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Devereux - Rinuncia all'identità
Corso: Storia della Psicologia (M-STO/05)
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Università: Università di Bologna
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Introduzione (Alessandra Cerea)
Il nome di Georges Devereaux (1908-1985) è tradizionalmente legato a quello dell’etnopsichiatria, campo d’indagine
sorto dall’incrocio delle riflessioni sulla dimensione socio-culturale del disagio psichico con quelle sulla dimensione
psicologica delle culture. Fu il primo a fornire all’etnopsichiatria un quadro epistemologico che consentisse di
pensarla come disciplina autonoma. Infatti, nel 1963: istituzionalizzazione del primo insegnamento di etnopsichiatria
in Europa, affidato a Devereux (Parigi). In un’università votata all’interdisciplinarità e ad accogliere ricerche originali
si crea lo spazio per accogliere le teorie di Devereux, fino a quel punto mai pienamente apprezzate. Dopo i primi studi
di fisica e chimica alla Facoltà di Scienze della Sorbona, entra a far parte della prima generazione di etnologi allievi di
Mauss, Rivet e Lèvy-Bruhl all’Institut d’Ethnologie. Inizia a viaggiare e a prender parte attivamente al suo campo di
studi come vincitore di una borsa Rockefeller finalizzata a una missione scientifica presso la popolazione dei Sedang.
Decide di diventare psicoanalista: intraprende la sua formazione in Kansas, considerata la Mecca della psicoanalisi
negli Stati Uniti.
Devereux si interessò alla psicoanalisi in quanto teoria psicologica e metodo d’indagine, e soltanto in secondo luogo in
quanto mezzo terapeutico.
“La psicoanalisi è prima di tutto un’epistemologia e una metodologia. Questo è il suo maggiore e più duraturo
contributo alla scienza.’’
Contro la pretesa di universalità della psicoanalisi, a cui Devereux resterà sempre fedele, si scaglierà la critica
culturalista secondo cui la psicoanalisi non sarebbe altro che una sociologia della borghesia viennese di inizio secolo.
Devereux risponderà alle critiche appellandosi alla tesi dell’unità psichica dell’umanità. Secondo questa tesi le
potenzialità, i contenuti, i processi della psiche hanno un ventaglio limitato di possibilità, per cui in qualsiasi cultura o
luogo tutti gli uomini nelle medesime circostanze reagirebbero allo stesso modo.
L’etnopsicoanalisi di Georges Devereux vuol essere anzitutto un metodo per combinare antropologia e psicoanalisi.
Un fatto umano può dirsi completamente spiegato solo quando viene compreso sia all’interno del quadro di
riferimento psicologico sia all’interno di quello socio-culturale.
A dare impulso alla sua riflessione metodologica è la proposta del fisico Bohr là dove suggerisce di considerare il
‘’principio di complementarità’’ come lo schema concettuale più adatto ad affrontare e risolvere le contraddizioni
insite nella duplice possibilità di descrizione dei fenomeni. Come per Bohr onde e particelle non appartengono alla
natura della luce ma sono descrizioni di due proprietà di comportamento della luce, così per Devereux psichismo e
cultura sono ‘’gettoni concettuali’’ costruiti su due modalità incompatibili di osservazioni del comportamento umano
che consentono di isolare ciò che nella realtà è indissociabile e indistinto. Un’interpretazione completa della realtà
umana può essere raggiunta solo attraverso un’epistemologia del ‘’doppio discorso’’: un’alternanza tra i due livelli,
psicologico e culturale.
Per aiutare i suoi studenti ad accettare ciò, Bohr mostrava la celebre immagine del vaso visibile anche come il profilo
di due visi contrapposti. Suggeriva di guardare al fenomeno da spiegare allo stesso modo in cui il nostro occhio
osserva la duplicità delle immagini raffigurate nell’esempio focalizzandosi su un solo elemento alla volta, non potendo
coglierla simultaneamente. Per Devereux nello studio dell’uomo la rinuncia all’ideale della spiegazione unica
permetterebbe di evitare ogni riduzionismo: accoglie quindi la collaborazione di psicologia e antropologia.
Il suo obiettivo è ambizioso: fondare una scienza che pur nell’intento di cercare leggi riesca ad esprimere e rispettare
la complessità dell’umano.
-- La rinuncia all’identità: una difesa contro l’annientamento (1964) rende magistralmente l’idea della ricchezza e
complessità del pensiero di Devereux, pur essendo un articolo clinico rivolto ad un pubblico di psicoanalisti. Si
alternano costantemente riflessione teorica e ricchezza di esempi che chiama ‘’osservazioni’’: corrisponde ad una
precisa scelta di metodo i cui presupposti sono da ricercare nel principio del complementarismo di cui questo saggio
offre un esempio ‘’invivo’’.
Questo saggio fu letto da Devereux in occasione della sua ammissione come ‘’membro aderente’’ alla Sociètè
Psychanalytique de Paris. Costituiva una sorta di conferenza inaugurale per cui sceglie il tema a lui più caro: il
concetto di identità che esprime l’essenza stessa dell’umanità.
Obbligato ai cambiamenti sin dalla giovanissima età, aveva sperimentato su sé stesso il sentimento della differenza,
tanto culturale quanto individuale, il peso di essere l’altro. Ossessionato dalle differenze individuali ma
contemporaneamente guidato dalla ricerca dei tratti comuni nell’umano, in quest’opera ha reso teoria il conflitto
interiore di voler appartenere solo a sé stesso ma di essere contemporaneamente determinato da altro. L’identità
(essenza stessa dell’umanità) non va confusa con l’identificabilità (nel suo essere funzionale a esprimere una unicità
attualizzando il potenziale biologico dell’uomo.
L’identità è un graduale processo creativo che prende avvio dalla prima infanzia, quando il bambino giunge a
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