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Parte Speciale Romano

Riassunto saggi Parte speciale fondamenti di diritto romano
Corso

Istituzioni di diritto romano   (10119)

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Anno accademico: 2020/2021
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Università degli Studi di Verona

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PRINCIPI E ORDINAMENTO ROMANO: UNA RIFLESSIONE SULLE ORME DI FRITZ SCHULZ

Quando si fa riferimento a un ordinamento giuridico del termine principi si parla per indicare i suoi caratteri essenziali o, i valori costitutivi dello stesso. Fritz Schulz, nei Prinzipien des romischen Rechts (opera apparsa a Monaco nel 1934, presto celebre nel mondo) enuclea e spiega i principi del diritto romano, intendendo per tali le idee fondamentali che lo ispirano e non le norme che ne sono alla base. Schulz guardando alle pagine scritte da Jhering riconosceva che, trascorso oltre mezzo secolo dalla pubblicazione (analisi dei principi come punti che segnano la formazione e l’evoluzione di questo diritto e al contempo come criteri unificanti del medesimo), era “parecchio da correggere nei particolari e molto da aggiungere”, tanto che esse non si addentravano in tutte le epoche vissute dall’ordinamento romano.

Primo tra i principi individuati da Schulz : PREVALENZA DEL DIRITTO SULLA LEGGE, o in altri termini, del carattere recessivo della seconda a favore del primo : autorevolezza della scientia iuris e non dell’autorità del legislatore.

Secondo elemento qualificante : della “ISOLIERUNG” : per la prima volta nel corso della storia, in Roma si registrebbe non solo una delimitazione del ius, inteso come diritto oggettivo dei privati, rispetto a ciò che non è diritto, ma anche (riguardo alla più ampia accezione di diritto quale sistema che include plurime branche di disciplinamento : cd iura pupoli Romani) una frammentazione interna, che permetterebbe di distinguere in modo netto tra diritto laico e diritto sacro, tra diritto umano e divino, tra pubblico e privato.

Terzo connotato : ASTRAZIONE, secondo Schulz la scientia iuris romana, da un lato sarebbe capace, mediante procedimenti deduttivi e induttivi, di creare e piegare alle esigenze della pratica figure giuridiche idonee a descrivere e ordinare il reale; dall’altro non si sarebbe mai disancorata, conformemente a una fisiologica inclinazione all’approccio casistico e in omaggio a un bisogno di concretezza, dalle irriproducibili peculiarità della singola fattispecie.

Tra gli ulteriori principi caratterizzanti l’ordinamento romano Schulz annovera la semplicità : non complessità e unitarietà del sistema, implicanti la rotondità del diritto. L’idea di tradizione e di nazione e quella di libertà : la comunità nazionale costituita da homines liberi, portatori qua tales di diritti e doveri, si sarebbe fieramente riconosciuta nel proprio passato, perpetuando il patrimonio culturale, seppur adattandolo al fluire del tempo.

L’elenco si conclude con i richiami all’ humanitas (presentata come strumento concettuale di propulsione di numerosi settori dell’ordinamento (diritto di famiglia, quello ereditario, penale sostanziale e processuale)), alla fedeltà (nesso logico e cronologico tra la fides arcaica e la fides bona, ossia criterio interpretativo, normativo a attuativo che ispira innumerevoli soluzioni casistiche sia di giuristi che di giudici) e alla sicurezza (discusso nell’accezione di certezza contro il torto e di prevedibilità).

Questo l’impianto generale che conforma l’opera di Schulz : preziosa, seppur perfettibile, raccolta analitica che enumera e descrive quelli che, per la sensibilità dell’autore, assurgono a tratti essenziali, e dunque a valori fondamentali, del diritto romano.

È al diritto romano che il pensatore italiano imputa la prima irrimediabile frattura tra la natura e l’istituzione, tra l’essere dell’individuo quale corpo e l’essere portatore di situazioni giuridiche soggettive quale persona. Ed è al diritto romano che gli attuali teorici dei cd diritto umani, nel propugnare l’attribuzione immediata di diritti all’essere umano in quanto tale, ossia senza il medio dell’appartenenza a un dato status, reagiscono, discostandosi dal costrutto tradizionale della dissociazione formale tra la realtà fisica e psichica del singolo uomo e la sua identità quale soggetto di diritto.

La teorica degli status introduce esemplarmente la questione della presunta semplicità del diritto romano: a fronte di un ordinamento contraddistinto da una varietà di regimi (ciascuno collegato all’appartenenza di un soggetto a una data comunità ovvero alla posizione occupata entro un certo gruppo) è appropriato discorrere di semplicità? Non risulta più conforme prendere atto sia della complessità intrinseca del diritto romano, sia della capacità dei giuristi di ridurre quest’ultima a un tutto armonico e coeso?

La critica alla selezione valoriale proposta da Schulz non può non investire anche il principio del cd isolamento. Indiscutibile è che in Roma si è dato vita a un sistema giuridico che non ha eguali, il diritto per la prima volta nella storia globale dell’uomo è assurto a scienza. Se così è non è affatto iperbolico attribuire a Roma l’autentica invenzione del diritto. Tuttavia dubbio : circa la liceità di operazioni tese ad omologare il passato al presente (o viceversa) : la separazione di cui il ius dei Romani è stato protagonista si profila negli stessi termini in cui oggi si è soliti intendere l’indipendenza del diritto quale forma di disciplinamento e branca scientifica dotata di un apparato concettuale peculiare e sui generis? Alcuni dati conducono a prospettare una risposta tendenzialmente negativa. L’ordinamento romano, in forza della sua originale apertura alla vita dell’uomo in tutti i momenti, contiene a proprio interno tanto i rapporti intercorrenti tra gli uomini solamente, quanto i rapporti intrattenuti dagli uomini con le divinità : una civitas communis deorum atque hominum (= un’unica città comune degli dei e degli uomini) : valore idoneo a spiegare, per Roma, sia l’essenziale umanità del diritto, sia la fioritura di un diritto giurisprudenziale, integra certamente una delle qualità costitutive dell’ordinamento stesso. Anzi, la pax deorum, ossia il rapporto di amicizia che la civitas aveva interesse a conservare con gli esseri sovrannaturali assurge a cardine fondamentale che, in un ipotetica riscrittura di Schulz, dovrebbe essere enfatizzato e scandagliato in vista di una comprensione dell’autentico pensiero che i Romani elaborarono nel campo del diritto.

Una delle figure maggiormente emblematiche di un ordinamento così concepito è proprio quella dell’homo sacer : essere umano che, giusta le più antiche leggi regie, avendo mantenuto un contegno tale da vulnerare la pax deorum in modo

L’ARBITRAGGIO SUL PREZZO

Alle parti di una compravendita, oggi, è consentito, sulla base del diritto italiano, rimettere a un terzo o a una di loro l’individuazione del prezzo? Art. 1473 cod. cov. “1. Le parti possono affidare la determinazione del prezzo a un terzo, eletto nel contratto o da eleggere posteriormente. 2. Se il terzo non vuole o non può accettare l'incarico, ovvero le parti non si accordano per la sua nomina o per la sua sostituzione, la nomina, su richiesta di una delle parti, è fatta dal presidente del tribunale del luogo in cui è stato concluso il contratto.”

Muta in relazione alla clausola con cui il venditore e il compratore assegnino all’uno o all’altro il compito di quantificare il prezzo, la disciplina dell’art. 1473 nulla dice nemmeno con riguardo ai criteri ai quali deve attenersi il terzo. Risulta contraddetta dall’art. 82 disp. Att. Cod. civ. “1. L'istanza per la nomina del terzo nei casi previsti dal secondo comma dell'art. 1473 del codice, qualora non vi sia giudizio in corso, si propone con ricorso al presidente del tribunale del luogo in cui deve eseguirsi la consegna della cosa a norma dell'art. 1510 del codice.” Antinomia generata dalla non necessaria coincidenza tra il luogo di conclusione della compravendita e il luogo di consegna della cosa : un’opinione propende per la prevalenza della disposizione di attuazione, in quanto di rango legislativo e più recente; un’altra opta per la soluzione opposta; una terza, infine, supera il contrasto, riconoscendo che la previsione dell’art. 82 entra in gioco quando la compravendita abbia a oggetto una cosa mobile.

Ultimo comma art. 82 “La nomina (del giudice) deve cadere normalmente su persona esperta iscritta in albi o elenchi o ruoli istituiti a norma di legge.” : evidente la preferenza del legislatore per chi sia fornito di un’adeguata preparazione tecnica : ecco perché l’art. 1473 non permette al giudice, che non è un perito del settore, di intervenire della definizione del prezzo quado il terzo non vi proceda. Diversamente da quanto prevede l’art. 1349 cod. civ. per l’arbitraggio in genale, in quanto ai sensi del suo primo comma se manca la determinazione del terzo, essa è fatta dal giudice.

L’art. 1473 non esplicita i criteri ai quali deve ispirarsi il terzo nell’espletamento dell’incarico conferitogli, e nemmeno i rimedi esperibili dalle parti in caso di determinazione inaccettabile : soccorre l’art. 1349 secondo il concorde insegnamento della dottrina e della giurisprudenza.

Art. 1349 primo comma : il soggetto al quale le parti di un qualsiasi contratto abbiamo deferito la determinazione della prestazione deve provvedere con equo apprezzamento, salvo che le parti stesse abbiano voluto rimettersi al suo mero arbitrio. Due sono quindi i criteri cui è alternativamente vincolato il terzo : quello dell’ equo apprezzamento (arbitrium boni viri) = obbliga il terzo a tenere in considerazione tutti gli elementi oggettivi a sua disposizione, tutte le circostanze del caso da lui conosciute o conoscibili, adeguando agli uni e alle altre la sua decisione, così che risulti il frutto di una valutazione ponderata; e quello del mero arbitrio (arbitrium merum) = consente al terzo di procedere liberamente, una scelta individuale, fermo il suo dovere i comportarsi con imparzialità.

Mancando la statuizione del terzo e così pure quando vi sia, ma risulti manifestamente iniqua (= decisione che urta con i parametri di ragionevolezza, equilibrio e di proporzione) o erronea (= fondata su un vaglio degli elementi di fatto o dei dati tecnici gravemente incongruo), il giudice si surroga all’arbitratore, purché il criterio preso a riferimento fosse quello dell’equo apprezzamento (Art. 1349 primo comma). Quanto alla mala fede dell’arbitratore = intenzionale parzialità a favore di uno dei contraenti di costui, la prova sarà raggiunta dimostrando che ha violato canoni oggettivi di valutazione. Una volta demolita dal giudice in quanto assunta in mala fede, allo stesso sarà precluso sostituirsi all’arbitratore.

Leggere l’art. 1473 alla luce dell’art. 1349 : l’arbitratore di cui parla il primo deve procedere con equo apprezzamento, ma possa anche, qualora le parti si accordino in questo senso, pronunciarsi sulla base del mero arbitrio. La dottrina dominante, convinta di ciò, ha cura di precisare che nel caso in cui manchi la determinazione lasciata al mero arbitrio di un terzo già individuato dalle parti e queste non provvedano alla sua sostituzione : si applica secondo comma art. 1349 con conseguente nullità del contratto, e non il secondo comma art. 1473 che affiderebbe al P la nuova nomina, preservando così l’invalidità del negozio. Osta al prevalere di questa norma il rapporto di fiducia che deve necessariamente intercorrere tra i contraenti e il terzo in questione.

Vi è anche chi pensa diversamente e tra le due norme ritiene cedevole quella contenuta del secondo comma del 1349, sul presupposto del suo carattere eccezionale, in quanto, sancendo la nullità del contratto allorché difetti la determinazione rimessa al mero arbitrio di un terzo già designato e le parti non procedano alla sua sostituzione derogherebbe al principio di conservazione dei negozi. Secondo questa tesi il compratore e venditore potrebbero accordarsi per un arbitraggio sul prezzo sulla base dell’equo apprezzamento o mero arbitrio, a loro preferenza, e, indipendentemente dal criterio prescelto,

vincola il contraente ad una valutazione ponderata, da compiersi in applicazione delle regole di correttezza e buona fede e nel rispetto di parametri oggettivi.

Non meno articolate sono le posizioni della dottrina rispetto all’arbitraggio della parte sul prezzo alla luce dell’art. 1473. Tesi che continua a vantare largo favore : ne sarebbe precluso l’ingresso proprio perché non contemplato nel dettato legislativo. Nulla sarebbe quindi la compravendita una cui clausola rimettesse a una delle parti la fissazione del prezzo; mentre sarebbe valida se, nulla dicendo circa il prezzo, il compratore accettasse il corrispettivo stabilito in via unilaterale dal venditor. Per un’altra opinione : il terzo di cui parla l’art. 1473 sarebbe tale in senso puramente qualitativo, per cui anche la parte, ove tenuta a pronunciarsi sull’importo in base a criteri oggettivi o comunque sulla scorta dell’ineludibile apprezzamento equo. Infine a detta di qualche autore : compratore e venditore potrebbero convenire di lasciare all’arbitrio mero dell’uno o dell’altro la determinazione del prezzo, non ostando a ciò il disposto dell’art. 1473 ed essendo comunque prevista dall’art. 1349 primo comma. Quanto alla giurisprudenza, i pochi precedenti che si rinvengono in materia bocciano quest’ultimo orientamento, facendo salva la determinazione del prezzo promanante dalla parte quando vincolata a criteri oggettivi stabiliti in sede negoziale. Supererebbero quindi lo scrutinio dei giudici taluni patti sviluppatisi nella prassi degli scambi commerciali.

Tema appena affrontato non era affatto sconosciuto all’interno dell’ordinamento romano, anzi era ampiamente dibattuto. Come nota Giuseppe Grosso “la possibilità di affidare all’arbitrato di un terzo la determinazione dell’oggetto non era senz’altro ammessa in tutti i negozi, per tutti gli elementi e nella stessa guisa”, dando piuttosto luogo a una problematica. A causa del tipico modo di procedere dei prudentes, casistico e controversiale, non si è mai pervenuti a un’elaborazione concettuale organica e complessiva in materia. Sono comunque ricostruibili le linee di tendenza, non di rado eterogenee, sottese alla riflessione dei giuristi.

Una di queste dispute verte sulla validità di una compravendita che deferisce a un terzo la determinazione del prezzo. Di essa dà conto Gaio in un passo delle Istituzioni : dopo aver detto che il prezzo di una compravendita deve essere certo, Gaio indugia sul caso in cui il compratore e il venditore convengano che esso sia determinato da un terzo individuato di comune accordo, rammentando che secondo Labeone, la cui tesi era approvata da Cassio, il negozio non ha valore, mentre lo ha per Ofilio, seguito sul punto da Proculo. Il testo non precisa a quale dei due orientamenti accordasse la sua preferenza l’autore.

Niente è dato sapere in merito a successivi sviluppi del dissidio registrato da Gaio, tranne quello che si può evincere da una costituzione di Giustiniano del 530 d., che ha indotto i compilatori del Digesto a pretermettere i brani dei classici relativi alla contesa in questione.

Giustiniano si pronuncia in questo senso : la vendita che contempli l’intervento di un terzo designato dai contraenti è valida, ma a condizione che costui assolva l’incarico conferitogli e fissi quindi il corrispettivo. Se l’arbitratore non vuole o non può stabilire il prezzo, la vendita non ricorre, in quanto manca la definizione del prezzo. Resta pertanto escluso che l’una o l’altra parte possa agire in via contenziosa. Dal momento che la decisione dell’imperatore viene collegata a una magna dubitatio di cui è detto che tormentava molti cultori dell’antiqua prudentia alle prese con la vendita munita della clausola di arbitraggio del terzo sul prezzo, ma non anche che investisse il profilo della validità di un negozio così concepito, sembra plausibile immaginare, che in epoca posteriore a Gaio, fosse andata prevalendo la tesi di Ofilio e Proculo, e si continuasse invece a discutere della sorte del contratto nell’ipotesi di mancata determinazione del terzo e della facoltà delle parti di attivare l’intervento surrogatorio del giudice : Giustiniano opta per la nullità della vendita, ancorandola all’assenza del terzo in dipendenza del non avveramento della condizione cui il negozio è da ritenersi sospensivamente condizionato, e per l’insostituibilità dell’arbitratore a opera del giudice.

Tra i prudentes del principato vi fosse chi proponeva di salvare dalla nullità la vendita ove le parti avessero nominato un terzo da reputarsi fungibile ai loro occhi, perché vincolato a quantificare il corrispettivo sulla base dell’arbitrium boni viri, consentendo alle stesse di chiedere al giudice la determinazione mancante. Non è invece desumibile, né dalla costituzione di Giustiniano esaminata né da altri testi giurisprudenziali o imperiali, l’insindacabilità in sede processuale della statuizione sul prezzo dell’arbitratore. La sua impugnazione si sarebbe retta sulla violazione del canone che imponeva al terzo di stimare il corrispettivo con l’equo apprezzamento del bonus vir. Questo soltanto pare ammesso nei negozi protetti da giudizi di buona fede che prevedessero l’intervento di un terzo in qualità di arbitratore.

Sembra invece che i prudentes compattamente ritenessero inammissibile l’arbitraggio della parte sul prezzo. Giustiniano non ricorda alcuna controversi al proposito e Gaio, silente sul punto nelle Istituzioni, nel X libro del commento all’editto provinciale non ha dubbi circa la radicale nullità della compravendita che lasci al compratore la fissazione del corrispettivo. Nullo il negozio lo era perché sentito come privo di un elemento essenziale, costituito dal prezzo certo.

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per indicare i suoi caratteri essenziali o, i valori costitutivi dello stesso.
Fritz Schulz, nei Prinzipien des romischen Rechts (opera apparsa a Monaco nel
1934, presto celebre nel mondo) enuclea e spiega i principi del diritto romano,
intendendo per tali le idee fondamentali che lo ispirano e non le norme che ne
sono alla base.
Schulz guardando alle pagine scritte da Jhering riconosceva che, trascorso oltre
mezzo secolo dalla pubblicazione (analisi dei principi come punti che segnano
la formazione e l’evoluzione di questo diritto e al contempo come criteri
unificanti del medesimo), era “parecchio da correggere nei particolari e molto
da aggiungere”, tanto che esse non si addentravano in tutte le epoche vissute
dall’ordinamento romano.
Primo tra i principi individuati da Schulz : PREVALENZA DEL DIRITTO SULLA
LEGGE, o in altri termini, del carattere recessivo della seconda a favore del
primo : autorevolezza della scientia iuris e non dell’autorità del legislatore.
Secondo elemento qualificante : della “ISOLIERUNG” : per la prima volta nel
corso della storia, in Roma si registrebbe non solo una delimitazione del ius,
inteso come diritto oggettivo dei privati, rispetto a ciò che non è diritto, ma
anche (riguardo alla più ampia accezione di diritto quale sistema che include
plurime branche di disciplinamento : cd iura pupoli Romani) una
frammentazione interna, che permetterebbe di distinguere in modo netto tra
diritto laico e diritto sacro, tra diritto umano e divino, tra pubblico e privato.
Terzo connotato : ASTRAZIONE, secondo Schulz la scientia iuris romana, da un
lato sarebbe capace, mediante procedimenti deduttivi e induttivi, di creare e
piegare alle esigenze della pratica figure giuridiche idonee a descrivere e
ordinare il reale; dall’altro non si sarebbe mai disancorata, conformemente a
una fisiologica inclinazione all’approccio casistico e in omaggio a un bisogno di
concretezza, dalle irriproducibili peculiarità della singola fattispecie.
Tra gli ulteriori principi caratterizzanti l’ordinamento romano Schulz annovera la
semplicità : non complessità e unitarietà del sistema, implicanti la rotondità del
diritto. L’idea di tradizione e di nazione e quella di libertà : la comunità
nazionale costituita da homines liberi, portatori qua tales di diritti e doveri, si
sarebbe fieramente riconosciuta nel proprio passato, perpetuando il patrimonio
culturale, seppur adattandolo al fluire del tempo.
L’elenco si conclude con i richiami all’humanitas (presentata come strumento
concettuale di propulsione di numerosi settori dell’ordinamento (diritto di
famiglia, quello ereditario, penale sostanziale e processuale)), alla fedeltà
(nesso logico e cronologico tra la fides arcaica e la fides bona, ossia criterio
interpretativo, normativo a attuativo che ispira innumerevoli soluzioni
casistiche sia di giuristi che di giudici) e alla sicurezza (discusso nell’accezione
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