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Riassunto "Diritto dell'impresa e dell'economia" - Vella, Bosi - 2a edizione

Riassunto accurato e completo del libro di Vella e Bosi "Diritto dell'...
Corso

Diritto commerciale (120020)

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Anno accademico: 2017/2018
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CAPITOLO 1 - IL DIRITTO COMMERCIALE

1. DIRITTO COMMERCIALE E SVILUPPO ECONOMICO

Nel primo medioevo lo ius mercatorum diventa il linguaggio dei traffici commerciali delle corporazioni delle arti e dei mestieri in concomitanza con la comparsa della nuova classe sociale della borghesia. Lo ius mercatorum, che nasce dalle consuetudini e dalla giurisprudenza mercantile, viene imposto alle altre classi sociali, sia agiate sia subalterne, grazie alla regola secondo la quale tale diritto dev’essere necessariamente utilizzato se nella contrattazione anche solo una parte sia un commerciante. Tra gli istituti commercialistici più importanti di quest’epoca ricordiamo la societas mercatorum, antenata della società in nome collettivo: nasce come unione familiare ed evolve come mezzo per realizzare investimenti e affari comuni. I capitali e la forza lavoro sono conferiti secondo le possibilità dei familiari, mentre i profitti vengono divisi secondo le necessità e gli usi. I soci che la costituiscono assumono responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali. La compagnia si rivela come la società più utilizzata per affari da condurre sulla terraferma (ha natura mercantile, bancaria o industriale), mentre la commenda si segnala sin dalla sua comparsa come un contratto funzionale alla regolazione degli impegni reciproci connessi ad attività marittime, nella forma del finanziamento di spedizioni oltreoceano e dell’organizzazione e gestione di tali imprese.

Nel Seicento fa la sua comparsa la società per azioni (joint-stock corporation), il cui esempio più famoso è rappresentato dalla East India Company. Le novità di questo tipo di organizzazione societaria sono: - la limitazione della responsabilità per le obbligazioni sociali che essa garantisce ai propri soci: incentivo all’intrapresa di attività rischiose; - il fatto che il suo capitale sia costituito da azioni, liberamente trasmissibili e potenzialmente fonte di guadagno (capitale di rischio). Contestualmente ai cambiamenti sopra descritti il diritto commerciale si oggettivizza, comincia cioè ad applicarsi agli atti del commercio da chiunque compiuti e i suoi principi diventano principi del diritto comune. Si rinuncia così definitivamente ai privilegi di classe, e il diritto commerciale diventa il diritto di riferimento per una nuova stagione di libertà di iniziativa economica. Tra l’Ottocento e la prima metà del Novecento si assiste alla prima codificazione del diritto commerciale; nel 1807 la Francia adotta il Code de Commerce; in Italia nel 1882 viene adottato il Codice del Commercio di ispirazione francese, il quale stabilisce che <<se un atto è commerciale per una sola delle parti, tutti i contraenti sono per ragione di esso soggetti alla legge commerciale>>. Ciò portava a una differenza di trattamento irragionevole nei casi in cui un cittadino intrattenesse lo stesso rapporto economico, stretto in un’altra circostanza con un commerciante, con una parte (per così dire) civile.

Per diversi decenni, prima dell’unificazione realizzata nel 1942, si moltiplicavano progetti di riforma ispirati ancora a un principio di autonomia del diritto dell’impresa rispetto al diritto privato. Alla fine, però, la duplicazione dei codici è stata accantonata, e il contenuto del codice di commercio è stato inserito nel Libro V del Codice Civile. Proprio per questa c. commercializzazione del diritto privato, l’<<attività d’impresa>> ha sostituito gli <<atti commerciali>>. Sono tre le novità che hanno accompagnato l’evoluzione e l’espansione del diritto commerciale: - Affermazione della prassi di contrattazione standardizzata e diffusione di un approccio regolativo inteso ad arrestare il ricorso a clausole vessatorie e a tutelare i consumatori; - Ideazione e introduzione di una serie di nuovi contratti d’impresa (es. leasing, factoring, franchising, merchandising); - Stratificazione della regolazione speciale nell’ambito del diritto dell’economia.

Il passaggio tra XX e XXI secolo segna la c. ricommercializzazione del diritto commerciale dovuto alla tendenza del legislatore a rinunciare allo strumento della codificazione e a preferire altre tecniche regolative. Si ravvisano poi ulteriori fenomeni: - Frammentazione della disciplina dell’attività economica; - Moltiplicarsi delle fonti, nazionali e comunitarie, del diritto commerciale; - Indebolimento della componente negoziale dei rapporti produttivi.

2. DIRITTO COMMERCIALE E TEORIE DELL’IMPRESA

Le teorie economiche spiegano perché nascono le imprese, e descrivono i caratteri delle loro dinamiche produttive: - Teoria neoclassica: ritiene l’impresa un mero meccanismo tecnologico, ossia uno strumento grazie al quale avviene la trasformazione da risorse in input a servizi/prodotti in output; - Teoria dell’impresa come nesso di contratti: l’impresa è un complesso di accordi che i vari soggetti costituenti l’impresa stringono per formalizzare i propri interessi e omogeneizzare i propri obiettivi; - Teoria dell’impresa come sistema di relazioni: reputa la destinazione delle risorse rimessa alle scelte di un imprenditore, che in prima persona seleziona le scelte cruciali per l’attività economica; - Teoria dei diritti di proprietà: l’identità dell’impresa coincide con gli assetti proprietari relativi ai beni che costituiscono il capitale, sulla base della radicale differenza tra chi detiene poteri di controllo sui mezzi di produzione e chi, invece, non ne ha.

Le teorie giuridiche si concentrano sull’individuazione degli interessi che devono perseguire per rispettare i principi espressi nell’ordinamento: - Le teorie contrattualiste, di derivazione anglosassone, sostengono che

comportamenti;

  • provvedimenti che prescrivano il necessario rilascio di un’autorizzazione o una concessione;
  • provvedimenti che contengano l’imposizione di particolari adempimenti tecnici;
  • provvedimenti che impongono all’impresa obblighi di informazione e di comunicazione da dare ai consumatori dei prodotti;
  • provvedimenti relativi alle attività pericolose.

Nel caso di interventi di eteroregolazione, il legislatore può utilizzare: - regole, identificano ex ante tutte le circostanze rilevanti nella disciplina di un dato ambito o comportamento, e detta il comportamento da tenere in forma di obbligo o divieto; - standard, espressi sotto forma di clausole o di principi generali, consentono di prendere in considerazione circostanze atipiche identificate ex post. Le regole sono più difficili da promulgare ma garantiscono maggior certezza, mentre gli standard sono più difficili da applicare in quanto richiedono un maggior sforzo interpretativo.

Gli esempi più famosi di strumenti di autoregolazione sono i codici di corporate governance e i codici etici, ma più in generale possiamo distinguere: - Codici di autoregolazione imprenditoriale, cioè contratti plurilaterali che regolano l’attività esterna e l’organizzazione interna di più imprese che operano nello stesso luogo (in senso produttivo o geografico), come il contratto di rete; - Codici di autoregolazione societaria, come il Codice di autodisciplina delle società quotate, che servono al contempo come standard organizzativo e come standard informativo. Questa duplice funzione consente agli investitori di sapere quali soluzioni di governo e di controllo siano fatte proprie da ogni singola società quotata, e di valutarne valore e serietà.

Le norme dispositive, o di default, sono norme cogenti che come tali devono essere rispettate in tutto e per tutto, ma ammettono l’adozione da parte dei destinatari di una disciplina alternativa, nei limiti fissati dalla stessa norma dispositiva. Questo tipo di norme appare essere il più indicato a regolare l’attività d’impresa in quanto si ritiene (quasi) impossibile riuscire a definire in via negoziale ogni frangente dell’attività d’impresa.

Le norme inderogabili non ammettono, invece, l’adozione di una disciplina alternativa, ma è opportuno servirsene: - allorché sia richiesto di tutelare soggetti contrattualmente deboli; - quando è plausibile che l’esito di una negoziazione si riveli iniquo per una parte a causa dell’inefficienza del mercato sul quale avviene quella negoziazione; - in tutte le contingenze in cui appaia necessario scongiurare episodi di incertezza su quale sia il diritto applicabile; - per tutelare beni pubblici (non rivali e non escludibili);

  • nel caso in cui il legislatore reputi necessario equilibrare condizioni di carenza, o anche sono di asimmetria, informativa.

  • esercizio abituale dell’attività economica, ossia sistematico e ripetuto nel tempo (vedi attività stagionali e cicliche).

  • L’attività non dev’essere necessariamente l’unica svolta dall’imprenditore, né dev’essere la prevalente in termini di tempo o di utilizzo dei fattori produttivi.

  • Lo svolgimento di un singolo affare consente di parlare di un’attività professionalmente esercitata e dunque di un’attività d’impresa, a condizione che gli atti d’impresa siano numerosi e consistenti, tanto che al singolo affare possa ascriversi un’indubbia <<rilevanza economica>>.

Ai professionisti intellettuali (avvocati, medici, ingegneri e così via) si applicano le norme in materia d’impresa solo <<se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa>>. L’opzione regolativa del legislatore del 1942 si spiega, da un lato, al fine di favorire lo sviluppo di una classe di professionisti che competano l’uno con l’altro solo sulla base dei meriti individuali, e non anche sulla base delle risorse economiche da essi possedute, allo scopo di proteggere la clientela. D’altra parte, per scelta prettamente politica, si è inteso proteggere la categoria dei professionisti, in quanto il rilievo pubblicistico delle professioni intellettuali giustificherebbe l’assoggettamento ad una disciplina speciale. Disciplina che consente ai professionisti di non vedersi applicare le regole dell’impresa, a partire dalla sottrazione al fallimento, e non ultimo di avvantaggiarsi di remunerazioni ingenti, proporzionali al prestigio riconosciuto ai professionisti e non sottoposte al vaglio del mercato. La recente legislazione in materia di società e di associazioni tra professionisti segnala il superamento della contrapposizione tra attività d’impresa e attività intellettuale che ha ispirato la stesura delle norme civilistiche:

  • La legge n. 183/2011 ha per la prima volta consentito la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali, anche se non ha eliminato del tutto la differenza tra imprenditore e professionista.
  • La <<nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense>> esprime la possibilità che la professione forense venga <<esercitata individualmente o con la partecipazione ad associazioni tra avvocati. L’incarico professionale è tuttavia sempre conferito all’avvocato in via personale>>.
  • Il regolamento del Ministero della giustizia, che ha disciplinato la società tra professionisti, prevede che il professionista possa avvalersi di ausiliari ma non di sostituti, salvo in casi particolari. Non è sempre agevole individuare una professione intellettuale, soprattutto quando si ha a che fare con professioni di recente formazione come mediatori, agenti di commercio, esperti di informatica/pubblicità/ricerche di mercato, ecc., per le quali occorre rifarsi a criteri di giudizio sostanziali. Il compito è facilitato nel caso delle c. professioni liberali, il cui esercizio presuppone l’iscrizione in un apposito albo o elenco (avvocati, notai, architetti, geometri, ingegneri, medici, dottori commercialisti).

2. L’ATTIVITÀ DELL’IMPRENDITORE

  • Le singole manifestazioni del comportamento dell’imprenditore sono considerati <<atti>> dell’impresa;
  • Gli atti dell’impresa sono fonte di diritti, di obblighi e di responsabilità per i soggetti a cui siano formalmente imputati;
  • La categoria comprende atti liberi o vincolati, negoziali e non negoziali, leciti e non leciti;
  • Tutti gli atti posseggono una specifica durata temporale, che non può essere superiore a quello dell’attività d’impresa alla quale appartenga, così come una propria e specifica complessità;

Si è discusso molto di quale debba considerarsi il momento iniziale e quello finale nell’esercizio dell’attività d’impresa, con le dovute differenze nel caso di imprenditore individuale o collettivo: - Secondo il principio di effettività, dalla valenza sostanzialista, si acquista lo status di imprenditore solo al momento e in virtù dell’effettivo inizio dell’attività, e si smette di possedere tale status solo al momento e in virtù dell’effettiva cessazione della medesima attività;

  • Secondo il principio formalista si acquista o si perde la qualità di imprenditore solo con l’iscrizione e la cancellazione nel Registro delle imprese.

INIZIO DELL’ATTIVITÀ D’IMPRESA

Per determinare il momento iniziale dell’attività d’impresa da parte dell’imprenditore individuale si applica il principio di effettività: - L’imprenditore diviene tale quando può ritenersi effettivamente iniziata la sua attività; - Non è rilevante la mera intenzione, né i moventi dell’imprenditore con riguardo specifico ai caratteri dell’attività intrapresa; - Secondo parte della dottrina l’impresa è da considerarsi <<effettivamente iniziata>> solo quando siano posti in essere <<atti dell’organizzazione>>, cioè atti dell’esercizio di un’impresa già organizzata, diretti alla produzione o allo scambio di beni o servizi e realizzati in modo tale che all’attività d’impresa possano riconoscersi i caratteri di economicità e di professionalità (tesi <<oggettiva>>); - Secondo l’orientamento prevalente in dottrina, ai fini dell’accertamento dell’inizio dell’attività d’impresa, sono però sufficienti anche gli <<atti di organizzazione>>, cioè gli atti con carattere <<preimprenditoriale>> riguardanti la fase preliminare dell’attività d’impresa come il reperimento dei locali, l’assunzione del personale, l’acquisto di macchinari e prodotti (tesi <<soggettiva>>).

Per individuare il momento di inizio dell’attività dell’imprenditore non individuale (società o ente pubblico), si ritiene applicabile sempre il principio di effettività. Tuttavia non mancano voci che sostengono che una società nasce, quale imprenditore, solo al momento della sua costituzione (ossia con la conclusione del

interdetto, il rappresentante legale deve agire per prendersi cura dell’azienda commerciale trasferita al/posseduta dal rappresentato e dev’essere autorizzato dal tribunale a continuare l’esercizio dell’impresa.

Inabilitato - Si tratta di soggetti con ridotta capacità di agire (infermo di mente in misura non grave, oppure chi abusi di stupefacenti); - Non può iniziare un’attività d’impresa nuova, ma può proseguire la gestione di un’impresa che gli sia trasferita; - Se ottiene l’autorizzazione dal tribunale, l’inabilitato potrà continuarne lo svolgimento, gestendo personalmente l’impresa con l’assistenza del curatore per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione e con il suo consenso quando si tratti di compiere atti di straordinaria amministrazione.

Minore emancipato - Se autorizzato dal tribunale può iniziare una nuova impresa commerciale senza l’assistenza del curatore; - Per effetto di quest’autorizzazione, costui acquisisce una capacità di agire piena, e può compiere atti di amministrazione ordinaria, straordinaria e persino atti estranei all’esercizio dell’impresa.

Beneficiario dell’amministrazione di sostegno - Salvo diversamente deciso dal giudice tutelare, può iniziare e proseguire un’attività d’impresa senza avvalersi di alcuna figura deputata alla sua assistenza.

ATTIVITÀ ILLECITA, APPARENTE E OCCULTA

Da un’attività illecita può discendere la produzione di atti leciti e possono maturare diritti a una controprestazione vantati da soggetti terzi che abbiano contrattato in buona fede col titolare dell’impresa. - Impresa illegale: la cui illiceità dipende dalla violazione di norme che subordinano l’esercizio a concessione o ad autorizzazione amministrativa. Chi svolga questo tipo di attività è imprenditore a tutti gli effetti ed è destinato a subire le sanzioni prescritte dalla legge, e può incorrere nel fallimento; - Impresa immorale o illecita: impresa che faccia dell’illecito l’oggetto stesso della propria attività (es. spaccio, sfruttamento della prostituzione, contrabbando). Chi svolge tale attività non è imprenditore, per evitare che possa avvalersi delle tutele che l’ordinamento mette a disposizione contro comportamenti lesivi del suo status e del suo lavoro.

L’impresa apparente e l’impresa occulta sono fenomeni in cui un imprenditore non rileva singolarmente preso, ma in aggiunta ad altri soggetti, suoi soci: - Società occulta: una società reale che non esteriorizza il vincolo societario che lega i suoi soci; - Società apparente: esteriormente viene rappresentato un vincolo societario che in realtà non esiste. L’apparenza assume efficacia costitutiva di una realtà imprenditoriale.

L’imprenditore occulto è colui che, per nascondere le proprie ricchezze al fisco, sottrarsi ai creditori oppure svolgere un’attività a lui vietata si nasconde dietro un soggetto che funge da prestanome e appare titolare dell’impresa anche se non lo è, giacché chi mette capitali e mezzi, gestisce l’attività e si appropria dei risultati è l’imprenditore occulto. - Teoria dell’impresa fiancheggiatrice: con detta teoria si imputano gli estremi propri dell’esercizio di un’autonoma attività d’impresa in capo al soggetto che stia <<dietro>> di un’impresa principale, avvalendosi per i propri scopi illeciti di un’altra impresa.

  • La nozione di impresa commerciale è ricavabile in negativo: è commerciale l’attività che non sia agricola, ex art. 2135 c.
  • Il primo comma dell’art. 2195 c individua cinque tipologie di attività commerciali in via esemplificativa e non tassativa ed esaustiva: <<Sono soggetti all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano: ⁃ un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; ⁃ un’attività intermediaria nella circolazione dei beni; ⁃ un’attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; ⁃ un’attività bancaria o assicurativa; ⁃ altre attività ausiliarie delle precedenti>>.

2. PICCOLA IMPRESA. IMPRESA ARTIGIANA E FAMILIARE

Art. 2083: <<Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia>>.

Il piccolo imprenditore: - non è soggetto a fallimento; - è esentato dell’obbligo di tenuta delle scritture contabili; - è tenuto ad iscriversi nella sezione speciale del registro delle imprese.

Affinché si possa parlare di piccolo imprenditore, devono verificarsi le seguenti condizioni: - L’imprenditore deve prestare il proprio lavoro nell’impresa; - Il suo lavoro, e quello dei familiari devono prevalere sia su quello altrui, sia sul capitale, proprio o altrui, investito nell’impresa: il giudizio va formulato in termini qualitativi.

Microimpresa: - organico inferiore a 10 persone; - fatturato o totale bilancio annuale non superiore a 2 milioni di euro. Piccola impresa, possibile anche in forma societaria: - organico di massimo 50 persone; - fatturato massimo di 10 milioni euro. Impresa media: - organico massimo di 250 persone, - fatturato massimo di 50 milioni di euro o totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro

IMPRESA ARTIGIANA

  • La nozione di imprenditore artigiano si ricava dalla sintesi di questi due estratti: ⁃ è artigiana l’impresa esercitata dall’imprenditore artigiano che abbia per scopo prevalente lo svolgimento di un’attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazione di servizi, escluse le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali e accessorie all’esercizio dell’impresa; ⁃ è artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo. Si badi che il lavoro deve prevalere sul processo produttivo, ma non necessariamente sui fattori produttivi.
  • L’artigiano può esercitare la propria impresa anche in forma collettiva, costituendo una società artigiana in tutte le forme, ad eccezione della s.p. e s.a.p.: a condizione che la maggioranza dei soci svolga in prevalenza lavoro personale anche manuale nel processo produttivo, e che il lavoro di soci, collaboratori, dipendenti prevalga sul capitale.
  • Le dimensioni delle imprese artigiane sono varie e dipende dalla modalità di lavoro (se in serie) e dal settore di appartenenza, ma mai superando le 40 persone compresi gli apprendisti.

IMPRESA FAMILIARE

  • Per quanto sia pluripartecipata, non è un’impresa collettiva, ma conserva la propria natura individuale.
  • I familiari dell’imprenditore (coniuge, parenti e affini fino al terzo grado), nel caso prestino lavoro a favore dell’azienda o all’interno della famiglia hanno diritto: ⁃ a essere mantenuti sulla base delle condizioni patrimoniali della famiglia; ⁃ a partecipare agli utili, beni acquistati e incrementi aziendali in proporzione a quantità e qualità del lavoro prestato; ⁃ a partecipare alle decisioni sull’impiego di utili e incrementi, alla gestione straordinaria e alle decisioni sugli indirizzi produttivi i e la cessazione dell’impresa; ⁃ diritto di prelazione in caso di cessione.

3. IMPRESA PUBBLICA E SOCIALE

Lo Stato e gli enti pubblici italiani possono partecipare alla vita economica del paese, svolgendo attività d’impresa, in tre modi differenti:

all’organizzazione.

  • Si differenzia dalla benefit corporation, o società di beneficio comune, in quanto quest’ultima svolge un’attività allo scopo di dividere gli utili, ma perseguendo una o più attività di beneficio comune nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, ecc.

CAPITOLO 4 - LE REGOLE DELL’IMPRESA

Lo statuto generale dell’imprenditore è il complesso di regole applicabili a tutti gli imprenditori: - Artt. 41, 43, 46 Cost.; - larga parte delle norme contenute nel libro V del codice civile dall’art. 2082; - alcune norme contenute nel libro IV; - il complesso di norme previste dalla legislazione speciale.

1. PUBBLICITÀ E REGISTRO DELLE IMPRESE

  • Il registro delle imprese rappresenta un sistema organico, impostato secondo un criterio di pubblicità di carattere soggettivo, la cui gestione è stata affidata alle camere di commercio italiane;
  • criterio soggettivo: della persona fisica sono resi pubblici i dati anagrafici, la ditta, l’oggetto e la sede di esercizio dell’impresa ecc., mentre della persona giuridica l’atto costitutivo e le sue modificazioni, la nomina e la revoca degli esponenti di amministrazione e controllo ecc.
  • Utilizza modalità di gestione dei dati in formato elettronico ed è pubblico.

Nella sezione ordinaria si iscrivono: - gli imprenditori individuali commerciali non piccoli; - tutte le società tranne la società semplice, anche se non svolgono attività commerciale; - i consorzi tra imprenditori con attività esterna; - i gruppi europei di interesse economico con sede in Italia; gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale; le società estere che hanno in Italia la sede dell’amministrazione ovvero l’oggetto principale della loro attività. Nella sezione speciale si iscrivono: - gli imprenditori agricoli; - i piccoli imprenditori; - le società semplici; - gli artigiani; - le società tra professionisti; - le società appartenenti ad un gruppo (sia le società che esercitino un’attività di direzione e coordinamento, sia le società sottoposte a tale attività); - le imprese sociali; - le imprese <<start-up innovative>>. Disciplina: - L’iscrizione di tutte queste informazioni è obbligatoria e l’inosservanza punita con sanzioni amministrative pecuniarie. - L’iscrizione/cancellazione avviene su domanda del soggetto interessato ma

  • Consentono di esercitare un controllo costante e minuzioso sull’andamento dei propri affari.

Principi: - Sono obbligati a tenere le scritture contabili tutti coloro che siano iscritti nella sezione ordinaria del registro delle imprese e sono obbligati anche gli enti pubblici territoriali, con riguardo alle imprese da loro esercitate, e le imprese sociali, indipendentemente dalla natura commerciale o agricola dell’attività svolta. - Le scritture contabili non sono accessibili ai terzi (diritto alla riservatezza), salvo alcune eccezioni (es. il bilancio delle società di capitali e delle cooperative che dev’essere reso pubblico mediante iscrizione nel registro delle imprese). - Ai sensi dell’art. 2214 c, l’imprenditore deve redigere tutte le scritture contabili <<che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa>> (non è rigidamente precostituito quali scritture devono essere tenute dall’imprenditore). - In ogni caso, devono essere tenuti il libro giornale e il libro degli inventari e, come vedremo, vanno conservati gli originali della corrispondenza commerciale.

Redazione, conservazione e <<manutenzione>>: - Tutte le scritture contabili previste dall’ordinamento devono essere tenute <<secondo le norme di un’ordinata contabilità>>; - regolarità estrinseca: non devono essere lasciati spazi in bianco, interlinee e trasporti in margine; - regolarità intrinseca: non sono permesse abrasioni nel testo: qualora sia necessario cancellare qualcosa, si deve assicurare che le parole cancellate risultino comunque leggibili. - Se è prevista la bollatura o la vidimazione (apposizione d’un segno su un documento per attestarne l’autenticità o impedirne alterazioni), da parte dell’ufficio o del notaio, va bollato ogni foglio <<secondo le disposizioni delle leggi speciali>>. - Le scritture devono essere conservate per 10 anni dalla data dell’ultima registrazione e per lo stesso periodo si deve conservare copia delle fatture, delle lettere e dei telegrammi ricevuti/spediti. - La formazione e la conservazione delle scritture contabili è ammessa anche in via informatica. Al fine di evitare il rischio di alterazioni delle scritture, ogni tre mesi, deve essere apposta la <<marcatura temporale>> e la firma digitale dell’imprenditore.

Contenuti: - Libro giornale: riporta, giorno per giorno, le operazioni relative all’esercizio dell’impresa, e rappresenta, quindi, un registro cronologico e analitico, di carattere dinamico. - Libro degli inventari: fotografa la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed è redatto secondo un criterio periodico-sistematico. Esso dev’essere

predisposto all’inizio dell’esercizio dell’impresa (inventario iniziale) e alla fine di ogni anno (inventario finale) per la stesura del bilancio.

  • Scritture contabili c. innominate: sono quelle che l’imprenditore può tenere a propria discrezione, e nella pratica comprendono, di solito: ⁃ libro mastro: registra le operazioni in maniera sistematica distinguendo la tipologia delle operazioni, l’identità dei singoli clienti, ecc.; ⁃ libro cassa: registra entrate e uscite di denaro; ⁃ libro magazzino: registra entrate e uscite di merci e materie prime; ⁃ libro fidi: adottato dalle banche; ⁃ registro dei contatti e repertorio dei sinistri: adottati dalle assicurazioni.
  • Corrispondenza commerciale: l’imprenditore deve <<conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute/spedite>>.

Efficacia: - Le scritture contabili valgono come mezzo di prova giudiziale, sia a favore sia contro l’imprenditore (anche se non siano state regolarmente tenute); - principio di inscindibilità: chi vuol trarre vantaggio dalle scritture contabili non ne può scindere il contenuto per avvalersi solo delle parti a lui favorevoli, ma deve considerarne la totalità. - Le scritture possono essere utilizzate a favore dell’imprenditore solo se: ⁃ siano regolarmente tenute; ⁃ la lite sia con un altro imprenditore; ⁃ la controversia riguardi rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa. - L’imprenditore può dimostrare con ogni mezzo che le proprie scritture non corrispondono a verità. - Il riconoscimento del valore probatorio delle scritture è sempre rimesso all’apprezzamento del giudice.

3. RAPPRESENTANZA

  • I lavoratori subordinati (operai, intermedi, impiegati) trovano la loro disciplina nel diritto del lavoro;
  • gli ausiliari, che ex lege hanno potere di compiere atti giuridici in nome e per conto dell’imprenditore, trovano collocazione normativa nel diritto commerciale: ⁃ ausiliari subordinati: institori, procuratori, commessi, dipendenti ai quali spetta il potere di rappresentanza dell’imprenditore; ⁃ ausiliari autonomi: agenti, piazzisti, mandatari e così via;
  • Gli ausiliari non subiscono il rischio d’impresa nonostante partecipino in misura determinante allo svolgimento dell’attività d’impresa.
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1. DIRITTO COMMERCIALE E SVILUPPO ECONOMICO
Nel primo medioevo lo ius mercatorum diventa il linguaggio dei traffici commerciali delle
corporazioni delle arti e dei mestieri in concomitanza con la comparsa della nuova classe sociale
della borghesia. Lo ius mercatorum, che nasce dalle consuetudini e dalla giurisprudenza
mercantile, viene imposto alle altre classi sociali, sia agiate sia subalterne, grazie alla regola
secondo la quale tale diritto devessere necessariamente utilizzato se nella contrattazione anche
solo una parte sia un commerciante.
Tra gli istituti commercialistici più importanti di questepoca ricordiamo la societas
mercatorum, antenata della società in nome collettivo: nasce come unione familiare ed evolve
come mezzo per realizzare investimenti e affari comuni. I capitali e la forza lavoro sono conferiti
secondo le possibilità dei familiari, mentre i profitti vengono divisi secondo le necessità e gli usi.
I soci che la costituiscono assumono responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali.
La compagnia si rivela come la società più utilizzata per affari da condurre sulla terraferma
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comparsa come un contratto funzionale alla regolazione degli impegni reciproci connessi ad
attività marittime, nella forma del finanziamento di spedizioni oltreoceano e dellorganizzazione
e gestione di tali imprese.
Nel Seicento fa la sua comparsa la società per azioni (joint-stock corporation), il cui esempio più
famoso è rappresentato dalla East India Company. Le novità di questo tipo di organizzazione
societaria sono:
la limitazione della responsabilità per le obbligazioni sociali che essa garantisce ai propri
soci: incentivo allintrapresa di attività rischiose;
il fatto che il suo capitale sia costituito da azioni, liberamente trasmissibili e
potenzialmente fonte di guadagno (capitale di rischio).
Contestualmente ai cambiamenti sopra descritti il diritto commerciale si oggettivizza, comincia
cioè ad applicarsi agli atti del commercio da chiunque compiuti e i suoi principi diventano
principi del diritto comune. Si rinuncia così definitivamente ai privilegi di classe, e il diritto
commerciale diventa il diritto di riferimento per una nuova stagione di libertà di iniziativa
economica.
Tra lOttocento e la prima metà del Novecento si assiste alla prima codificazione del diritto
commerciale; nel 1807 la Francia adotta il Code de Commerce; in Italia nel 1882 viene adottato il
Codice del Commercio di ispirazione francese, il quale stabilisce che <<se un atto è commerciale
per una sola delle parti, tutti i contraenti sono per ragione di esso soggetti alla legge
commerciale>>. Ciò portava a una differenza di trattamento irragionevole nei casi in cui un
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