risorse il valore che queste avrebbero se fossero utilizzate nel modo alternativo più redditizio, si dice che il costo opportunità attribuisce un profitto normale a tutte le risorse dell’impresa.

Quando si considera il costo di acquisto, i costi sono classificati come spese, quando invece sono distribuiti lungo il ciclo di vita del bene acquistato, sono classificati come ammortamenti.

Economie di scala Quando un’impresa aumenta il proprio livello di produzione, i costi medi possono mantenersi costanti, aumentare o diminuire. Se i costi medi diminuiscono all’aumentare dell’output, si dice che l’impresa gode di economie di scala; se invece i costi medi non variano al variare dell’output, l’impresa ha rendimenti di scala costanti; se, infine, i costi medi aumentano all’aumentare dell’output, l’impresa presenta diseconomie di scala. Esistono diversi motivi che inducono a prevedere una riduzione dei costi medi di un’impresa, almeno inizialmente, in corrispondenza dell’aumento del suo livello di output. Uno di questi è il fatto che i costi fissi di organizzazione non variano al variare del livello di output. Esiste un secondo motivo per cui i costi tendono a diminuire all’aumentare del livello di output. Incrementando la produzione, un’impresa può infatti utilizzare il personale per mansioni più specializzate. Se lo sviluppo di competenze specifiche comporta dei costi per la formazione, ne risulterà che solo le imprese in cui si richiede una frequente ripetizione della stessa mansione avranno convenienza a formare i singoli dipendenti per mansioni specializzate. Se un’impresa produce diversi beni all’interno di uno stesso stabilimento, la durata del ciclo di produzione aumenterà all’aumentare del livello di output. In alcuni casi poi le economie di scala sono causate semplicemente da leggi fisiche; esistono anche economie di scala derivanti dalla gestione del magazzino e delle scorte, a causa della legge dei grandi numeri. Il fatto che un’impresa goda o meno in generale di economie di scala dipende dal livello di incidenza delle singole funzioni sul totale dei costi. Un unico impianto di produzione non è detto che costituisca la soluzione più efficiente, perché bisogna tenere conto anche di altri costi, quali per esempio quelli di trasporto e di controllo. A parità di condizioni, la dimensione ottimale dello stabilimento diminuisce all’aumentare dell’incidenza dei costi di trasporto. La decisione relativa alla localizzazione di uno stabilimento è determinata in gran parte dalla comparazione tra i costi relativi al trasporto delle materie prime allo stabilimento e i costi relativi alla consegna del prodotto finito ai clienti. Più alti saranno i costi di trasporto delle materie prime, più lo stabilimento sorgerà nelle vicinanze della loro fonte. Al contrario, nel caso in cui le materie prime abbiano luoghi di provenienza diversi o siano immediatamente disponibili in diverse zone, le differenze nei costi di trasporto per l’approvvigionamento di materie prime possono essere insignificanti, cosicché gli stabilimenti tendono a essere ubicati vicino ai consumatori.

Fintantoché il costo marginale è inferiore al costo medio siamo in presenza di economie di scala; quando al contrario il costo marginale è superiore al costo medio, abbiamo delle diseconomie di scala. Una naturale unità di misura delle

economie di scala è data dal rapporto tra costo medio e costo marginale: si avranno economie di scala per un rapporto maggiore di 1, rendimenti di scala costanti per rapporto uguale a 1 e diseconomie per rapporto minore di 1.

Studi empirici sulle curve di costo

Economie di scala relative ai costi totali di produzione – Alcune imprese hanno curve dei costi medi di lungo periodo a forma di U. In corrispondenza del punto più basso della curva, l’output, la curva dei costi medi è piatta; da studi empirici sulle imprese manifatturiere emerge tuttavia che spesso le curve dei costi assumono una forma a L: all’aumentare dell’output la curva dei costi medi tende verso il basso dapprima in modo repentino, poi più lentamente e alla fine diventa piatta. Questo significa che per bassi livelli di produzione esistono notevoli economie di scala, mentre per livelli di produzione elevati tali economie tendono a esaurirsi e i costi medi si mantengono pressoché costanti. La scala efficiente minima di uno stabilimento è il livello minimo di produzione che permette di minimizzare i costi medi di lungo periodo; essa, in relazione alla totalità del mercato, è utile per valutare il numero di imprese che potrebbero operare in quel mercato. Un altro criterio di valutazione dell’importanza delle economie di scala è costituito dall’ammontare dei costi aggiuntivi cui deve far fronte uno stabilimento che non raggiunga la scala efficiente minima. Nel caso in cui i costi aggiuntivi risultino contenuti, le economie di scala hanno un’importanza poco rilevante.

Studi sulla sopravvivenza di un’impresa in un’industria – Un altro approccio alla valutazione delle economie di scala è stato sviluppato da Stigler a partire dall’osservazione secondo cui, se una particolare dimensione di stabilimento è efficiente, con il trascorrere del tempo tutte le imprese operanti nell’industria tenderanno ad avvicinarsi a quella dimensione. Di conseguenza, qualsiasi dimensione di stabilimento o di impresa che sopravvive nel tempo è efficiente. Nel caso in cui tutte le imprese operanti in un’industria sostengano costi simili, lo studio basato sulla sopravvivenza delle imprese individua la singola dimensione efficiente. Se invece le imprese sostengono costi diversi o producono beni differenti, la loro scala ottimale varierà, e questo tipo di studio potrà individuare solo la gamma delle dimensioni efficienti delle imprese.

Concetti di costo relativi a imprese multiprodotto La maggior parte delle imprese non offre un unico prodotto, ma una gamma di prodotti diversi, fra loro collegati; un’impresa di questo tipo è definita impresa multiprodotto. Quando la produzione congiunta di due prodotti risulta più conveniente rispetto alla produzione separata di ciascuno dei due, si parla di economie di scopo. Per esempio, del manzo si utilizzano sia la carne che il pellame; nonostante sia possibile, in teoria, allevare alcuni manzi solo per il pellame e altri per la carne, con la tecnologia attuale questo sarebbe inefficiente. Le economie di scopo implicano che la produzione congiunta di due o più prodotti è efficiente, anche quando questa non avvenga all’interno di una singola impresa. Si pensi alla produzione dell’acciaio: il processo produttivo può essere svolto da due imprese affiancate, la prima responsabile della produzione della ghisa di prima fusione, la seconda della produzione dell’acciaio, collegate fra loro da un condotto che consente il passaggio della ghisa fusa dalla prima alla seconda. Quando due imprese operano in stretta dipendenza l’una dall’altra, i costi delle transazioni sono elevati ed esiste per entrambe il rischio di un comportamento opportunistico. L’esistenza di elevati costi di transazione giustifica la produzione da parte di una singola impresa dei prodotti caratterizzati da significative economie di scopo. Queste ultime sono determinate da una serie di fattori, tra i quali è assai rilevante l’impiego di fattori di produzione comuni. L’informazione rappresenta senz’altro uno dei fattori produttivi più importanti per la produzione e la vendita di prodotti correlati, in quanto le informazioni relative a un prodotto interesseranno con tutta probabilità anche un secondo prodotto connesso al primo. Spesso le imprese fabbricano numerosi prodotti per sfruttare le economie di scala possibili nella loro commercializzazione. Un’impresa multiprodotto può destinare ciascuno dei propri stabilimenti alla fabbricazione di un singolo prodotto, ottenendo così economie di scala nell’attività di produzione, pur fabbricando un’intera linea di prodotti. Lo svantaggio derivante da tale specializzazione consiste nella possibilità di un aumento dei costi di trasporto conseguente al fatto che i singoli prodotti devono essere spediti più lontano.

CAP 3 – La concorrenza

Conclusioni principali

Definiamo la concorrenza perfetta una situazione di mercato in cui tutte le imprese realizzano un output omogeneo perfettamente divisibile; i produttori e i consumatori dispongono di informazioni complete, non incorrono in costi per transazioni e non influiscono individualmente sui prezzi; inoltre non esistono esternalità. I principali presupposti della concorrenza perfetta sono: - Bene omogeneo perfettamente divisibile: tutte le imprese vendono un prodotto identico

Il costo sociale di un mercato che non funziona in modo efficiente viene definito perdita secca ed è la somma della riduzione nei surplus del consumatore e del produttore dovute a una deviazione dell’equilibrio concorrenziale.

Entrata e uscita La facilità di entrata e uscita svolge un ruolo decisivo nella determinazione della struttura del mercato e delle conseguenti prestazioni delle imprese. Se le imprese che hanno lo stesso livello di efficienza di quelle già presenti nel mercato non possono entrare facilmente nel mercato, le imprese esistenti possono esercitare il proprio potere di mercato fissando prezzi superiori ai costi marginali. Se l’entrata e l’uscita sono libere, le imprese hanno un incentivo a entrare ogni volta che il prezzo supera il costo medio. I mercati con entrata e uscita libere vengono detti perfettamente contendibili. Un buon esempio di barriera all’entrata è un brevetto. Bain ha individuato le tre seguenti cause di barriera: - Vantaggio assoluto di costo - Economie di produzione su larga scala che richiedono grandi investimenti di capitali - Differenziazione del prodotto: prodotti simili hanno caratteristiche differenti, perciò i consumatori non li considerano perfetti sostituti

Esternalità Si definiscono esternalità quei beni e mali privi di prezzo; un’esternalità si genera quando i consumatori o le imprese non sostengono l’intero costo derivante dal danno che le loro azioni arrecano agli altri.

Il modello della concorrenza perfetta è direttamente applicabile solo ad alcuni tipi di industria.

CAP 4 – Monopoli, monopsoni e imprese dominanti

Conclusioni principali

Un’ impresa possiede il monopolio di un mercato se è l’unica fornitrice di un prodotto per il quale non esistono sostituti stretti. La quantità venduta in questo tipo di mercato è minore rispetto a quello concorrenziale e in questo modo si determina una perdita secca per la società.

Comportamento monopolistico Un monopolista massimizza i profitti, affronta una curva di domanda con pendenza negativa e può aumentare il prezzo oltre il costo marginale. Inoltre, per massimizzare i profitti ha un incentivo a produrre l’output in modo efficiente. Il comportamento di un’impresa e la regolamentazione imposta dallo stato influiscono sulle capacità dell’impresa stessa di diventare e rimanere monopolista. Un monopolista massimizza i profitti piuttosto che i ricavi e i primi vengono massimizzati a una quantità inferiore rispetto a quella che massimizza i ricavi. Li massimizza quando il ricavo aggiuntivo derivante dalla vendita di un’unità in più è esattamente uguale al costo di produzione di quell’ultima unità di output; pertanto i profitti vengono massimizzati quando il ricavo marginale è uguale al costo marginale. Quando l’elasticità della domanda è molto elevata, il prezzo del monopolio è molto vicino al costo marginale, per contro quando l’elasticità è molto bassa, il prezzo supera di gran lunga il costo marginale. Diversamente dall’impresa concorrenziale, il monopolista sa che può fissare il prezzo e che questo influisce sulla quantità venduta. Inoltre può fissare un prezzo superiore al costo marginale, ma non necessariamente ottiene un profitto superiore a quello concorrenziale, e ogni volta che lo fissa a un livello superiore senza subire perdite, essa ha potere di monopolio o potere di mercato. In monopolio e in concorrenza le conseguenze dovute ad un comportamento inefficiente sono diverse. Un’impresa concorrenziale inefficiente può essere costretta a uscire dal mercato perché realizza continuamente delle perdite, mentre un monopolista può essere inefficiente e realizzare comunque dei profitti. Se la domanda è anelastica non è possibile soddisfare la condizione di massimizzazione dei profitti, quindi un monopolista non opererà mai sulla parte anelastica della curva di domanda: se lo facesse, potrebbe accrescere i propri profitti aumentando i prezzi fino a operare nella parte elastica della curva.

Costi e benefici del monopolio Per massimizzare i profitti un monopolista produce la quantità di output individuata dal punto di intersezione tra il ricavo marginale e il costo marginale. Il divario tra il prezzo di monopolio e il costo marginale rappresenta la differenza tra il valore che gli acquirenti attribuiscono al prodotto e il costo marginale per realizzarlo. Questo divario è simile a quello provocato da una tassa sul prodotto in un mercato concorrenziale. In entrambi i casi il prezzo e l’output differiscono dai livelli concorrenziali e vi è una deviazione tra il prezzo di chi domanda e il prezzo di chi offre. I profitti di monopolio possono essere considerati come un trasferimento dai consumatori al monopolista, proprio come il gettito fiscale è un trasferimento dai consumatori allo stato. Di per sé un trasferimento di reddito non influisce sull’efficienza: solo se il monopolista riduce l’output sotto i livelli concorrenziali si ha un effetto in termini di efficienza.

Tuttavia c’è chi sostiene che anche i profitti di monopolio possono rappresentare una perdita per la società, dato che tali profitti rappresentano un incentivo a utilizzare risorse reali per ottenere il monopolio. Se esistono profitti di monopolio un’impresa sarebbe disposta a spendere un importo pari a questi profitti per ottenere il monopolio; poiché le imprese competono per ottenere la rendita derivante dal monopolio, la spesa di risorse per conseguirla viene definita ricerca di posizioni di rendita.

Creare e mantenere un monopolio Un’impresa può essere un monopolio perché essa soltanto conosce il modo per produrre un determinato prodotto o può produrlo a un costo inferiore rispetto alle altre imprese. Un’impresa che detiene un’importante segreto industriale affronta una curva di domanda con pendenza negativa e non teme l’entrata dei rivali o l’introduzione di prodotti che siano validi sostituti. Un’impresa può poi essere monopolista perché lo Stato la tutela impedendo l’entrata di altre imprese, attraverso il brevetto.

Monopolio naturale In alcuni mercati la soluzione produttiva efficiente prevede che una sola impresa realizzi l’intero output; quando i costi totali di produzione aumentano se la produzione è realizzata da due o più imprese piuttosto che una, l’industria viene definita monopolio naturale. Quest’ultimo presenta spesso costi medi decrescenti e costi marginali costanti o decrescenti nell’area in cui esso opera.

Monopsonio Il monopsonio è come il monopolio dal lato degli acquirenti. Un’impresa con potere di monopsonio fissa prezzi inferiori e acquista minori quantità rispetto a quelli che si verificano in condizioni di concorrenza. Come il monopolio, il monopsonio impone una perdita di efficienza alla società. È possibile mantenere il potere di monopsonio anche nel lungo periodo se esso riguarda risorse utilizzabili solo per un uso specifico.

L’impresa dominante circondata da imprese marginali di tipo concorrenziale Un’impresa dominante con costi bassi ha potere di mercato anche in presenza di imprese concorrenti. Se essa massimizza i profitti, l’esistenza di un incentivo a eliminare dal mercato le imprese marginali dipende dal suo livello di costi. Questo incentivo dipende dall’ampiezza del suo vantaggio in termini di costi rispetto alle imprese marginali e dalla facilità di accesso al mercato da parte di nuove imprese marginali. Se un gran numero di imprese price taker possono entrare nell’industria ogni volta che si verifica un’opportunità di profitto e se queste possono produrre a costi non molto superiori a quelli dell’impresa dominante, quest’ultima non è in grado di praticare prezzi nettamente superiori al livello concorrenziale. Anche se le imprese marginali non entrano nel mercato, la minaccia di entrata può indurre l’impresa dominante a fissare un prezzo inferiore a quello che fisserebbe in monopolio.

CAP 5 – I cartelli

In un qualsiasi mercato le imprese hanno un incentivo a coordinare la propria attività di produzione e di determinazione dei prezzi per accrescere i profitti aggregati e individuali limitando l’output e aumentando il prezzo di mercato. Un cartello è un’associazione tra imprese che decide esplicitamente di coordinare la definizione dei prezzi o del livello di produzione. Un cartello che comprende tutte le imprese appartenenti a un’industria forma un vero e proprio monopolio, e le imprese che ne fanno parte si dividono i relativi profitti. Il formarsi di cartelli è più probabile quando in un settore operano poche imprese, ossia un oligopolio, piuttosto che in mercati concorrenziali. È più facile raggiungere e mantenere un accordo sul prezzo o sulla produzione quando il numero di imprese è piuttosto limitato. Tuttavia, anche in assenza di un accordo esplicito, le imprese possono agire in modo tale da aumentare i profitti congiunti. I fattori che aumentano la probabilità che un cartello abbia successo influenzano anche la possibilità per le imprese in oligopolio di elevare i prezzi al di sopra del livello concorrenziale.

Un’impresa concorrenziale ignora i benefici che essa reca alle altre imprese quando riduce il proprio output e in questo modo fa salire il prezzo di mercato; essa non attribuisce alcun valore a questi benefici. Essi sono un’esternalità. Operando in modo coordinato, i membri del cartello traggono vantaggio dalle riduzioni di output di ciascuna impresa. Quando tutte le imprese appartengono al cartello, tutti i guadagni derivanti dalla riduzione dell’output e dall’aumento del prezzo vengono attribuiti al cartello, che provvede a ripartirli fra i membri. In questo caso l’esternalità creata da ciascuna impresa nel ridurre l’output è stata “internalizzata” dal cartello, al quale conviene ridurre l’output sotto il livello concorrenziale, anche se non conviene a ogni impresa concorrenziale ridurre individualmente l’output.

Formazione e attuazione del cartello Una volta formato un cartello, le imprese, se vogliono avere successo, devono accordarsi per fissare il prezzo. Le grandi imprese possono decidere in modo indipendente di comportarsi come se avessero sottoscritto un accordo di cartello senza realizzare un incontro formale. Infatti ognuna di esse può ridurre l’output e sperare che le altre facciano lo stesso, creando quindi un cartello in modo implicito. Quando le imprese in oligopolio coordinano le loro azioni

  • Inserire nell’accordo clausole del tipo “nazione privilegiata”: inserire questa clausola nel contratto di vendita garantisce al cliente che il venditore non sta vendendo a un altro acquirente lo stesso bene a un prezzo inferiore
  • Inserire nell’accordo clausole del tipo “garantiamo il prezzo più basso”: in un contratto di fornitura a lungo termine oppure in un annuncio pubblicitario garantisce all’acquirente che, se un’altra impresa offre un prezzo inferiore, il venditore gli venderà il bene allo stesso prezzo oppure lo libererà dal contratto
  • Stabilire prezzi d’intervento (trigger price): tutti i membri del cartello potrebbero convenire che se il prezzo di mercato scende oltre a un certo livello ogni impresa espanderà l’output al livello di quello precedente il cartello; vale a dire che tutte le imprese abbandoneranno l’accordo di cartello. Un motivo per utilizzare i prezzi d’intervento consiste nel fatto che, in alcuni mercati, le imprese hanno difficoltà a distinguere tra variazioni dei prezzi dovute alle deviazioni da parte dei membri del cartello e variazioni dei prezzi dovute a variazioni casuali della domanda o dei costi. È possibile però che i cartelli stabiliscano metodi di punizione tali da poter prevenire le deviazioni anche in caso di variazioni casuali.

La distruzione di un cartello aumenta il benessere dei consumatori Le imprese che rispettano gli accordi stipulati formando il cartello sono poco accondiscendenti nei confronti delle imprese che producono più di quanto prescritto. Questi scartellamenti portano a un aumento del benessere dei consumatori. Le imprese che deviano dall’accordo producono infatti più del livello stabilito, e questo fa abbassare i prezzi di mercato. Quando i cartelli riescono ad aumentare il prezzo si ha una perdita nel surplus del consumatore. Il profitto del cartello è inferiore alla perdita dei consumatori e ne deriva una perdita secca (o di efficienza) per la collettività. Minore è il numero di imprese che aderiscono all’accordo di cartello, minore è il potere di monopolio che quest’ultimo possiede e quindi minore il danno per i consumatori e per la società.

CAP 6 – L’oligopolio

Pagine 123-125 e 149-151, integrazioni videolezione

Con il termine oligopolio si intendono definire quei mercati in cui un numero ridotto di imprese opera in modo indipendente, essendo però consapevoli l’una dell’esistenza dell’altra. A differenza del monopolio e della concorrenza, in un oligopolio non cooperativo le imprese non possono ignorare le iniziative delle altre imprese (interdipendenza oligopolistica). Poiché solo alcune imprese sono presenti in oligopolio, ognuna di esse sa che può influire sul prezzo di mercato e quindi sui profitti dei rivali.

  1. I consumatori accettano il prezzo come dato
  2. Tutte le imprese producono prodotti omogenei (identici)
  3. Non esiste possibilità di entrata nell’industria, perciò il numero di imprese rimane costante nel tempo
  4. Le imprese nel loro insieme hanno potere di mercato: possono fissare il prezzo sopra il costo marginale
  5. Ogni impresa stabilisce solo il prezzo o l’output (non la pubblicità o altre variabili) Il prezzo di equilibrio in un mercato oligopolistico viene fissato a un livello intermedio tra quello concorrenziale e quello monopolistico. Nella maggioranza dei modelli di oligopolio ogni impresa massimizza i profitti in base a quella che ritiene sarà la condotta delle altre imprese: i profitti attesi da ogni impresa vengono massimizzati quando il ricavo marginale atteso è uguale al costo marginale. Tutti i modelli di oligopolio possono essere visti come esempi di teoria dei giochi non cooperativi che utilizza modelli formali per analizzare i casi di conflitto e di collaborazione tra giocatori. I modelli di oligopolio più noti sono tre: Cournot, Bertrand e von Stackelberg. Nei modelli di Cournot e von Stackelberg le imprese stabiliscono i livelli di output, mentre in quello di Bertrand fissano i prezzi. Nei modelli di Cournot e Bertrand tutte le imprese agiscono contemporaneamente, mentre in quello di Stackelberg un’impresa stabilisce il livello di output prima delle altre. Nell’equilibrio di Cournot, nessuna impresa vuole cambiare livello di output dato che le imprese stanno producendo alle rispettive quantità di equilibrio. Poiché l’equilibrio di Cournot è un caso particolare di equilibrio di Nash, in cui le imprese hanno strategie relative alla quantità, esso viene spesso definito equilibrio di Cournot-Nash o equilibrio di Nash nelle quantità. Nel modello di Bertrand ogni impresa ritiene che il prezzo del rivale sia fisso. Poiché è il prezzo invece dell’output la variabile su cui si decide, la curva di domanda residuale di un’impresa di Bertrand differisce in modo sostanziale da quella di Cournot. Quando i beni sono omogenei e tutte le imprese praticano lo stesso prezzo, la curva di domanda residuale di un’impresa di Bertrand è ad angolo. Abbassando leggermente il prezzo, un’impresa può aumentare le vendite da 0 a tutto il mercato. Nella realtà però le curve di domanda delle singole imprese sembrano essere continue (e non ad angolo) come nel modello di Cournot, dato che l’output di ogni impresa varia leggermente in seguito a piccole variazioni di prezzo.

Il modello di Bertrand relativo al caso dei beni omogenei può quindi risultare più realistico se si vuole spiegare la determinazione dei prezzi, mentre quello di Cournot sembra più verosimile dal punto di vista della domanda delle singole imprese.

La teoria dei giochi La teoria dei giochi analizza le interazioni tra individui razionali che prendono decisioni e che non sono in grado di prevedere con certezza gli esiti delle loro decisioni. I modelli di comportamento oligopolistico possono essere considerati giochi di strategie o di azioni. I giochi oligopolistici presentano tre elementi comuni: - Ci sono due o più imprese (giocatori) - Ogni impresa tenta di massimizzare il proprio profitto (vincita) - Ogni impresa è consapevole che le azioni dei rivali possono influire sul suo profitto I profitti di equilibrio dipendono dal numero delle imprese, dalle regole del gioco e dalla durata di quest’ultimo.

Verifiche sperimentali dei modelli di oligopolio Lave (1962) condusse un esperimento con studenti universitari che parteciparono a un gioco multiperiodale ripetuto di dilemma del prigioniero per due persone e con due strategie. I giocatori erano situati in modo che non si potessero vedere l’un l’altro, rendendo impossibili le comunicazioni esplicite. Nonostante ciò la grande maggioranza riuscì a comunicare indirettamente e dunque a raggiungere la soluzione di cartello e in varie versioni quest’ultima era il risultato con una percentuale tra il 75 e il 100%. Nell’ultimo periodo quando i giocatori sapevano che l’esperimento stava per finire, molti si discostavano dall’esito di cartello perché a quel punto non poteva esserci rappresaglia. Fouraker e Siegel (1963) condussero esperimenti di duopolio o triopolio. Ogni giocatore delle 16 coppie di studenti universitari ripeté il gioco 25 volte. Fouraker e Siegel utilizzarono le decisioni dei giocatori nel 21° periodo per valutare l’equilibrio. Gli output di duopolio erano distribuiti in modo pressoché uniforme in una gamma che andava dal livello poco meno che collusivo a quella concorrenziale (di Bertrand). Cinque si avvicinarono alla concorrenza, 7 al modello di Cournot, 1 si trovava tra quello di Cournot e il cartello e 3 erano più vicini all’equilibrio di cartello. L’output mediano era quello di Cournot. Nel gioco del triopolio la mediana dell’output era solo leggermente inferiore all’output concorrenziale. Hanno condotto anche esperimenti in cui i soggetti sceglievano i prezzi, come nel gioco di Bertrand. Quando i giocatori avevano informazioni incomplete, il prezzo convergeva verso l’equilibrio concorrenziale entro 14 periodi in 17 casi su 18. Quando i duopolisti avevano informazioni incomplete, i risultati erano più vari: in sei casi nel 14° periodo il mercato era ormai in equilibrio concorrenziale e in altri tre il prezzo era appena superiore; in quattro casi il prezzo era esattamente a metà tra quello concorrenziale e quello di cartello, nei restanti quattro era il livello di cartello o molto vicino a esso. Nel caso del triopolio, indipendentemente dal fatto che i giocatori avessero informazioni complete o incomplete, il mercato convergeva praticamente ogni volta verso quello concorrenziale. Un possibile motivo per cui il comportamento concorrenziale non è stato notato nei giochi di duopolio con informazioni complete è che i profitti erano prossimi a zero al livello concorrenziale, perciò i giocatori avevano poco da perdere scegliendo altre strategie. Rendendosi conto che la ripetizione del gioco favorisce il comportamento di cartello, Holt tentò un esperimento uniperiodale, che riteneva avrebbe favorito l’equilibrio di Cournot e forse ancora di più il comportamento concorrenziale. Concluse che nei giochi di duopolio con informazioni complete, indipendentemente dal fatto che vi siano mercati multiperiodali o meno, l’equilibrio di Cournot è più probabile di quello concorrenziale o di quello di Bertrand. L’unico effetto sembra quello di aumentare i prezzi. Nei casi in cui è permessa la comunicazione esplicita ci si aspetta che siano più probabili prezzi maggiori. In una serie di esperimenti Friedman (1967) consentì ai giocatori di trasmettere due messaggi scritti prima di prendere privatamente una decisione di prezzo. Risultati di cartello furono raggiunti nel 75% dei casi. Inoltre il 75% di questi accordi di cartello massimizzava i profitti di ogni giocatore.

Riepilogo

  1. Gli esiti di cartello sono più probabili in mercati che durano più periodi il cui numero non è noto rispetto a quelli che esistono solo per un periodo breve e noto
  2. La maggior parte dei modelli (tranne quello di Bertrand) prevede che, maggiore è il numero di imprese nell’industria, più concorrenziale è l’equilibrio
  3. Le prove sperimentali indicano che spesso si osserva il verificarsi dell’equilibrio di Cournot, soprattutto nei giochi di duopolio
  4. La riscoperta della teoria dei giochi ha condotto una migliore comprensione dei casi in cui le strategie sono credibili per altre imprese Tutti questi modelli trattati presuppongono che il numero delle imprese sia fisso, le imprese producano prodotti omogenei e massimizzino i profitti ponendo i ricavi marginali attesi uguali ai costi marginali.

Inoltre, il prezzo di un bene differenziato influenza maggiormente il prezzo di un altro bene quando i due prodotti sono sostituti stretti rispetto a quando non lo sono. Esistono due approcci per analizzare la differenziazione: nella teoria standard del consumatore i consumatori hanno preferenze in relazione ai beni; in una formulazione alternativa, i consumatori hanno preferenze in relazione alle proprietà o caratteristiche dei beni. Nelle industrie con prodotti indifferenziati la domanda di un’impresa dipende solo dall’offerta totale dei rivali. In un’industria con prodotti differenziati, invece, essa dipende dall’offerta di ciascun rivale considerato singolarmente.

Il modello del consumatore rappresentativo Il primo modello di concorrenza monopolistica fu elaborato da Chamberlin ed è un modello del consumatore rappresentativo in cui il consumatore tipico considera tutti i prodotti venduti sul mercato ugualmente sostituibili, e pertanto simmetrici. Questo modello può essere utilizzato per esaminare industrie con prodotti differenziati o indifferenziati. Nella versione più semplice di questo modello i beni sono omogenei, cioè hanno tutti le stesse caratteristiche. Differisce dagli altri modelli di oligopolio solo quanto alla modalità di determinazione del numero delle imprese attive in un’industria. In entrambi i modelli il comportamento volto alla massimizzazione dei prodotti determina l’output di ciascuna impresa, vale a dire che ognuna di queste sceglie l’output in modo che il ricavo marginale corrispondente alla curva di domanda residuale, sia uguale al costo marginale. L’entrata viene trattata in modo diverso: in quello di oligopolio il numero di imprese viene determinato arbitrariamente da qualche variabile che ne impedisce l’ingresso (il numero di imprese è fisso a n, non vi è nessun entrata); nel modello di Chamberlin le imprese entrano liberamente nell’industria fino a quando l’entrata risulta essere profittevole, cioè finché i profitti sono uguali a 0. Questa condizione d’entrata determina il numero di imprese dell’industria in modo endogeno. (Tabella 7)

Questi aspetti essenziali del modello della concorrenza monopolistica rimangono invariati anche se si analizza il caso in cui tutte le imprese producono prodotti differenziati. L’unica modifica sta nel fatto che la curva di domanda dell’impresa dipende dalle singole quantità prodotte da ciascuna delle concorrenti anziché unicamente dalla quantità totale. L’effetto principale della differenziazione sta nel fatto che ogni impresa ha una curva di domanda con pendenza negativa più rigida che in condizioni di omogeneità perché gli altri prodotti sono sostituti meno stretti. Questa maggiore pendenza dà all’impresa più potere di mercato, inteso come capacità di aumentare il prezzo oltre il costo marginale. La soluzione ottimale dal punto di vista del benessere sociale varia quando i profitti sono differenziati. L’equilibrio di concorrenza monopolistica con prodotti differenziati presenta due problemi: né il prezzo né la varietà sono ottimali. Due fattori determinano la varietà: - Non tutti i prodotti possono essere realizzabili se i costi fissi sono tanto elevati da generare delle perdite; ciò significa che il surplus del consumatore sarebbe maggiore se fossero realizzati più prodotti, ma la presenza di elevati costi fissi mantiene la varietà al di sotto del livello ottimale - L’effetto su altre imprese rappresenta una forza di compensazione; quando un’impresa introduce un nuovo prodotto, ignora l’effetto che la maggiore concorrenza ha sui profitti delle altre imprese. Quando il proprio prodotto è un sostituto di altri prodotti, parte dei profitti vengono estratti da quelli delle imprese che producono i prodotti sostituti. Dato che ignorano la presenza di questi effetti sui rivali, hanno la tendenza a produrre troppi prodotti a prezzi troppo bassi

Quando le imprese operano nella porzione della curva dei costi medi con rendimenti di scala crescenti, tendono a produrre troppi pochi prodotti, a parità di altre condizioni. Se un’impresa presenta un costo marginale che non aumenta rapidamente e ha costi fissi elevati, opera nella parte con pendenza negativa della propria curva dei costi medi. Figura 7: nella figura 7 il costo medio interseca la curva di domanda, perciò produrre è proficuo. Il profitto dell’impresa è positivo al tal quantità perché il costo medio per unità è inferiore al prezzo. La somma del surplus del consumatore e dei ricavi meno i costi sociali è uguale al benessere, che è positivo. Nella figura 7 la curva dei costi medi si trova in ogni suo punto sopra quella di domanda, perciò i costi totali superano i ricavi totali a tutti i livelli di output. Pertanto il prodotto non viene realizzato anche se è socialmente auspicabile produrlo. Il motivo per cui non viene realizzato sta nel fatto che l’impresa non ottiene l’intero surplus sociale mentre paga per intero tutto il costo sociale, quindi nel decidere se produrre o meno, essa non tiene conto del surplus del consumatore. Se producesse subirebbe solo delle perdite. Il prodotto che ha maggior probabilità di essere realizzato è quello per cui la curva di domanda è ad angolo retto. Questa distorsione (troppa poca varietà) è dovuta alla presenza di costi fissi e all’incapacità dell’impresa di estrarre il surplus del consumatore. Se non ci sono costi fissi e i costi marginali sono costanti, allora il costo medio è uguale al costo marginale. Con costi marginali costanti e assenza di costi fissi, se è socialmente ottimale che un prodotto sia realizzato, le imprese ottengono un profitto dal produrlo.

L’equilibrio ottimale riflette il compromesso tra il numero di prodotti realizzati e la quantità di ogni bene prodotto, che è determinata dal prezzo. (Tabella 7) La frontiera delle possibilità di produzione (PPF) rappresenta le possibili combinazioni del numero di prodotti e quantità per prodotto che si possono realizzare con gli input totali a disposizione della società. Figura 7: il punto di tangenza tra la curva PPF e la curva di indifferenza, rappresenta la scelta ottimale della società; in qualsiasi punto su qualsiasi curva di indifferenza che si trova sotto la curva di indifferenza passante per il punto di tangenza la società vede ridotto il proprio benessere. I punti sulle curve di indifferenza poste al di sopra di quella che passa per il punto di tangenza sono al di fuori della PPF e quindi non possono essere prodotti. Il punto B della PPF rappresenta un possibile equilibrio di concorrenza monopolistica, lì l’industria produce troppo pochi prodotti, ma più output per prodotto rispetto al livello ottimale. Nel punto A sulla PPF l’industria produce più prodotti rispetto al livello ottimale, ma meno output per prodotto.

Conclusioni: nell’equilibrio di concorrenza monopolistica del consumatore rappresentativo di Chamberlin il prezzo è troppo elevato e il numero di imprese non è ottimale. Con prodotti indifferenziati ci sono quasi certamente troppe imprese, mentre con prodotti differenziati possono essercene troppe o troppe poche.

I modelli di localizzazione I modelli di localizzazione o spaziali sono modelli di concorrenza monopolistica in cui i consumatori ritengono che il prodotto di ciascuna impresa abbia una particolare collocazione nello spazio geografico (o caratteristico) del prodotto. Più vicini sono due prodotti nello spazio geografico o caratteristico, più sono sostituibili. In questi modelli i consumatori a loro volta sono collocati nello spazio geografico perché risulta loro costoso fare acquisti in negozi più lontani da casa o, alternativamente, perché traggono meno piacere da prodotti le cui caratteristiche si discostano dal loro ideale. Poiché le imprese o i prodotti competono direttamente solo con i prodotti a loro vicini, ciascuna impresa ha del potere di mercato che deriva dalla preferenza dei consumatori a effettuare l’acquisto presso l’impresa più vicina o a comprare il prodotto preferito. Figura 5: Nel modello di localizzazione di Hotelling i prodotti differiscono per un solo aspetto, per esempio la localizzazione dei negozi che li vendono. Lancaster e altri hanno dimostrato che questo modello può essere esteso per analizzare prodotti che differiscono sotto più aspetti. Si suppone che vi sia una città tutta estesa in lunghezza, con una sola strada di lunghezza prefissata. I consumatori sono distribuiti uniformemente lungo questa strada. Tutti i consumatori sono identici e ognuno di essi acquista un cono gelato in ogni periodo di tempo. In questa città due negozi vendono coni gelato identici. Il primo è situato a determinati chilometri di distanza da un’estremità della città e il secondo a tot chilometri dall’altra estremità. E si suppone che i due negozi vendono i gelati ad un dato prezzo e uguale per entrambi. Poiché i consumatori si preoccupano solo della distanza da percorrere, il primo negozio vuole essere più vicino rispetto al maggior numero di clienti, quindi massimizza i suoi profitti posizionandosi appena sinistra del negozio 2. In questo punto, tutti i clienti che sono alla sinistra del negozio 1 acquistano da lui. Se il secondo negozio potesse spostarsi senza dover sostenere dei costi elevati, si trasferirebbe leggermente a sinistra della nuova localizzazione del negozio 1. Questo processo può ripetersi fino a quando entrambe le imprese si trovano al centro della città e ognuna di esse ha metà dei clienti. Quando le imprese sono situate nella località di equilibrio, nessuna di esse vuole cambiare posizione. Figura 6: Analogamente fissando la località e lasciando le imprese libere di competere sul prezzo, si può stabilire un equilibrio di Nash. I due negozi che competono sul prezzo, date le loro localizzazioni, per massimizzare i loro profitti fissano prezzi pari ai costi di trasporto dei consumatori, che possono essere anche interpretati in termini di grado di differenziazione dei prodotti. Entrambi i negozi soddisfano esattamente la metà dei consumatori presenti sul mercato. Perciò Hotelling sottolinea che il prezzo di equilibrio di Bertrand è uguale al costo marginale solo se i prodotti sono omogenei.

CAP 8 – Struttura industriale e risultati economici

Fino a pagina 210

Il risultato economico del mercato rappresenta la capacità del mercato di produrre benefici per i consumatori; la struttura di mercato consiste invece in quei fattori che determinano la concorrenzialità del mercato. La struttura del mercato incide sul risultato economico mediante il comportamento o condotta delle imprese.

Struttura – comportamento – risult

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Organizzazione Industriale

Corso: Economia Industriale (1005346)

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ORGANIZZAZIONE INDUSTRIALE
CAP 1 – Una panoramica dell’organizzazione industriale
Tutto il capitolo, integrazione lezione introduttiva
Secondo Carlton e Perloff (2005) l’organizzazione industriale è quella disciplina economica che studia la struttura
delle imprese e dei mercati e le loro modalità di interazione; cala nella realtà il modello della concorrenza perfetta,
considerando fattori quali l’informazione incompleta, i costi delle transazioni, i costi dovuti all’aggiustamento dei prezzi,
gli interventi pubblici e le barriere che ostacolano l’entrata di nuove imprese in un mercato.
F.M. Scherer nel 1980 definì l’organizzazione industriale affermando che si tratta di come l’attività produttiva sia
armonizzabile con la domanda di beni e servizi attraverso l’agire di meccanismi organizzativi del libero mercato, oltre
che della misura in cui i cambiamenti o imperfezioni di tali meccanismi influiscono sulla capacità dei produttori di
soddisfare i bisogni della società.
L. Cabral nel 2000 affermò che per “industria” si intende di solito il settore produttivo secondario, in contrapposizione
all’agricoltura da una parte e ai servizi dall’altra. In questo senso industria è sinonimo di manifattura. A volte si usa per
indicare una particolare impresa. In inglese i termini industry e industrial hanno anche un altro significato: quello di
indicare un particolare settore industriale (ad es. industria della ceramica), più in generale, un particolare mercato.
Schmalensee e Willig nel 1989 dichiararono che il manuale di organizzazione industriale mira a servire come fonte,
riferimento e supplemento di insegnamento per l’organizzazione industriale (o economia industriale), l'ampio campo
all'interno della microeconomia che si concentra sul business e sulle sue implicazioni sulle strutture e i processi di
mercato, e per politiche pubbliche nei loro confronti.
Esistono almeno due approcci principali per affrontare lo studio dell’organizzazione industriale: il primo approccio,
denominato struttura-comportamento-risultati è prevalentemente descrittivo e atto a fornire una visione di sintesi
dell’organizzazione industriale; il secondo, basato sulla teoria della formazione dei prezzi, si avvale di modelli
microeconomici al fine di spiegare il comportamento delle imprese e la struttura del mercato.
Secondo l’approccio struttura-comportamento-risultati, i risultati economici di un’industria, in termini di benefici prodotti
per i consumatori, dipendono dal comportamento delle imprese, che a sua volta, è funzione della struttura, cioè
l’insieme dei fattori che determinano la concorrenzialità di un mercato. La struttura dipende dal alcune condizioni di
base, quali la tecnologia e la domanda.
Struttura
Le caratteristiche strutturali di un settore tendono a cambiare in modo relativamente lento per cui nel breve periodo
possono spesso essere considerate fisse.
- Il numero e la distribuzione per dimensione dei compratori e venditori costituiscono un'importante
determinante del potere di mercato esercitato dalle imprese leader nel settore e del grado di discrezionalità
esercitata dai venditori sui propri prezzi. Nelle industrie dei beni di consumo è normale la presenza di un
elevato numero di piccoli acquirenti atomistici, conseguentemente, la principale attenzione degli studiosi va al
numero e alla distribuzione dimensionale dei venditori. Nelle industrie dei beni capitali, tuttavia, è possibile
che anche il numero dei compratori sia piccolo. In questo caso può esserci potere di mercato sia sul lato della
domanda sia sul lato dell'offerta, infatti, i compratori possono esercitare la propria discrezionalità sui prezzi
che pagano.
- Le condizioni di entrata e di uscita comprendono le barriere all'entrata, che possono essere definite
genericamente come qualsiasi ostacolo che pone un entrante potenziale in una posizione di svantaggio
competitivo nei confronti di un'impresa già presente sul mercato. La questione importante risiede nella relativa
facilità o difficoltà che l'impresa può sperimentare quando fa il suo ingresso in un settore: se l'entrata è
difficile, allora l'impresa dominante è protetta dalla concorrenza esterna. Le barriere all'entrata possono
derivare da caratteristiche fondamentali del prodotto o della tecnologia di produzione o dalla struttura
dei costi; oppure da azioni deliberate, adottate dalle imprese già presenti sul mercato per scoraggiare o
impedire l'entrata. Gli impegni irreversibili comprendono i casi di imprese dominanti che effettuano
investimenti che non possono essere recuperati nell'eventualità di un successivo ritiro dal mercato. Elevando
in questo modo le barriere all'uscita, un'impresa dominante può segnalare la sua intenzione di restare dov'è e
di battersi per preservare la sua quota di mercato. Il segnale, da solo, può essere sufficiente a far desistere
dalla sua intenzione un potenziale entrante.
- La differenziazione si riferisce alle caratteristiche del prodotto. Qualsiasi cambiamento delle caratteristiche del
prodotto offerto, sia esso reale o immaginario, può influenzare la quota della domanda totale di mercato
riferibile ad ogni singola impresa.
- Integrazione verticale e diversificazione. L'integrazione verticale si riferisce alla presenza di un'impresa in fasi
differenti dello stesso processo produttivo. Le imprese diversificate producono una varietà di beni o servizi per

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