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Locke: la legge della proprietà, il diritto di resistenza
Corso: Filosofia del diritto
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Università: Università di Pisa
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Locke: la legge della proprietà, il diritto di resistenza
-Saggio sull’intelletto umano (1690)
-Due trattati sul governo (1689-1690)
-Lettera sulla tolleranza (1689)
John Locke (1632-1704) è considerato tra i massimi filosofi dell'età moderna; autore decisivo sul
piano filosofico per l'empirismo, sul piano giusfilosofico e filosofico-politico per il giusnaturalismo, il
contrattualismo, e per la dottrina del liberalismo, Locke non ha mancato di lasciare tracce significative
anche nell’ambito pedagogico ed educativo, non che nella teorizzazione dell’idea di tolleranza.
Per Locke, la trasmissione della conoscenza non avviene per mezzo di idee innate, né per tradizione:
l'accettazione della tradizione e semplicemente una credenza.
La costruzione del patrimonio conoscitivo avviene tramite l’azione della ragione sull’esperienza
sensoriale: l’attività dei sensi, innervata nel ragionamento razionale, produce l’interiorizzazione di
canoni morali che fungono da filtro per la valutazione di azioni successive.
La costruzione del Patrimonio conoscitivo inizia così, empiricamente, mediante l'acquisizione di principi
basilari semplici e intuitivi.
L’intera riflessione di Locke (che da questo punto di vista corre in parallelo a quella si Pufendorff) si
basa sull’assioma dell’esistenza di un Dio benefico, fondamento di un ordine politico e sociale legittimo
Il potere è una conseguenza della relazione tra Dio e il creato à è un requisito funzionale alla
realizzazione di scopi divini nella vita terrena. É istituita a questo scopo una corrispondenza
(convenentia) tra legge naturale e la natura umana in quanto natura razionale.
Locke giustifica i diritti e i doveri degli uomini nella società civile facendo leva sulla necessità di
superare le incertezze dello stato di natura mediante un contratto, che protegga la proprietà legittima
(legittimazione dell’autorità su un piano etico)
L’unica proprietà illimitata per natura è quella di Dio sulla creazione = si traduce nell’obbligo per gli
uomini dell’autoconservazione e della proprietà di sé vincolo che implica la proibizione del suicidio e
esclude la liceità della schiavitù volontaria (Secondo trattato sul governo).
La dignità e l’autonomia degli uomini sono dunque aspetti derivati da Dio; proprio l’essere proprietà di
Dio e di sé stessi rende gli uomini uguali per natura à concetto di uguaglianza “di partenza” (basic
equailty) che non nega le differenze materiali, sostanziali e circostanziali che dipendono da età, virtù,
talento, nascita, benefici.
Diversamente da Thomas Hobbes, per Locke lo stato di natura è una condizione originariamente
pacifica, è uno stato di libertà entro i limiti della “legge di natura” (lo stato naturale è governato da una
legge di natura vincolante per tutti e la ragione insegna che nessuno deve ledere gli altri nella vita, della
salute, nella libertà o negli averi).
Appare chiara la priorità deontologica della legge di natura sui diritti naturali nella fondazione
lockiana dei diritti si va dall’onnipotenza del Dio creatore alla legge di natura (che coincide con la
ragione), ai diritti soggettivi (invertendo il senso della fondazione di Hobbes).
Libertà lockiana è dunque assenza di interferenze esterne, ma non mancanza di regole — la legge di
natura, per quanto chiara e intelligibile, non è sempre spontaneamente applicata da tutti gli uomini:
quindi un contratto istitutivo della società civile diviene necessario, non per generare una sovranità
illimitata, ma per istituire una convivenza garantita da un’autorità legittima, nota e imparziale.
Piero Costa ha notato che Locke è intervenuto sulla teoria contrattualistica in tre direzioni:
§depurando lo schema del contratto dalle interpretazioni
§ampliandolo alle condizioni di validità e di osservanza del contratto
§ponendo il problema del fondamento e dei limiti del potere sovrano
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